Londra. “The 80s: Photographing Britain”, una mostra fotografica alla Tate Gallery (prima parte)

Fra gli articoli di Lorenzo Ferrara pubblicati su Barbadillo, eccone uno in via di pubblicazione sui volumi di Solfanelli, dedicati al vivere londinese.
Per pizza e birra a Londra, te la cavi con 20 sterline, ben spese se la pizza è verace e la birra italiana. Lo stesso importo lo spendi, meno bene però, per la mostra Tate The 80s: Photographing Britain alla Tate Gallery. Che da poco ha chiuso i battenti.
Luogo deputato a ospitare opere moderne, frequentato da visitatori convinti che il moderno sia sempre migliore della Tradizione e sinonimo di progresso. Nonché sede adatta per il pisciatoio di Marcel Duchamp. 

Ho le credenziali adatte per parlare di questa esibizione, perché sono un ex fotografo che vanta anche un volume fotografico su Torino, in “combutta” con Giovanni Arpino, che ne curò i testi. Ricordo di averlo presentato in una libreria vicino piazza Navona. Ma non farmi divagare.
Cosa c’era di così eclatante appeso alle pareti della mitica Tate? La storia della Gran Bretagna anni ‘80, che dilaga fino alle soglie del nuovo millennio. Ai problemi di allora se ne sono aggiunti altri. Ci sono immagini cult senza tuttavia raggiungere le vette delle foto di Cartier Bresson, o di Mario Ingrosso, interprete di alto livello del neorealismo. Dalle immagini della mostra emerge la rabbia della contestazione “black”, a tratti pare di essere nel Bronx o nei campus degli States. Tra edifici in fiamme il furibondo bacio di due fricchettoni gay con la cresta in capo, mentre poliziotti antisommossa vigilano. E anche il ghigno sarcastico di un negro che fa una smorfia. Davanti a una immagine sembra di udire l’urlo di migliaia di asiatici assiepati per reclamare i loro diritti. In altre sale, la fissità ottusa di soggetti borghesi, colti nel loro nido domestico. La mostra aveva obiettivi ambiziosi, volti a rappresentare gli scenari della società britannica in tumultuosa trasformazione. Ribellione, contestazione, c’è tutto e troppo nella mostra. Che pretende di rappresentare quegli anni tempestosi. Una mostra dieci e lode? Non proprio. Anche il The Guardian batte su questo tasto: Hettie Judah, 19 novembre 2024. Nel titolo: “Una mostra piena di gemme, ma bisognosa di una revisione rigorosa”. Nel testo: “La mostra si dipana lungo linee tematiche. La sala di apertura è dedicata alla protesta, dallo sciopero di Grunwick guidato dai lavoratori britannici dell’Asia meridionale a Brent, agli scontri tra picchetti e polizia presso la cokeria di Orgreave, e alle marce contro la legislazione omofobica della Sezione 28. In una galleria dedicata al denaro e al crescente divario tra chi ha e chi non ha, le immagini cupe di Paul Graham si confrontano con gli scatti sarcastici di Martin Parr di feste in giardino e inaugurazioni di gallerie. Nella sezione successiva, l’obiettivo è rivolto al paesaggio e alle trasformazioni operate sia dall’industria che dalla sua rimozione.

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raccolte in un volume:

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