Non so se hai presente quel mattone di circa 500 pagine che va sotto il nome de IL CONFESSIONALE DEI PENITENTI NERI di Ann Radcliffe. Ebbene non è affatto un mattone, ma un romanzone a forti tinte dove amore, morte, delitto e panni molto sporchi si mescolano in una storia dalla robusta trama, che avvince, dove non mancano i colpi di scena. Le psicologie dei personaggi sapientemente tratteggiate, ce ne sono a sazietà, e alcune di ottimo livello letterario. Un’opera equilibrata dove i cattivi si comportano da cattivi e i buoni non mollano i loro ideali di amore e purezza nemmeno se minacciati dai diabolici cattivoni della santa Inquisizione e da frati e suore non proprio raccomandabili. Da ultimo sono i buoni a trionfare con tanto di happy end finale e di campane. Intanto ti sei sorbito 500 pagine di una vivace scrittura prodotta dalla penna della signora Ann Radcliffe, così la chiamava Edgar allan Poe, figlia di un merciaio e scrittrice oltremodo discreta. Così scrive The Edinburgh Review: «Non appariva mai in pubblico, né si mescolava nella società, ma si teneva defilata, come il soave usignolo che canta le sue note solitarie, celato e non visto». Fughe, agguati, rapimenti, delitti, separazioni strappalacrime. Non voglio toglierti la sorpesa di leggerlo. La penna della Radcliffe ti fa calare nei sotterranei labirinti dell’Inquisizione dove chi confessa è perduto e chi non confessa è perduto lo stesso. Un fumetto gotico di gran classe dove i cattivi hanno la faccia da farti raggelare il sangue e i buoni faresti la coda per farti fare un autografo. Tutto fila dunque? Non proprio. Perché per leggerlo devi essere un lettore accanito, uno che non molla, anche se la narrazione si fa pesante.
E per quale motivo? Te lo spiega nell’introduzione Giorgio Spina: “…lo scavo psicologio appare più velleitario che un dato reale, tanto che nella vicenda si muovono non gà degli esseri umani, in carne ed ossa ma delle figure stereotipate dalle convenzioni del tempo, quasi dei pretesti letterari per giustificare il susseguirsi dell’azione …Prolissità e scrupoli razionalistici, se sminuiscono l’impressione di terrore a cui è da presumersi l’autrice avesse teso …non riescono tuttavia a svalutare l’importanza di questo capolavoro…” Infatti l’autrice razionalizza, illustra i meccanismi dell’azione pregressa con l’intenzione di spiegare nello spirito illuministico che intende provare e trovare sempre una ragione a tutto. Così facendo la narrazione si appesantisce, il ritmo rallenta e alla fine confonde perché la sovraproduzione di dettagli e spiegazioni rischiano di far deragliare la vicenda. Eppure l’opera è un classico, l’inaugurazione del romanzo gotico nero, nello specifico un fumetto di gran classe con un solido e verosimile intreccio. Documento che oltre all’intrinseca validità della narrazione illustra lo spirito dell’epoca . Radcliffe fa le cose sul serio, narrandoci la discesa agli inferi nelle segrete dell’Inquisizione. Maestra di incubi e tormenti che suggerisce senza mai farle vedere, come fa invece Poe, visioni truculente, giocando su effetti da film noire. Qui un padre frate sta per pugnalare la figlia diciottenne senza sapere che è lei, ma poi si scopre che la vittima non era la figlia.
Mi viene in mente la frase di un critico che all’uscita di Horcynus Orca di Stefano d’Arrigo scrisse: “avrebbe potuto essere un capolavoro” . IL CONFESSIONALE DEI PENITENTI NERI è un capolavoro a metà, tutto amore contrastato, trame delittuose, passioni, delitto e colpi di scena, con personaggi soavi come suor Olivia, filibustieri omicidi che sono diventati frati senza redimersi. Ma c’è un altro elemento interessante che nutre la vicenda, giocando un ruolo di spicco: il paesaggio, l’Italia del centro sud vista da una londinese che non era mai stata l’Italia e che immagima com’è il golfo di Napoli. Onore alla sua fantasia. Senza troppo azzardo ci vedo un legame fra il paesaggio della Radcliffe e quello di Fogazzaro in Malombra , non più illuministico ma melodrammaticamente romantico, paesaggio psicologico, visto che interpreta alla perfezione le nature tormentate dei protagonisti.
E ancora il paesaggio anche se di tutt’altro tenore e vastità, quello incontrato da Charles Darwin nel suo viaggio intorno al mondo sul brigantino Beagle, anche se qui non c’è romanzo, ma ricerca scientifica. Cos’hanno in comune il teatro naturale del mondo col paesaggio descritto da Radcliffe e Fogazzaro? Un’eredità, un tratto che li accomuna, di eccezionale valore: ovvero la natura intonsa, vincitrice, che durava da millenni prima che l’uomo con le sue devastanti attività la corrompesse. Ma questo Radcliffe e Fogazzaro non potevano saperlo.
Rieccomi! Anche questo libro è più avvincente che mai: https://wwayne.wordpress.com/2020/10/03/amore-a-scoppio-ritardato/. L’hai letto?