L’arazzo. Un’occasione per riflettere sul presente. Un esempio nella vita, un punto di riferimento nelle opere. Johan Huizinga, olandese, imprigionato due anni dai nazisti per lo spirito di indipendenza che animava il suo pensiero. Un grande storiografo che frugava nell’archivio della storia di Francia e d’Europa e che ha scritto numerose opere fra cui L’AUTUNNO DEL MEDIOEVO, il suo capolavoro per ricchezza di indagine abbondanza delle fonti, e interpretazione, divenuto ormai un classico. Abbiamo scelto di segnalare l’edizione introdotta da Ludovico Gatto dei grandi tascabili economici NEWTON in cui fra l’altro si legge un commento di Raffaello Morghen:…civiltà è per Huizinga, tradizione di esperienze di vita, di ideali civili e religiosi, di forme dell’espressione estetica, che si tramanda attraverso le varie culture, da generazione a generazione, onde l’umano si arricchisce e si espande. Ma il senso della storia, continua l’introduzione, per Huizinga è nel rapporto che riusciamo a stabilire e in cui riusciamo a porci con i tempi andati. Che resta stabilmente di valido aiuto non diciamo per superare la crisi della nostra civiltà, che è anche, come il nostro studioso indicò crisi della storia e viceversa, ma per precisarla meglio, conoscerla a fondo, anche se ciò non voglia dire dominarla. Fermiamoci qui, perché è da qui che vorremmo partire, per considerare il nostro presente.

Doveva essere crisi di civiltà durante e subito dopo la caduta dell’impero romano in gran parte delle contrade d’Europa, doveva essere crisi di civiltà nei secoli bui del nostro Monferrato, durante le scorrerie dei Saraceni che dal decimo secolo da Saint Tropez dilagarono in mezza Europa, e ancora crisi, almeno per quanto riguarda l’Italia quando, per secoli, potenze limitrofe venivano a stracciarsi le vesti e a fare casino nella nostra penisola, usandola come terreno di scontro. E ancora crisi di civiltà è stato l’orrore perpetrato nelle due recenti guerre mondiali che hanno visto la caduta di opposte sanguinose utopie, e per il riassetto politico dell’Europa e i genocidi perpetrati in nome di… o nel segno di… e le nuove barbarie che sono del resto una costante storica, con armi poi messe al bando ma sempre pronte a far capolino, più micidiali che mai. A quale crisi se non questa attuale, sfuggente nella sua attualità e pure concreta e misurabile; la più radicale e prolungata, la più subdola e invasiva, così evidente da riguardare ogni aspetto della quotidianità, dai costumi al vivere nella comunità. Quale crisi più grande di questa che vieta di riconoscere noi stessi, la propria bellezza e grandezza (trascorse) la propria unicità di stirpe e di cultura; il patrimonio fattoci pervenire dalle precedenti generazioni è misconosciuto o trascurato. Unici al mondo senza tema di smentite per abbondanza e rilevanza di bene tramandati e oggi trascurati.
A cominciare dai paesaggi deturpati, non c’è regione italiana che non annoveri obbrobri edilizi anche recentissimi, la devastazione del nostro passato equivale all’ignoranza delle nostre origini. Con l’avallo di tutti i governi del dopo guerra. Nel nome dello sviluppo industriale e del progresso, è solo un esempio fra i tanti, è stata uccisa o umiliata qualsiasi eredità della Tradizione. Ci viene quasi il dubbio che alle nobili popolazioni italiche venga deliberatamente somministrata una sorta di narcotico, per piombarle in un vuoto della coscienza, o in stato di incoscienza, per meglio governarle, per mantenerle in una specie di ignoranza corrosiva e deleteria. Siamo Italiani dopo tutto. Dopo Pasolini il nulla, è il caso di dirlo. Quale intelletuale, perdonami il termine che oggi fa un po’ ridere, si impegna come faceva lui, sulla sua persona si possono avere tutte le riserve, pagando di tasca sua dileggio e critiche. Tornando al grande Johan Huizinga non osiamo neppure affacciarci sullo sbalorditivo arazzo che egli tesse, scandagliando vizi e virtù di Borgognoni, Fiamminghi, di principi, villani, madamigelle e cavalieri erranti sulla via del tramonto, attraverso storie di duelli, scontri, matrimoni ed esecuzioni capitali, avremmo solo l’imbarazzo della scelta per cui ti rimando direttamente alla lettura di questo fantastico breviario di avvenimenti ambientato quando la Rinascenza europea già bussava forte alle porte della Storia. L’AUTUNNO DEL MEDIOEVO, come disse Carlo Antoni intende comporre una vitraille istoriata, come quella delle cattedrali francesi e della Fiandra o dei Paesi Bassi, in cui i riflessi luminosi, i giochi di luce, affascinanti iridescenze, quasi magicamente si moltiplicano e si inseguono…












Bon, chiuso, stop. Non se ne parla più di figli, Non posso averne, del resto ho la mia età. Aldo è distrutto, a chi andranno le sue cose? Il titolo nobiliare, e i suoi studi! La nostra casa, le nostre idee, tutto il suo archivio di storico?! Abbiamo amici, d’accordo, possiamo guardarci intorno, un erede adottato? Ma mica è la stessa cosa, e poi la faccenda non mi piace. Gli amici sono amici e basta. Non c’è il figlio? Pazienza, è andata così, mica c’è da impazzire, invece Aldo non mangia e non dorme. Gli passerà, sta preparando altri libri, altri scritti. Intanto io non mi rassegno a fare la madre fallita e qui sono dietro casa mia, al Romito, in una bella giornata d’ottobre. La vita deve andare avanti! Con o senza figlio, anche se a pensarci mi viene un magone pazzesco, per me, ma soprattutto per Aldo.
Matilde si muoveva raramente, organizzò un lungo, e per lei faticoso viaggio, e venne a portarmi il quadro, che si vede di fianco, nella mia casa in Brianza, in provincia di Milano, dove allora abitavo. Insieme al quadro mi portò, però, anche una voluminosa cartella, di quelle grandi, da pittore, con dentro decine di fogli da disegno constudi vari e abbozzi di figure che riguardavano tutti Padre Pio. A quanto ho potuto capire in seguito, osservando quei disegni, in quel periodo, anni 1994-1995, Matilde Izzia deve avere dedicato molta attenzione al “frate con le stigmate”. In quei grandi fogli ci sono abbozzi per una specie di storia dei momenti emblematici della vita del santo: le estasi, le visioni, le stigmate, le guarigioni, Padre Pio che insegna, Padre Pio che soffre, Padre Pio che prega: scene che richiamano le storie popolari come venivano raccontate negli antichi ex voto. Matilde deve aver meditato a lungo sulla vita e sul messaggio di Padre Pio e deve essersi impegnata con passione per cercare modi significativi per raccontarlo con la sua arte. Non so se poi abbia realizzato i quadri abbozzati nei disegni, ma il suo progeera importante e grande. Di tutto questo avrei voluto parlare con Matilde, ma non ho potuto farlo perché, dopo quell’incontro, non l’ho più vista. Non so perché abbia voluto portarmi, insieme al quadro, tutti quei disegni riguardanti la sua ricerca pittorica su di lui. Forse voleva ringraziarmi perché, con i miei libri, avevo contribuito ad aumentare la sua conoscenza di Padre Pio. Può darsi, ma non lo so. E quando guardo il quadro che sta nel mio studio, mi sembra di vedere, accanto alla figura di Padre Pio, Matilde che, con un sorriso dolce ed enigmatico, mi scruta. In quel quadro, Matilde ha ritratto Padre Pio secondo un piano americano. Il religioso tiene le braccia aperte e mostra le stimmate delle sue mani dalle quali escono vistosi rivoli di sangue. È un quadro sereno e gioioso. Il colore dominante è il marrone chiaro del saio francescano, che si spande, come una luce soffusa e discrete, per tutta la tela, anche sul volto del personaggio, che è incorniciato dalla barba bianca e da corti capelli grigi. La testa del santo è appoggiata a una grande croce di luce, intorno alla quale danzano oggetti imprecisati, rotondi, di varie dimensioni, di color marrone chiaro, con al centro macchie bianche, che creano una atmosfera di festa e che potrebbero richiamare presenze soprannaturali, angeli, astri, pianeti e cose del genere. Il volto di Padre Pio è quasi sorridente. Ma di un sorriso che palesa anche un dolore acuto, espresso con la tipica contrazione facciale di chi ha nel corpo una piaga viva, aperta, martellante, e sta attento a non fare movimenti inopportuni per non accentuare lo spasimo, che però egli non odia, non rifiuta, anzi lo interiorizza, lo vive e vorrei dire lo ama. È un atteggiamento singolare e insieme emblematico. “Trasmette”, secondo me, in modo perfetto, lo stato d’animo del santo. Padre Pio è consapevole che quelle misteriose piaghe, con le quali convive giorno e notte, sono sì un martirio ininterrotto, ma sa che sono anche il mezzo con cui può testimoniare il suo amore per Dio e per il prossimo, come aveva fatto Gesù sulla croce. E poiché il suo amore per Dio e per il prossimo è grande, immenso, egli affronta quel dolore lancinante abbracciandolo, amandolo, diventando lui stesso “dolore sorridente”.
Tutta per me. Finalmente. La mostra di Moncalvo, fra amici, ed appassionati di pittura, fra gente che si ricordava di me e di Aldo, e dei momenti trascorsi insieme in un non lontano passato. Persone commosse che non vogliono dimenticare, che intendono tenere vivo il ricordo del Romito, delle mie tele, del lavoro di Aldo, della passione che lega noi e loro nel segno del Monferrato e delle sue bellezze. Una selezione delle mie tele: solo donne, questo era il tema, un excursus che ha suscitato consensi e ammirazione. La critica d’arte Emilia Ferri ha parlato con competenza e profondità di analisi, ha fatto raffronti, la mia pittura affiancata alle tele dei maestri che tanto ammiravo: Cezanne, Gauguin, Matisse. Ne sono onorata; forse l’inspiegabile
velo di silenzio e ombra che grava ancora sulla mia produzione artistica sta per essere sollevato. Lorenzo Fornaca, Gianfranco Cuttica di Revigliasco, Antonio Barbato e poi Maria Rita Mottola e il marito Giancarlo Boglietti di ALERAMO sono stati i promotori della mia esposizione. Tutti amici, vecchi e nuovi, tutti plaudenti nella città che tanto ho amato e goduto. La sala al Museo civico di Moncalvo era piena, e c’era gente in piedi. I fasti di Ginevra, quando esposi alla Galerie Motte suscitando l’entusiasmo del collezionista Oscar Ghez e della critica più qualificata sono lontani; ma ricominciare da casa mia è davvero un buon segno.
Mario dice che ti guardano. Ma chi ti guarda? Gli ho chiesto un giorno. -Gli oggetti, l’armadio, la tazza, la tovaglia ti guardano.- Lui dice così, ma mi sembra esagerato. Che ti parlino quello sì, se no perché grandi pittori li avrebbero riprodotti? Ceste, gerle, pesci e uccelli morti, noci, meloni, ciotole e compagnia bella. Ti parlano, quello sì, Mario li chiama gli oggetti sensibili e arriva al punto di dire che ti osservano, che hanno un’anima e puoi arrivare anche a interloquire con loro. Aldo dice che il ragazzo ha le traveggole. Mario dice che una volta è uscito di casa fissando un baule e poi, al suo ritorno il baule pareva fosse contento di rivederlo. Lo guardo incredula. -Ma te se mica tutto a posto!- Che attribuisca loro un eccesso della sua ipersensibilità?! Può darsi o magari sono stramberie adolescenziali. A me piace pensare che gli oggetti assorbano e riflettano la nostra sensibilità, il nostro modo di vederli, e li definirei piuttosto poesie, poesie tradotte in immagine tanto è il loro potere di suggestionarci, facendoci soffermare su una mela, un grappolo d’uva, una tovaglia o una bottiglia dal lungo collo.
A volte mi prende un magone così grande quando lo vedo, chinato sui suoi documenti, e sui tomi di storia, che studia, corregge e ristudia senza pace. È conosciuto più all’estero che in Italia, apprezzano di più le sue opere in Francia e in Spagna. Qui l’hanno messo all’indice, per questo Aldo ha perso il lavoro, per le sue idee, per la testa che ha, perché fa venire invidia e gli altri studiosi di storia non hanno il suo estro. Quello che lui scrive sembra un romanzo e invece è la storia del suo Monferrato che tanto ama. E intanto noi stentiamo ad arrivare a fine mese e le bollette le devi pagare, se no con cosa mangi e ti scaldi? Muori in mezzo alla campagna del Monferrato. Meno male ho ancora i cani a tenermi compagnia. Dietro di noi il grande affresco che ho dipinto: il matrimonio fra Teodoro Paleologo e Argentina Spinola. Ma via, meglio scacciare i pensieri neri, ho la mia arte, i quadri da finire, certi nuovi progetti di nudo in mezzo alla campagna. E poi ho in mente certe nature morte, le chiamano così anche se sono più vive che mai. Eppure oggi no, non me la sento, mi darebbe la nausea anche solo tenere il pennello in mano.