Tre unghie di luce le piovono addosso. Le minitorce illuminano il suo corpo pingue, alieno, dai fianchi enormi; le mammelle sembrano bisacce
Sono andato a vederla quella mostra, e sono rimasto a bocca aperta. È la Venere paleolitica di Dolni Vestonice.
Ha ventisettemila anni e sembra che arrivi dal futuro. Due tagli obliqui rappresentano gli occhi, nessun altro segno sul volto. La Venere non è sola, è in compagnia di altre sorelle che hanno ventitremila anni di meno. Le statuine di terracotta provengono dalla Moravia, insieme a ciottoli antropomorfi, vasellame di stupefacente finezza. Le compagne della sala accanto hanno pose e espressioni di incredibile modernità, dee madri, o sacerdotesse, simboli rappresentanti il legame col sacro, lanciano una sfida dalla profondità del tempo. La suggestione è tale da suggerire la loro provenienza da un futuro remoto. Alcune tendono le mani nella posa di chi offre, sedute o in piedi, hanno seni minuscoli, ginocchia aguzze, l’espressione stupita, probabilmente utilizzate per riti sacri o propiziatori.
Dee madri, divinità delle acque, dei boschi, delle pietre, della pioggia, simboli di uno spirito immanente in cui si ripetevano necessariamente il rito, la cerimonia propiziatoria per la fertilità dell’uomo e della terra, l’invocazione per il buon raccolto e per la fortuna durante la caccia al mammut. C’è un elemento che colpisce in tutti questi ritrovamenti. Le armi sono assenti. Perché al di là dell’aspetto puramente scientifico sono così importanti questi reperti? Perché narrano di un vivere armonico, in accordo con le forze della natura; temute, rispettate e blandite; manifestano la perfetta sintonia e la partecipazione totale dell’uomo di allora in seno alla natura. Natura figlia, madre e spesso matrigna. Nel più ovvio e necessario rispetto. Comunque. L’aspetto saliente nasce proprio dal loro significato e dal messaggio che l’uomo moderno può scorgervi. Non c’è ombra di armi di offesa, né tracce di riti cruenti. Quelle civiltà perdute vivevano pacificamente, in armonia e hanno qualcosa di fondamentale da insegnarci.