c’era la bandiera rossa?

Il collo della signora mostra un vasto tatuaggio multicolor. Seduti allo stesso tavolo del tiepido pasto di nostra Signora della misericordia, a Londra, scambiamo qualche parola. La signora è russa, conosce l’Italia per aver, in tempi meno ostici, esercitato l’export di calzature italiane, nelle Marche era di casa. Si fa presto in certi casi a fare conoscenza ed è sbalorditivo che in meno di cinque minuti con facilità, e dopo averle chiesto il permesso, riesca a chiederle cosa pensi dell’aggressione del suo paese all’Ucraina. La sua risposta: “Putin ha fatto la sola cosa giusta da fare”. La mia perplessità non la turba. “Per te Putin è un dittatore?” “No, è uno che ama il suo paese e si è sacrificato ed è amato dalla gente”. “Ma non ha avvelenato un po’ di gente? “No, e poi non ci sono prove, si sono montati dei casi”. “Navalny morto in carcere. Cosa ne pensi?” “L’ha voluto lui. E poi nessun media occidentale ha detto che insultava Putin ogni volta che poteva, non si fa così, non è educazione”. “Quindi Navalny non è stato “suicidato?” “No, per niente, è morto perché era malato”. “C’era molta gente al funerale”. “Erano perlopiù giovani. E poi i vostri giornali fanno vedere quello che vogliono”. “Secondo te Putin non è un criminale? Uccide bambini, vecchi, donne con le sue armi”. “E in Vietnam cosa è successo? Dispiace certo, ma è la guerra.” “Come andrà a finire?” “Speriamo che non sia costretto a usare l’atomica. In questo caso Londra sarebbe la prima a fare Puff!”.

Sulle pagine del Daily mail, 12 febbraio 2023, il famoso giornalista Peter Hitchens: “«Questa non è una semplice battaglia tra il bene e il male: più a lungo evitiamo i colloqui di pace in Ucraina, più ci avviciniamo all’Armageddon.» È il titolo del suo articolo a caratteri cubitali, che continua: “Aiutare l’Ucraina a difendersi da un attacco illegale era una questione semplice. E l’offensiva russa, condotta in modo incompetente e mal pianificata, è stata mutilata e in gran parte fermata molto rapidamente. Ma fornire armi altamente offensive, carri armati, missili a lungo raggio, forse bombardieri, è diverso. Se il tuo vicino viene attaccato, lo aiuti. Ma se poi desidera attaccare a sua volta, potresti non essere così entusiasta di unirti a lui. E l’aiuto che l’Occidente sta ora dando all’Ucraina può, e probabilmente sarà, essere utilizzato per attaccare, forse in Crimea, dove ci sono molti russi che non desiderano essere governati dall’Ucraina. La Russia sotto attacco, in particolare difendendo quello che considera il suo legittimo territorio in Crimea, sarà un nemico molto diverso dalla Russia impegnata in un’invasione illegale… credo che questa guerra sia più complessa di quanto molti pensino. I trent’anni di espansione verso est della NATO sono stati un errore avventato, che ha minato i democratici e i liberali russi e ha rafforzato Putin e i suoi sostenitori nazionalisti… La George Washington University possiede documenti che dimostrano la violazione delle promesse fatte a Mosca dai principali leader occidentali. Lungi dal “negare” le atrocità russe, sottolineo il fatto che (come è terribilmente normale in guerra) entrambe le parti hanno fatto cose malvagie. L’Ucraina è, in ogni caso, uno stato corrotto, fortemente dominato da miliardari, dove i media non sono così liberi. Non è troppo diverso dalla Russia… Più combattimenti ci saranno, più sangue, urla e tragedie ci saranno… Più a lungo attendiamo, maggiore è il rischio di guerre devastanti e totali e più difficile sarà l’accordo. È tempo di parlare.”
E invece son passati più di due anni.

Un’altra voce fuori dal coro, il libro di Orlando Figes, La Storia della Russia. “La Russia voleva essere trattata con considerazione. Così non è stato. Sai benissimo come sta andando in Ucraina, il tamarro russo non molla l’osso. Certi miei “sospetti” trovano conferma leggendo la recensione di Karl Schlögel del 1 ottobre 2022 sul Financial Times del libro di Orlando Figes, The Story of Russia: «(…) Isolata dall’Occidente, la Russia sarà costretta a ruotare verso est, una svolta accelerata dalla guerra e accolta con favore da alcuni ideologi del Cremlino, che credono che il futuro della Russia risieda in un blocco eurasiatico, contrario ai valori liberali occidentali e al potere globale degli Stati Uniti, con la Cina come principale alleato.» A suo avviso, il crescente isolamento è principalmente il risultato della mancanza di comprensione e buona volontà in Occidente: «La Russia voleva far parte dell’Europa, essere trattata con rispetto – scrive Figes –, invece, è stata respinta dai leader occidentali che hanno approfittato della sua debolezza per sminuirla. Si perse un’opportunità per porre fine a un ciclo storico di incomprensioni e antagonismo, creando le basi su cui Putin ha costruito la sua ideologia antioccidentale. La storia della Russia è fatta anche da sforzi secolari per mettersi al passo con l’occidente, spesso sfociati in frustrazioni, sentimenti anti-occidentali e complessi di inferiorità…» E se Figes avesse ragione?

E da ultimo, ma non certo per minore importanza di contenuto, il volume di Sacha Cepparulo, prefatto da Gianfranco de Turris La Russia allo specchio, Idrovolante edizioni.
Non si sorprendano autore e lettori se per descrivere la sua fatica uso termini “medici” come endoscopia, gastroscopia, colonscopia, essi infatti si attagliano perfettamente al tipo di indagine che egli effettua nel suo saggio. Non la Russia vista dall’esterno, ma dall’interno -anche perché l’autore ci vive da anni- partendo dal suo cervello, dai suoi organi tutti e dalle sue viscere e infine della sua complessa spiritualità che talvolta riecheggia un fatalismo di origine asiatica. La Russia che molti conoscono solo per le altissime vette raggiunte dai suoi scrittori-filosofi e poeti e per le vicende dell’ultimo secolo, qui, nelle duecento pagine del saggio, presenta il suo vero volto o meglio le sue cento facce, spesso tra loro conflittuali e sorprendentemente complesse. Fa bene l’autore a non sposare alcuna tesi, giudizio o teorema precostituiti. La sua scelta non facile di reggersi in equilibrio è apprezzabile.  C’eravamo illusi che dopo la caduta dell’impero rosso tutto fosse cambiato, che ci fosse stata una presa di coscienza nazionale, simile a quella tedesca sotto un diverso versante. Così non è stato. E non poteva essere diversamente, infatti il volume illustra una complessità che non sospettavamo e una contraddittorietà di tesi che stupisce.

Oggi dalle parti di Albione, suo acerrimo rivale storico, il suo attuale czar, viene definito dai media: Macho man, mariuolo col mitra, nano con la sindrome dell’altezza. E delinquente. Condannabile a giudizio della corte di giustizia occidentale, sempre se riesci ad acciuffare il marrano. Ma non tutto il mondo la pensa così. I media inglesi vanno giù duro a scimmiottare il lestofante russo, ultimo nemico del loro ex Impero, pubblicando le sue immagini con scarpe di tre centimetri più alte per aumentare la statura, rimarcando il suo complesso di inferiorità. Dai numerosi brani del saggio che avrei voluto riportare evidenzio alcuni “passaggi” illuminanti,
Pag. 43:  passi tratti dall’articolo “L’URSS non è la Russia” (1947): 

(…) Cosa teneva unita la Russia? Essa si fondava sull’istinto di autoconservazione nazionale e assumeva le forme dell’autocoscienza russa, del nazionalismo e del patriottismo. Essa si fondava sulla fede ortodossa in Dio e in Cristo, Figlio di Dio: una fede che predicava l’amore, l’umiltà, la pazienza e il sacrificio, rafforzando nei cuori un sano senso della gerarchia e la disponibilità a obbedire a un potere giusto e devoto legato al popolo da un’unica fede e da un giuramento. La fedeltà nazionale russa si basava sull’amore per i sovrani e sulla fiducia nella loro buona e giusta volontà. Essa si fondava sulla coscienza personale, rafforzata dal cristianesimo e purificata dal pentimento. Essa si fondava su un sano senso dell’onore nazionale, di classe e personale. Sul fondamento famigliare, con le sue radici spirituali e istintuali. Sulla proprietà privata, tramandata “di generazione in generazione”, e sulla libera iniziativa economica legata al desiderio di dare con il lavoro onesto una vita migliore ai propri discendenti. Di tutto ciò, cosa ha riconosciuto e rispettato la rivoluzione? N-u-l-l-a. Per 24 anni i comunisti hanno imposto l’internazionalismo e cercato di estinguere nel popolo russo il sentimento nazionale e il patriottismo, accorgendosene solo nel 1941, quando era ormai tardi e videro che i soldati russi non volevano combattere per l’internazionale sovietica. (…)  Sostituirono l’amore con l’odio di classe, e poi con l’odio universale. Rimpiazzarono l’umiltà con l’arroganza e la superbia rivoluzionaria. Calpestarono il prezioso senso della gerarchia, ridicolizzando i migliori e promuovendo i peggiori: ignoranti, feroci, opportunisti, corrotti, ciarlatori, adulatori privi di coscienza e di capacità di giudizio autonomo. Sostituirono il potere giusto e devoto con una tirannia atea, facendo di tutto per convincere il popolo che il nuovo governo non ha né buona volontà né giustizia. Per 30 anni hanno calpestato il senso della dignità e dell’onore personale con il terrore, la fame, le delazioni e le esecuzioni. Fecero tutto il possibile per corrompere la famiglia, indebolirne le radici e aumentare il numero di bambini abbandonati, che successivamente venivano arruolati come agenti del regime. Abolirono la proprietà privata e soffocarono l’iniziativa economica…”   

Un altro significativo stralcio, pag. 52:
“Gli studi di tutti gli autori e gli studiosi citati rilevano il carattere violento della forma mentis sovietica. Il significato di tale aggettivo non deve essere inteso in senso politico-umanitario (vale a dire a fenomeni quali il terrore rosso, le repressioni, le migrazioni forzate, il controllo sull’individuo), ma ontologico. La violenza sull’essere in quanto tale si basa, come già mostrato, sulla fede semplicistica nell’onnipotenza dell’Uomo che si accontenta della convinzione della giustizia dei propositi formulati e dell’analisi razionale del rapporto tra modalità d’attuazione e risorse disponibili. L’assolutizzazione dell’agire e il tentativo di sostituirsi a Dio in nome di “nobili” ideali implicano la legittimità di ogni sconvolgimento: l’essere, persa la “rigidità” che seguiva dal suo fondamento trascendente, diventa flessibile, modellabile, plasmabile. Ogni ambito può e deve essere “riformato”; per questo motivo l’azione rivoluzionaria sovietica non ha risparmiato nessun aspetto della vita individuale, sociale, culturale e politica (…) Nel contesto italiano, una voce autorevole e, da questo punto di vista, eterodossa è quella del diplomatico, storico e giornalista Sergio Romano, il quale parla di “suicidio dell’URSS”.

Pag 75:
“ In linea di massima gli eurasiatisti russi sostengono che la Russia sia uno Stato-Civiltà (Gosudarstvo-Civilizacija) eurasiatico. Questo aggettivo esprime la specificità geografica, geopolitica, storica, culturale, religiosa, linguistica ed etnica della Russia che di conseguenza viene distinta sia dai paesi “occidentali” sia da quelli “orientali”. Spesso tale “unicità” è intesa come combinazione originale di elementi sia occidentali sia orientali. Aleksandr Gel’evič Dugin è un filosofo tradizionalista e sociologo russo. Egli è principalmente noto per aver tradotto in lingua russa autori come Julius Evola e René Guénon e aver elaborato la “quarta teoria politica”. 

Pag 95:
(…) Nonostante in un post sia addirittura precisato che la vittoria di Trump non comporta direttamente il trionfo russo nella guerra ucraina (dato che egli rimane comunque il presidente di un’altra nazione con interessi assai differenti, se non opposti), la sua elezione segna sicuramente la fine della “globalizzazione monopolare” e di tutti i liberali e i globalisti. A dimostrazione di queste tesi sono addotti i seguenti argomenti: Trump è un “nazionalista americano”, e non un “atlantista”, e un “tradizionalista”.

La Russia è un universo a sé stante, chiuso per secoli, e non desideroso di contaminazioni esterne, tuttavia curioso delle culture dei “vicini” Oriente Occidente. L’enciclopedico e tuttavia scorrevole lavoro di Cepparulo traccia una mappa politico sociale e psico-morale comportamentale di rara intensità. La Russia non è dunque come appariva e allora com’è?  Le duecento pagine dell’itinerario all’interno del suo “organismo” ce lo spiegano. La complessità dei suoi dettati è sbalorditiva. C’è poi un aggettivo fra i tanti possibili che si adatta  perfettamente a descrivere la funzione del saggio di Cepparulo: indispensabile. Per comprendere attraverso indagini scrupolose e a largo spettro moltissimi risvolti e aspetti, sovente poco noti della Rossijskaja Federacija. divenuta (ma non all’improvviso) e, lasciami dire, anche per nostra insipienza, assai problematica.
La Russia è ora nemica dichiarata e convinta dell’Occidente e non si sa se in via definitiva. Avremmo potuto evitarlo? Forse sì, a leggere quello che hanno scritto Orlando Figes e, su un altro versante, ma fra le righe, Sacha Cepparulo.

Nella foto di destra: Aleksandr Gelyevich Dugin is a Russian far-right political philosopher

c’era il guerriero immobile?

Dopo aver caricato su un carrettino prosciutto e formaggio acquistati dai contadini romani, una pattuglia tedesca lo blocca senza troppo riguardo (1943 o 1944). Infuriato, si mette a strillare, poi telefona al colonnello delle SS Eugen Dollmann, protestando. Verrà accompagnato a casa in auto con tante scuse, prosciutto e formaggio non gli verranno sequestrati.
Braccato dagli agenti della Military Police delle forze Alleate (6-7 giugno 1944) trascina per Roma una valigia di cartone piena di preziosi appunti e testi, riuscendo a sfuggire alla cattura. Spaventa Federico Fellini che lo va a trovare in incognito, (anni ‘60) raccontandogli del suo grave incidente mentre “trafficava con l’occulto.”
Né solo saggio, né racconto aneddotico e nemmeno esclusivamente cronaca. Di questi generi
Un filosofo in guerra edito da Mursia ha ereditato e sintetizzato il meglio: avvincente, incalzante, a tratti un giallo poliziesco, dal ritmo sostenuto. Il “detective” Gianfranco de Turris racconta un brano della storia d’Italia, narrando con passione, puntiglio, dovizia di documenti, informazioni di prima mano e di autentiche scoperte. Il periodo: quello tra i più spinosi e controversi del nostro Paese. Dal ‘39 al ‘45, quando l’Italia cambiò volto.
Nel volume molte le cose di rilievo: gli incontri segreti, i depistaggi, i complotti e le misteriose scomparse di uomini e di casse con preziosi archivi ed elenchi di nomi (1945). Forse inabissati di proposito nel Garda, forse nei meandri del Vaticano, o magari stipati negli armadi del PCI. Al riguardo c’entra anche un sacerdote, che, innamoratosi di una bellissima donna, esponente del PCI, per lei lasciò la tonaca ma poi, pentito, abbandonò la femmina per chiudersi in un convento. Ma chi è il filosofo in guerra? Il barone “nero” Julius Evola, al cui proposito Aldo di Ricaldone sugli Annali del Monferrato scrisse: “Il barone Evola coi suoi testi sottolinea con una delle più brillanti sintesi della storia umana il crollo del mondo Tradizionale di fronte allo sguaiato, ipocrita materialismo a favore delle masse, con la decadenza della genuina cultura e dei valori ideali e spirituali.”
L’opera di
Gianfranco de Turris qui si fa trama, vissuto speciale, avvincente racconto, sedimentato in una scrittura tesa e asciutta come ci ha abituato il suo stile. Un filosofo in Guerra fa pensare a quei giorni, alle sorti dell’Italia, a ciò che sarebbe potuto essere e non è stato. Costringe a riflettere, a confrontarsi e infine a prendere posizione, indirizzando l’attenzione anche verso scritti di altri autori come Finis Italiae, di Sergio Romano, ex ambasciatore, che parla del dopo disastro bellico. Questo è un altro pregio de Un filosofo in Guerra: sollecita interesse, invita ad approfondire e a interrogare altre fonti.
Il protagonista indiscusso dell’opera, pittore dadaista, filosofo, esoterista, orientalista, e, secondo molti, profeta, Julius Evola, alias Carlo de Bracorens ovvero un fantasma che si aggira ancora nei meandri della cultura italica (o nei suoi rimasugli.)
Un articolo di Luca Gallesi su Barbadillo precisa i contorni dell’opera accennando anche a qualcuno che di recente, turbato all’udire ancora il nome Evola, ha gridato allo scandalo e alla vergogna.

Nel libro: numerosi gli incontri del barone, fra questi quello con Mussolini, subito dopo la sua liberazione, nel Quartier Generale di Rastenburg (20 luglio 1944); scriverà  al proposito Evola: «Aveva ancora indosso gli abiti borghesi sgualciti che portava al momento della sua liberazione al Gran Sasso: ricordo le scarpe pesanti e sporche e una cravatta tutta attorcigliata. Aveva una certa speciale luce, un’esaltazione febbrile negli occhi».

Mussolini salvato e subito ricattato da Hitler “marrano con lo scettro di pagliaccio feroce” secondo la definizione di Gabriele  D’annunzio.
Scrive de Turris: “Questo testo mi ha dato l’impressione di essere una specie di “fabbrica di San Pietro” mai conclusa: specie nell’ultimo periodo, sino alla vigilia della consegna all’editore, è stato riletto più volte con continui ripensamenti, correzioni, tagli e aggiunte, ritocchi, controlli di molti particolari in origine solo accennati e dati per scontati, tentativi di essere sempre più chiaro ed esatto per evitare equivoci e fraintendimenti altrui (anche voluti…), convinto che la precisione dei riferimenti e anche di singole parole in questi casi sia fondamentale. Se alla fine ci sia riuscito lo decideranno i lettori.” E più avanti: “Non avevo ancora capito la lezione della…Storia, di quanto sempre si nasconde nelle sue complicate pieghe! Incredibilmente, infatti, lo sottolineo ancora, notizie, testimonianze, informazioni, documenti e libri prima non noti sono continuati a balzare fuori nei modi più inaspettati e anche curiosi, addirittura casuali. Ed è quindi da supporre che continueranno a farlo, come se, ancora oggi nella vita di Julius Evola ci sia sempre da scoprire qualcosa, tanto è stata complessa e avventurosa su tutti i piani.” 

Ignoriamo se de Turris sia consapevole di aver rivoluzionato il modo di fare saggistica: aggiungendo cioè al piede di ogni capitolo una formidabile messe di note, riferimenti, rimandi a libri e a documenti, spesso di lunghezza equivalente al capitolo stesso.

Quello di cui non siamo affatto sicuri è che alla quarta edizione (tradotta per gli Stati Uniti e la Russia) riveduta e ampliata con documenti e immagini non se ne aggiungano altre. Il «guerriero immobile», come lo ha definito un suo biografo francese potrebbe riservarci ancora molte altre sorprese…dall’al di là. 

Dalla quarta di copertina del libro: “Una trama che non ha niente da invidiare a una spy story, tra servizi segreti, false identità, attività e viaggi misteriosi, ferite del corpo e dell’anima.Tra l’agosto 1943 e la fine della guerra, Julius Evola si muove in un’Europa al collasso: da Berlino al Quartier Generale di Hitler, poi a Roma, come agente dietro le linee; dopo l’arrivo degli americani è a Verona e quindi a Vienna dove, sotto falso nome, studia archivi massonici e viene ferito durante un bombardamento nel gennaio 1945, restando paralizzato.”

Nelle immagini: Mussolini a Rastenburg, nel Quartier Generale di Hitler, Julius Evola e Gianfranco de Turris a colloquio.

quella farfallina di Elena si faceva rapire da Paride?

Omero mi perdoni. Non ce l’ho con la sua Iliade, opera somma a cui le mie parole nulla aggiungono né tanto meno tolgono. Blindato il valore, storico letterario di quella storia che ci tramanda il mito degli eroi e del sangue versato, facciamo finta di credere che il vero motivo della guerra di Troia sia il rapimento di quella farfallina di Elena, portata via da quel bellimbusto di Paride.

troia5Dopo averla riletta per la terza volta, mi piacerebbe confrontare la mia impressione con la vostra.
Per me l’Iliade è un fumetto, una storia che ti torce l’intestino, visto che ammazzamenti, squartamenti, teste mozze e sangue si avvicendano pagina dopo pagina. Iliade è la storia di una gran macelleria, descritta dal più grande poeta dell’antichità, alle origini del mito, alle origini delle origini c’è quella storia coi suoi guerrieri assassini che si sbudellano senza pietà (mica è cambiato niente oggi). È una vicenda di morte a fumetti. Un noire d’autore che mescola umani e dei, in un groviglio inestricabile. Gli stessi dei ne escono malconci. Vediamo cos’è successo.

Elena, la bella greca, viene rapita e si scatena la guerra di Troia (fingiamo che questo sia il vero motivo) . Gli Achei salpano con una flotta poderosa e assediano Troia.  Ma la rapita se ne sta chiusa dentro le mura.  A complicare le cose arrivano gli dei. Chi parteggia per i Greci, chi per i Troiani. Non solo, gli stessi dei scendono in campo e si menano e succede una gran baruffa, prendendosi a botte che è uno spettacolo. Tutto qua?  Macché. Achille, il portentoso eroe assassino (come tutti gli altri) si infuria perché gli portano via una schiava, poi si imbestialisce ancora di più perché gli ammazzano Patroclo. (era forse il suo boy friend?)

troia4Intanto Greci e Troiani muoiono come mosche sbudellandosi (non sto esagerando, anche allora si faceva così) Le scene di orrore si tingono di sangue con scene di massacri truculenti e assai poco edificanti, del resto era la guerra, ieri come oggi, schifezze insomma.  Intanto nell’Olimpo, dimora degli dei, ci si azzuffa, ma vi pare una cosa seria?  Giove, che farebbe sesso anche con le rotaie del tram s’infuria perché la moglie difende i Greci e per distrarlo lo seduce (ancora!).  Il pollo (Giove) ci casca e lei, mentre il marito dorme, ne combina di grosse, così lui si imbestialisce e lancia fulmini sulla terra. Greci e Achei continuano a bucarsi pancia, fegato e testa.  (ma sai quanti metri di intestini escono dalla pancia degli eroi trafitti?) Achille ammazza come un animale il prode Ettore, che anche lui non scherzava in quanto ad ammazzamenti. Infine c’è la faccenda del cavallo, architettata dal furbone di Ulisse, e poi la distruzione della città.  Il tutto per i begli occhi di Elena. Un fumetto, appunto, un noire, certamente il più grande e improbabile di tutti i tempi.  La grandezza di Omero sta proprio qua. Nel farci credere plausibile l’assurdo e l’improbabile.

Rileggere per credere.

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