Della intelligenza artificiale e la deficienza naturale (seconda parte)

3D rendered digital human head outlined with neon contour lines that resemble a fingerprint’s unique swirls, against a deep blue background. Concept of digital identity and security, blending the human element with the precision of technology.

Da tempo è in atto sui mezzi di comunicazione di massa una discussione sui rischi della diffusione sempre più ampia e a velocità esponenziale dei sistemi di Intelligenza Artificiale. Le preoccupazioni che vedo emergere a livello non di esperti ma di opinione pubblica, espressa attraverso stampa e televisione, è che le criticità siano due: 1) il rischio di perdere un altissimo numero di posti di lavoro, con conseguenti turbative sociali, perché l’IA potrebbe sostituire gli esseri umani in molte di quelle attività che una volta si definivano “di concetto”; 2) il rischio inerente all’affidare un gran numero di decisioni, via via più importanti, non ad esseri umani ma a computer. Personalmente, non mi pare che siano questi i principali motivi di preoccupazione.
Il rischio 1) si è già presentato più volte nel corso della storia umana. È famosissima la crisi dei lavoratori tessili tra fine Settecento e inizio Ottocento in seguito all’invenzione dei telai meccanici, resa celebre dal (probabilmente leggendario) Ned Ludd che, distruggendone un paio a martellate in una crisi di rabbia, diede vita al movimento dei Luddisti, come vennero poi chiamati i sabotatori delle innovazioni di ogni tipo. Ma, oltre ai dipendenti delle filande, che ne è stato con la diffusione dell’automobile degli allevatori di cavalli, i cocchieri, gli stallieri, i fabbricanti di selle e briglie, i distributori di fieno e così via? Che ne è stato, dopo l’invenzione della macchina da scrivere, dell’immensa legione dei Policarpo De’ Tappetti, ovvero gli “ufficiali di scrittura” incaricati presso le istituzioni pubbliche e private di redigere in bella e soprattutto leggibile calligrafia i documenti pubblici e privati, dalle leggi dello Stato ai contratti fra cittadini,che dovevano essere vergati secondo regole calligrafiche codi-ficate per non essere soggetti aerrori d’interpretazione? E quali drammatiche conseguenze ha portato nella società (a parte la riduzione dei sindacati a teatrini delle marionette) l’ingresso dei robot nelle catene di montaggio al posto dei metalmeccanici umani? Si dirà che quelli citati sono cambiamenti di portata ben inferiore a quelli che si paventano in seguito all’ingresso della IA nel sistema lavorativo. È vero, ma è vero anche che la società di oggi è ben più ampia e complessa rispetto a fine Settecento (telai meccanici), fine Ottocento (automobile e macchina da scrivere), anni Sessanta del secolo scorso (robot nelle fabbriche). Il mondo è molto più diversificato, la mobilità è immensamente maggiore, le compensazioni sociali sono più diffuse. E comunque bisogna rassegnarsi al fatto che non si può accettare il futuro senza perdere parte del passato. Quanto al rischio di delegare le decisioni che devono essere prese con la ragione umana a una macchina che non ragiona ma compila statistiche, è anche questo un rischio contenuto: si dovrà semplicemente elaborare un sistema di controlli adeguato. Del resto, già oggi le decisioni importanti vengono sottoposte a controllo, anche quelle dei politici (almeno nelle democrazie) da parte degli elettori. Soltanto i magistrati, in alcuni Paesi, possono sbagliare provocando tragedie e fare lo stesso carriera senza problemi, per fare sbagli sempre peggiori.

Sebastiano Fusco

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