Prova a pensarci, anche te ne hai, magari li conservi ancora, polverosi, sbrindellati, ingialliti, in qualche ammuffita valigia, in soffitta o in cantina. Quanto hai penato su quella pagine! Ti ricordi? Ti hanno accompagnato per anni, magari tediandoti a scuola e nei compiti di casa e adesso alcuni te li ricordi ancora. Pochi, davvero pochissimi, quelli che erano speciali, appasionanti, se considerati con gli occhi di oggi e con la vita che hai vissuto. Libri scritti col cuore e con l’intelligenza. Libri che, anche dopo decenni, sanno emanare forza e suggestione perché intendevano farti amare mondi trascorsi, passioni di uomini e il loro mondo scomparso. Libri eroici, dico io, se son riusciti a resistere nella tua memoria e agli insulti del tempo. Ci sará pure un motivo. Qui sto scrivendo di un normalissimo testo da cui abbiamo appreso di mitiche gesta di eroi. Studenti sedicenni eravamo, distratti da cento cose, allora, ma affascinati da quello che migliaia di anni prima stava accadendo alle soglie della storia e della leggenda.
Stanno ancora agitando spada e lancia cercando di darsi la morte. C’è un’ombra che si allunga e che trapassa i secoli, l’ombra del legno di orniello su cui s’innesta la lancia di ferro, che trafigge il tempo. Ancora si danno battaglia, nutriti di odio assetati di vendetta. Attori di una contesa che sembra non finire mai. Mitici. Quell’ombra lunghissima, che si proietta a terra, giunge sino a noi, dopo millenni. Seguendola a ritroso scopriamo che è l’ombra fatta dal giavellotto di Achille, scagliato inutilmente contro Ettore e raccolto dalla rapida mano di Athena, alleata dell’eroe troiano. Achille e Ettore, titani piegati al volere degli dei.
Il duello
Davanti a quel duello il cuore si stringe, il respiro rallenta. Quante fantasie! Te dirai, eppure i due combattenti sono i simboli di un odio assoluto, di umana richiesta di clemenza, subito respinta da Achille. Ma non ripeto quello che altri hanno già detto assai meglio di me. Quello che mi preme è parlare del libro, non dei miti che racchiude. Cos’ha di speciale? Tutto. A quarant’anni di distanza ricordo ancora le traduzioni di Giovanni Pascoli, Salvatore Quasimodo, gli appassionanti scritti di Manara Valgimigli e di Fustel De Coulanges, di Jacob Burckardt e di Will Durant. Un libro speciale per gli istituti tecnici di allora. Aveva delle intenzioni quel vecchio testo scolastico: mettercela tutta per farci amare quella metà di mondo sviluppatosi 24 secoli fa fra l’Egeo e il Mediterraneo. I miti, le gesta, gli eroi sono gli archetipi ancora vivi, seppur sepolti nell’ignavia dei moderni. Gran libro se ancora oggi lo ricordo dopo decenni trascorsi.
Ulisse e Nausicaa con le ancelle
Chi può dimenticare la scena in cui Ulisse scruta, non visto, gioendo commosso, alla vista delle candide braccia di Nausicaa. E poi in quella in cui lui appare, vergognoso e seminudo alle fanciulle. La figlia di Alcinoo, re dei Feaci che giocava sulla spiaggia, bella fra le belle, più di duemila quattrocento anni fa non ne ha timore…una scena che ti sembra di vedere ancora recitata magistralmente da Barbara Bach e Bekim Fehmiu,…e sembra ieri. L’ho messo sull’ultimo scaffale, il libro, fra i volumi importanti. L’eredità del mondo antico – pubblicato da Zanichelli, Bologna
Padre della patria e (anche) negriero? Eroe per molti, negriero senza scrupoli per altri. Guerrigliero al servizio di una nobile causa (quella italiana era soltanto l’ultima in ordine di tempo) o profittatore pagato dagli Inglesi e dalla Massoneria in funzione anticlericale. Detto per inciso agli Inglesi interessavano le miniere siciliane e auspicavano un’Italia un po’ più unita di quello che era per contenere le mire francesi. (l’Inghilterra in queste faccende la sa lunga).
Definiva il papa Pio IX un metro cubo di letame. Perché portava i capelli lunghi? Perché dicono che una ragazza gli avesse rovinato un orecchio durante un tentativo di violenza. Vero? Falso? E il massacro di Bronte? Cos’era successo? Mentre i colpevoli se la davano a gambe vennero uccisi contadini innocenti e il matto del paese dopo un frettoloso processo voluto dal suo luogotenente, Nino Bixio. È tutt’ora avvolta nel mito e nella leggenda la figura di Giuseppe Garibaldi, uno degli artefici indiscussi della riunificazione dell’Italia. Eroe dei due mondi, osannato corsaro in Sudamerica, difensore degli oppressi, guerrigliero, rivoluzionario e massone di rango. Una figura complessa, mitizzata dai libri di storia che necessitano di figure a tutto tondo.
Una figura al cui valore indiscusso andrebbero tuttavia aggiunte alcune postille, non per sminuirne la valenza storico politica, ma per onorare l’obiettività dei fatti, al di fuori delle consacrazioni di rito. La necessità di creare figure di specchiato e immacolato valore è una pratica ricorrente della storiografia ufficiale. Ma l’obiettività storica è una virtù spesso disattesa. Non si tratta di denigrare chi fino a poco tempo fa è stato messo sugli altari, contestandone ruolo e funzione, sarebbe questa un’operazione fine a sé stessa o, peggio ancora, al servizio di animose contro tesi storiche dalle dubbie finalità. Sono i documenti, la cronaca registrata dei fatti che devono trionfare ovvero l’obiettività storica anche se scomoda.
C’è chi lo denigra apertamente e chi si limita a consacrarne la figura e l’innegabile protagonismo. Del resto, a stringere la mano al Re Vittorio Emanuele II a Teano, c’era lui, il grande Giuseppe, come a sancire a futura memoria una consacrazione di inequivocabile rilievo politico, un gesto che non può essere scalfito tanto facilmente. Ma anche in questo caso bisognertebbe leggere il contesto in cui avvioene l’incontro. Il contributo di Maurizio Degl’Innocenti, autore di un libro dedicato proprio a Garibaldi è notevole: Al di là del mistero che certamente avvolge il percorso che porta alla santità o all’oblio, c’è la presenza di un uomo dalle doti rare, protagonista di fatti ed eventi eccezionali, dal coraggio inossidabile, che ha affrontato con slancio, privazioni, dolore e dal grande fascino. In questo complesso percorso della nascita dei miti, realtà, cronaca e deformazione dei fatti si intrecciano, e attori e spettatori, come nel teatro, sono reciprocamente attivi. Se tu ne sai qualcosa in più sull’argomento fammelo sapere.
C’è un libricino che langue nella mia libreria e che sta inesorabilmente sbriciolandosi. Decisamente prezioso. È del febbraio 1989. Un tascabile Bompiani assai malmesso edizione speciale per L’Espresso. Perché te ne parlo? Alle sue pagine ingiallite che ormai si stanno scollando devo la riscoperta di un autore, di un grande autore della letteratura del Rinascimento italiano che la vetrina della grande letteratura a volte trascura. Un libro senza alcuna pretesa che amo particolarmente perché mi ha accompagnato in metropolitana, nella sala d’attesa del dentista, mentre aspettavo un amico al bar. Estrarlo dalla tasca della giacca e cominciare a leggere era una piacevole abitudine. Così ho potuto leggere le disavventure di un bandito del mare: Nu lezem dun pirata, dun barruer de mare, lo qual robava le nave e feva omiunca mal, e tuto zo kel errasse entro peccao mortal, grand ben voleva a la matre del Rex celestial. Scritto da Bonvesin de la Riva, terziario nell’ordine degli Umiliati, milanese; fra le altre opere in lingua volgare tradusse un manuale sul modo di comportarsi a tavola.
De quinquaginta curialitatibus ad mensam. Tornando al nostro bandito in ammollo egli era devoto alla Madonna, ma lo vediamo far naufragio e, divorato dai pesci sino al collo, può solo invocare la vergine per la sua anima peccatrice e così la Madonna lo accontenta. Due frati che passavano su un’altra nave lo confessano e lo benedicono. E il pirata può così morire in pace. Il libricino che cade a pezzi è davvero importante. Dentro infatti ci trovate Jacopone da Todi, S. Francesco, Dante, Boccaccio, Poliziano, Petrarca, ecc. (a cura di Enzo Golino – Introduzione dei testi e note di Giacomo Spagnoletti-consulenza di Maria Corti.)
Agli editori, piccoli artigiani o colossi internazionali chiedo: Perché non provate a stampare più spesso edizioni a perdere, di infimo costo o addirittura gratuite, seppur così ben fatte come il tascabile che conservo con amore e riguardo? Non è un’operazione in perdita. Ve lo assicuro. Anch’io due secoli fa mi occupavo di marketing. Attualizzare la cultura non significa banalizzarla, o annacquarla, ma glielo devi dare il gusto alla gente, o prima o poi apprezzerà…si spera. Ci potreste mettere sopra la pubblicità dei vostri libri e altro. Sarebbe un modo per introdurre opere con vesti più importanti e a prezzi remunerativi. Una sorta di assaggio semigratuito in vista del pranzo. Perché non distribuire edizioni usa e getta (per chi le vuole gettare, ovviamente, non certo io) da distribuire insieme a una Coca Cola, a un panino, al biglietto di un cinema o a un CD, oppure al supermercato, in omaggio per spese superiori ai dieci euroo sterline. Ti ricordi cosa ti davano in premio se ti abbonavi all’Automobil club? Mi son fatto di quei dizionari! Ma erano altri tempi. Dirai, mica vero, siam sempre quelli, basta che molli per un attimo l’iPhone che ti ammazza il cervello alla ricerca di qualcuno che ti cerca. Ma se ha bisogno davvero ti chiama. Lasciamo stare. Nel metrò di Milano ogni tanto accade di trovare cose del genere. Librettini in bacheca. Ma ci vorrebbe ben altro. Distribuirli nei bar, nelle tabaccherie, in panetteria, del resto anche questo è cibo, cibo per la mente (l’espressione non è mia). Un modo come un altro per smitizzare la cultura, per renderla quotidiana, alla portata di tutti, per informare e far amare alla gente storia, personaggi e miti, avvicinandola alle persone, se sta su un piedistallo nessuno la vuole, pensa che non sia fatta per lui. Benigni insegna, con la lettura del suo Dante ha riempito le piazze e ci ha commosso, interessato e avviato alla ricerca. E se provassimo a moltiplicare per mille questo genere di impresa te non pensi che porterebbe i suoi frutti? Sarebbe senz’altro un antidoto al rimbambimento dovuto all’uso indiscriminato, cioè normale, dell’ ‘iPhone.
La notizia l’ho ricavata da un ritaglio di giornale ingiallito, probabilmente del 1984; l’articolo è di Franceso La Valle e il giornale è IL GAZZETTINO. Se fai qualche ricerca scopri quello che ho scovato io e che merita nuova attenzione. Ve la riporto come l’ho letta, evitando di commentare. Americani Sul Grappa – Documenti E Fotografie Inediti Della Croce Rossa Americana in Italia Nel 1918GIOVANNI CECCHIN Published by Asolo 1984.
Ancora un libro, memorie, due personaggi stratosferici, così lontani eppure così intimamente legati nell’ammirazione che uno provava per l’altro, non so se ricambiata, e poi nella disillusione per un sogno andato in frantumi. Ernest Hemingway e Gabriele D’annunzio. Ovvero la strana coppia. Scrive lo scrittore americano: “mentre fumavo, vagavo col pensiero al grande amatore che, esaurito l’amore per la donna, stava ora spremendo sul suo infuocato cranio le ultime gocce di amor patrio. Com’egli avesse messo da parte i decreti delle nazioni per fare il filibustiere. Questo eroe ormai vicino al disarmo. Un amante che era solo fallito in una ricerca, quella della morte in battaglia. Avrebbe egli incontrato la morte che cercava o sarebbe stato di nuovo beffato?
Pensavo all’ultima volta che l’avevo visto quando scese dalla carlinga dopo il raid della Serenissima su Vienna. Come, con quel suo aspetto di vecchio avvoltoio calvo, egli s’era sfilato il pugnale con l’impugnatura d’avorio che portava alla cintura sopra il maglione di aviatore e disse al pilota: “Tu hai perseguito il tuo obiettivo, io no!”, e s’incamminò via. Mentre pensavo a questo D’Annunzio e guardavo dalla battagliola, mi sentii premere contro le costole la punta di un pugnale e una voce mi sibilò “Che fiamme?” “Fiamme nere” ansimai contro il parapetto.” Benissimo Scribe Frog Eyes (scribacchino occhi di rana). Finalmente si salpa, mi disse in inglese “Voltati…Grifone sta pilotando fuori il piroscafo…stai andando a Fiume Scribe. abbiamo requisito la nave stanotte. “Diavolo d’un Picks! Ora siamo lontani dal Grappa!” dissi. ….” Ora tutti gli Arditi sono laggiù col Gabriele. Bisogna stare nel gruppo. Questa sì che è vita.” firmato Ernest Hemingway.
Nell’articolo ci leggi anche: A Chicago Hemingway nel 1922 scriveva del poeta calvo: “Mezzo milione di cristi d’italiani morti- che spinte e stimoli per la sua carriera quel figlio di puttana” e l’articolo di Francesco La Valle conclude: In un personaggio della complessità di Hemingway, l’dentificazione ambivalente con D’Annunzio è sempre stata presente. Nel 1922 scriveva di lui nel contesto della famosa intervista a Mussolini: “D’Annunzio,… il vecchio calvo, forse un po’ matto, ma del tutto sincero e divinamente coraggioso fanfarone”E ancora nel 1950 in DI LA’ DAL FIUME E FRA GLI ALBERI: “il grande meraviglioso autore de IL NOTTURNO”. E fu proprio dal D’Annunzio musico della parola, oltre che “eroe” che Hemingway fu profondamente influenzato: dalla “magia” di una prosa fonica e ritmica, di semplicità e complessità evocative della musica. Tutte cose da approfondire, non ti pare?
Lasciami solo aggiungere una considerazione a margine, che ha il sapore dell’ovvio. Poteva forse continuare all’infinito quell’epoca di eroi, l’esaltazione del sangue bramoso di gloria e della mente che agognava nuove mete, emergenti come un fiume in piena nelle pagine del IL LIBRO ASCETICO DELLA GIOVINE ITALIA e nei discorsi esaltati con cui il Vate arringava i suoi legionari? Poteva andare oltre quell’avventura dello spirito, del sangue e delle armi, eredità ardenti ma scomode della prima guerra mondiale? Non poteva, è la risposta, infatti già si stava preparando il tempo nuovo, quello della normalità, della mediocrità dei nuovi soggetti politico sociali europei, anche se sarebbe occorsa una nuova guerra. L’eroismo, l’esaltazione, come l’amore e l’ardimento sono fratelli della giovinezza, quella che il vecchio avvoltoio calvo e un po’ matto, secondo Hemingway, ma sincero, non si rassegnava ad aver perduto; la normalità per lui era morte, ma non quella cercata in battaglia, bensì quella che esige oblio, silenzio, tacita rassegnazione, asservimento a nuove regole di vita per preparare una terra senza eroi, né proclami.
Possibile che non ci sia un filo di retorica, di nostalgia, o magari di apologia? Nulla di tutto questo. E perché? Perché IL BARONE IMMAGINARIO, a cura di Gianfranco De Turris, edito da MURSIA, ha centrato l’obiettivo, andando ben oltre le aspettative, trattandosi di opera viva, attuale, originale, e di insospettata suggestione. La sua lettura risulta godibilissima, anche per chi non conosce il personaggio al quale i brevi racconti si ispirano. Il suo protagonista anima un mosaico vivace, fatto di avventure, situazioni, luoghi fantastici e non; un’impresa non da poco e di gran presa su chi legge. Il protagonista: Julius Evola, catapultato in vicende fantastiche, surreali, mistiche, improbabili o realistiche, mai comunque banali. 18 racconti ispirati alla sua figura che fanno rivivere uno dei piú straordinari, meno noti e dibattuti filosofi del nostro recente passato. Del passato europeo intendo, non solo dell’Italia.
Esponente di spicco del dadaismo in Italia, se fosse nato in Francia non si sarebbe esitato a dedicargli monumenti e intitolargli biblioteche, vie e piazze. In Italia occorre aspettare che la cultura “ufficiale” decida cosa fare di un personaggio, diciamo così, scomodo e ” contro”, che aveva legami col fascismo e il nazismo, anche se ne criticava aspramente certi aspetti. Non per niente la Gestapo aveva aperto un fascicolo su di lui e una guardia del corpo lo proteggeva per le critiche avanzate verso gli squadristi. Bisogna insomma che l’intellighenzia culturale italiana vigente (sempre se ne esiste una) sdogani personaggi di quel calibro, al punto che, tanto per dirtene una, Umberto Eco, uno dei nostri recenti maître à penser non perdeva occasione per denigrare Julius Evola e la sua opera, al salone del libro di Francoforte. L’aletta di copertina del volume di MURSIA dice: Diciassette scrittori contemporanei oltre a Volt, il conte futurista, hanno raccolto la “provocazione” di Gianfranco De Turris e si sono misurati con il Barone, immaginandone incontri, avventure, amanti, indagini, pensieri, battaglie. Un’impresa non da poco, considerato lo spessore del personaggio, le sue tesi rivoluzionarie, maturate su antichi testi, l’osservazione del reale attuale e i suoi rapporti “imperdonabili”. Anche Mister Bannon, l’ex guru di Donald Trump, che lo ha successivamente silurato e poi, pare, recentemente riabilitato, cita Evola, questo la dice lunga sull’influenza e la fama del filosofo romano, anche in America, al punto che un articolo del New York Times ne parla. Mi rimane il dubbio se Steve Bannon e Jason Horowitz , estensore dell’articolo, conoscano a fondo il pensiero evoliano. Gli autori: Bernardi Guardi, Bizzarri, Cimmino, de Angelis, Farneti, Frau, Gobbo, Grandi, Henriet, Leoni, Monti-Buzzetti, Passaro, Rossi, Rulli, Scarabelli, Tentori, Triggiani, Volt. Qui di seguito, suddivisi in tre post susseguenti, i loro racconti: LE PAROLE CHE UCCIDONO, Scritto dal conte Vincenzo Fani Ciotti alias Volt futurista, il racconto apre l’antologia dei diciotto, presentati da Gianfranco de Turris ne Il Barone Immmaginario per Ugo Mursia. Personaggi e interpreti: Arnaldaz alias Arnaldo Ginna, ovvero Arnaldo Ginanni Corradini, Ettore Biunfo, bizzarra cavia calabrese, De Pero, Balla, Evola, la presenza invasiva dell’opera di Marinetti mentre si recita la sua Maria futurista, in una Roma sorniona e proiettata verso l’avvenire. Il milieu occulto del futurismo romano è il vero protagonista del racconto, fra scherzi, lazzi e scenate semiserie si parla di energia astrale, di Scienza dell’Avvenire, di pazzia che sarebbe genialità rientrata, di Genio e pazzia che rampollano da una medesima fonte, mentre Evola spiega a Balla il funzionamento del suo complesso plastico meccanico intitolato Siluro in azione.
Sembra che i protagonisti siano quattro amici al bar e invece sono l’avanguardia dei movimenti dadaisti e futuristi italiani. La Roma futurista va a mille in questo divertente racconto in cui si bighellona al Pincio per finire nello scantinato di Balla dove De Pero porta in braccio la sua marionetta, ovvero la ballerina gravida. Fra piazza di Spagna e il Pincio mentre arriva di gran carriera il camion dei pompieri per spegnere un incendio inesistente nel negozio di un ottico. Qualcuno aveva gridato al fuoco! ma per scherzo. IL DRAGO ETERNO di Adriano Monti-Buzzetti è il secondo racconto del libro. Herman Hesse, un saggio tibetano dagli straordinari poteri e un giovane Evola che bussa e ribussa al portone di una strana casa del Canton Ticino, alla ricerca spasmodica di verità urgenti su se stesso e sul mondo. “Il cielo era cremisi e un’immensa luna color sangue incombeva sul pianoro. Incitate dagli sproni del cavaliere in armatura, le zampe del palafreno aggredivano senza suono il terreno arido e frastagliato da crepe infinite….Infine, anche in quell’eterno presente qualcosa cambiò.
Il cupo monte dispiegò le sue ali e fu un drago….”Il tuo drago” spiegherà il saggio tibetano, dopo la tenzone, al giovane Evola incredulo, “era reale, in effetti, ma su un diverso piano dell’esistere…Ogni battaglia del Cavaliere col Drago è l’immagine eterna di una lotta interiore per superare la parte oscura di noi stessi…Eppure a modo suo egli è uno sciamano” concluderà il lama riferendosi a Evola, ormai congedatosi, … e credo che la vostra strana cultura oggi, abbia bisogno di tutti gli sciamani che può trovare.” disse il lama all’indirizzo di Herman Hesse.
LA MALEDIZIONE DI PALAZZO CHIGI di Max Gobbo. C’è Mussolini nella Sala della Vittoria che sta chiedendo a Evola: “Qual’è la sua opinione sul sovrannaturale?” Il Duce, impensierito da alcuni inquietanti fenomeni, si sente spiato e non sa spiegarsi l’origine di certi rumori e di alcune cose trovate fuori posto e poi della sua Alfa Romeo che fa bizze davvero incomprensibili, senza parlare di un pugnale che va a conficcarsi nello schienale della poltrona del Duce. Illusionismo?
cospirazione? azione di campi magnetici? forze occulte invisibili? Oppure potrebbe essere Aleister Crowley il mandante? e il suo “sicario” un sarcofago egizio, dono di una delegazione straniera malintenzionata. Un sarcofago gravato da una maledizione. Nel racconto si legge: “La scrittrice Sarfatti scrive che Mussolini, venuto a conoscenza della morte prematura di Lord Carnarvon, scopritore della tomba di Tutankhamon, ordinò che il sarcofago avuto in dono, venisse rimosso da Palazzo Chigi e trasferito d’urgenza in uno dei musei etnografici della capitale. MURSIA
JULIUS EVOLA RIVOLTA CONTRO IL MONDO MODERNO La Tradizione, il Rito, la Casta. Sapevo di introdurmi in un ginepraio ma non immaginavo che il ginepraio si sarebbe trasformato in una foresta inestricabile dalla quale è quasi impossibile uscire, per via della complessitá dei temi e delle implicazioni delle sue opere. Le sue tesi sono infatti rivoluzionarie. Matematico, Dadaista, pittore, quasi ingegnere, fascista critico verso il regime e privo di tessera del partito, esoterista, filosofo e altro ancora. Ho pubblicato questo post dieci anni fa e continuo a modificarlo, perché la sua figura e i temi a lui collegati sollevano ancora oggi interrogativi, dubbi, contestazioni a non finire e, soprattutto, un interesse destinato a crescere. Qualcuno ricorda anche come Umberto Eco non perdesse occasione di attaccarlo e denigrarlo a piú riprese e senza remore durante la Fiera internazionale tedesca del libro. Affascinato dall’ampiezza e profondità del suo pensiero e per i risultati di uno scandaglio analitico che fruga nel mito, nei riti, nei simboli e nell’aldilà ripubblico il post modificato. Aderí alle ideologie del Fascismo e del Nazismo, dai quali comunque prese le distanze e dai cui organi di controllo venne strettamente sorvegliato perché fortemete critico nei loro confronti. Affascina il modo in cui conduce le sue analisi sugli ultimi duemilacinquecento anni di storia occidentale. Sto parlando di Giulio Cesare Andrea Evola, e delle sue tesi rivoluzionarie che pongono in cima alle sue riflessioni i valori della Tradizione.
Non ho avuto modo di conoscerlo; gli avrei espresso alcune perplessità, e invece ho potuto apprezzare alcune sue opere attraverso l’appassionata disamina del mio amico e mentore, conte Aldo di Acquesana signore Ricaldone, autore di opere fondamentali sulla storia del Monferrato. Antibolscevico, anticapitalista, antiborghese, e infine critico verso i regimi totalitari; «non ci s’illuda: il fascismo non fa che proclamare tali valori (valori di gerarchia) ma di fatto mantiene una quantità di elementi democratici e borghesi da far paura. Che cosa sia la guerra, la guerra voluta in sé come un valore superiore sia al vincere che al perdere come quella via eroica e sacra di realizzazione spirituale che nella Bhagavadgita si trova esaltata dal dio Krishna, che cosa sia una tale guerra non lo sanno più questi formidabili “attivisti” di Europa che n1on conoscono guerrieri ma soltanto soldati e che una guerricciola è bastata per terrorizzare e per far tornare alla retorica dell’umanitarismo e del patetismo quando non ancora peggio a quella del nazionalismo fanfarone e del dannunzianesimo. La misura della libertà è la potenza: non dovrà essere più l’idea a dar valore e potere all’individuo ma l’individuo a dar valore, potere, giustificazione a un’idea. Volere la libertà è tutt’uno che volere l’impero». Così scriveva. Idee da non prendersi alla leggera. Fascismo e Nazismo che pure lo avevano apprezzato, erano rei, secondo lui, di non avere saputo perseguire i veri valori fondanti l’Impero, incapaci di ricercare e coltivare l’ispirazione divina e la spiritualità primeva tipica dei veri re nel governo dei popoli.
Un pensatore inquietante e, aggiungo: necessario, assolutamente moderno, che getta la sua lunga ombra sul nostro presente. Autore di un’opera densa e articolata, gran parte ancora da interpretare a fondo, messo all’indice e osteggiato dalla sinistra europea per le sue idee. Ma è venuto il tempo di distinguere, di discernere, di estrapolare quanto di valido e inedito c’è nel suo pensiero, verificandone dinamicamente la presa sulla società contemporanea. Le sue idee fanno discutere, affascinano per la loro profondità, per la lucidità e chiarezza esplicativa. Dagli Egizi, agli Iranici, dall’Impero Romano agli dei indù, dall’Olimpo greco al conflitto medievale fra Papi e imperatori …ma vediamo di andare per ordine. Poeta, pittore dadaista e filosofo tradizionalista. Evola si espresse in pittura, aderendo alle tendenze artistiche più moderne. Conobbe Tristan Tzara e fu esponente di spicco del Dadaismo in Italia. Nell’ambito della poesia entrò in contatto con Gottfried Benn e Filippo Tommaso Marinetti quindi fu attratto dal Futurismo. Malgrado i suoi contatti con l’ambiente futurista romano pare che Marinetti, dopo aver letto un suo scritto dicesse: Le tue idee sono lontane dalle mie più di quelle di un esquimese. Nel 1917 partecipò alla Prima guerra mondiale come ufficiale di artiglieria. Fondò la rivista La Torre, difendendo princìpi sovra politici e quindi invisa al regime fascista: Evola fu costretto a farsi proteggere da una guardia del corpo …Ma lasciamo ai numerosissimi siti internazionali e italiani le note biografiche e i punti salienti del suo pensiero.
Ho scrutato dentro la sua opera più cospicua e famosa, per rintracciare i motivi dell’ostracismo intellettuale che dovette subire e che ancora in larga parte oggi va soggetta la sua reputazione. Solo dopo aver riletto RIVOLTA CONTRO IL MONDO MODERNO scrivo. Ma ogni volta che apro le sue pagine sento il bisogno di riflettere. L’esposizione delle sue tesi si fonda sui testi sacri appartenenti alla storia dell’intera umanità. Tentare di applicare anche solo in parte alcune delle sue teorie alla nostra epoca ci costringe a riflessioni di sconcertante attualità e a constatazioni angoscianti. Una lettura impegnativa ma appassionante e molto utile, anche se non facile. Saranno opportuni altri post perché uno solo risulta insufficiente a parlare delle sue idee.
Colonizzazioni, sfruttamento, repressione indiscriminata, persecuzioni e stermini sono termini che trovano sicuro e immediato riscontro nel panorama della storia degli ultimi secoli. Ma prima di offendere la reputazione di inglesi, spagnoli, portoghesi, francesi, olandesi e alla fine anche italiani, (il ruolo deigiapponesi merita un discorso a parte per via del loro abominevole sadismo durante gli ultimi conflitti) dicendo che siamo stati assassini feroci e stupratori di popoli, voglio darti prima qualche notizia, dopo aver curiosato qua e là in vari siti.
Le informazioni sono provate da fatti, documenti e dati alla mano e non ci sono state obiezioni contrarie al riguardo, se mai ammissioni. In quattro secoli si ritiene che tra i 55 e i 100 milioni[1] di nativi morirono a causa dei colonizzatori, come conseguenza di guerre di conquista, perdita del loro ambiente, cambio dello stile di vita e soprattutto malattie contro cui i popoli nativi non avevano difese immunitarie, mentre molti furono oggetto di deliberato sterminio poiché considerati barbari. (Mao tse Tung era riuscito a sterminare “solo” settanta milioni di cinesi, ma lo ha fatto a casa sua, Stalin e Hitler una quindicina di milioni mal contati.) Altre fonti sostengono che lo sterminio in cinque secoli riguardasse 114 milioni di “barbari.” Solo nel Nord America i morti furono 18 milioni. Ossia sotto Manhattan, la Casa Bianca, Seattle e Los Angeles e via discorrendo si trovano più ossa di indiani massacrati e deportati che altro. Ho il macabro gusto delle metafore. Ma detto così fa più effetto. Altre notizie dicono: Vennero ridotti in schiavitù moltissimi nativi e utilizzate le ricchezze del loro territorio fertile e dal sottosuolo ricchissimo, favorendo di fatto lo sviluppo economico in tutta l’Europa, e non solo in Spagna e Portogallo.
I maggiori sostenitori e beneficiari di questa politica di sfruttamento furono infatti il Regno Unito, Spagna, Portogallo Francia e i Paesi Bassi. Sostanzialmente, i colonizzatori crearono un continente dal quale attingere oro, argento (utilizzando la manodopera dei nativi ridotti in schiavitù) e prodotti agricoli da monocolture (installate bruciando le foreste e le coltivazioni presenti prima dell’arrivo di Colombo)….Ben presto però, fra tutti i coloni, prevalsero gli inglesi che giunsero a dominare l’intera fascia costiera, dove un po’ alla volta si formarono 13 colonie, il nucleo fondamentale di quelli che un secolo più tardi divennero gli Stati Uniti d’America (1776).[2] Nel 1864, durante la guerra di secessione americana, avvenne una delle battaglie indiane maggiormente degne di infamia, denominata non a caso il Massacro di Sand Creek. Una milizia locale, al comando di John Chivington (il quale sosteneva l’eliminazione dei nativi, e che essi andavano «scalpati tutti, grandi e piccoli»[24]), attaccò un villaggio Cheyenne ed Arapaho situato nel sud-est del Colorado ed uccise e mutilò indistintamente uomini, donne e bambini. I soldati, molti di loro ubriachi, stuprarono le donne e fecero il tiro al bersaglio con i bambini. Penso che basti, altre amenità le puoi rinvenire nel sito Genocidio dei nativi americani. Queste le sommarie notizie di un massacro dell’altro ieri. Quello che voglio dire senza poter essere smentito e che allo sviluppo europeo e americano ha contribuito in modo determinante l’attività predatoria di ieri, su popolazioni che stavano a casa loro, indisturbate e che, prendendo a pretesto la lori inferiorità (presunta) l’Europa, culla di civiltà antica li abbia massacrati, depredando la loro terra, impunemente. Non sono passati millenni, ma due secoli, una inezia nella Storia.
Nella storia vince il più forte? Sì, sempre, anche se il vero barbaro è quello con la maschera del civilizzatore che sta “educando” i barbari. Come si chiamano i più forti? spagnoli, portoghesi, americani, inglesi, e francesi. I cinesi han fatto le cose in casa liquidando decine di milioni di persone, ai russi, e ai tedeschi si sa come è andata. Il nuovo mondo, se guardi bene la faccenda, è stato edificato su sterminati cimiteri dove i cadaveri erano fitti come spighe di grano. Insieme agli uomini e donne Navajo, Sioux, Cherokee è stata distrutta la loro spiritualità, che avevano in abbondanza, Non so cosa sia rimasto del Grande Spirito o Wakan Tanka, so cosa abbiamo fatto noi del nostro. Perché indignarsi davanti a una realtà di fatto? Accusare Inglesi, Spagnoli, Francesi e Americani? A che pro? Sarebbe velleitario, antistorico. Ci ha provato anche Marlon Brando e qualcuno ha detto che era una trovata pubblicitaria. Perché l’attore disse: “Per 200 anni abbiamo detto al popolo indiano, che si batteva per la propria terra, la propria vita, le proprie famiglie e il proprio diritto di essere liberi: ‘Deponete le armi, amici, e potremo vivere insieme’. Quando hanno deposto le armi, li abbiamo uccisi. Abbiamo mentito loro. Li abbiamo truffati delle loro terre. Li abbiamo costretti a firmare accordi fraudolenti, che abbiamo chiamato ‘i trattati’, che non abbiamo mai mantenuto. Li abbiamo trasformati in mendicanti in un continente che ha dato loro la vita”.
Questo disse il grande divo e io che non ho nessuna voce in capitolo e che mi manca un’audience planetaria come era la sua, ma che posso vantare ben 44 followers! dico: Le nazioni più potenti del mondo sono state edificate sulle ossa di montagne di cadaveri, beh, nemmeno tanto originale, ti pare? Allora cosa resta? non credere ai titoli dei giornali, non indulgere ad analisi preconfezionate e di parte, ma informarsi, andare a vedere come trattavano i pellerossa i soldati con la giubba blu e grigia. E cosa facevano i coloni vomitati dall’Europa, che gli era diventata stretta, eccetera, per creare l’ultimo o il primo dei mondi indesiderabili. Vedi tu come considerarlo. Per informazioni di prima mano ti consiglio di leggere Tropico del Capricorno e Il giorno della locusta. Ma questa è un’altra storia.
IL POPOLO DELL’ABISSO. Cosa c’entra Jack London con Engels, Marx e Stephen Crane? Cos’ha a che fare l’East End londinese di primo Novecento con il Manifesto del Partito comunista? Vediamolo. Il Popolo dell’abisso è uno dei racconti meno accattivanti e meno suggestivi del grande Jack, forse anche un po’ noioso, ma sicuramente fra i più impegnati socialmente.
Lui ci teneva in modo particolare al suo impegno sociale, avendo a cuore la sorte degli infimi. Ma non ce la fa Jack London a calarsi completamente nella disperazione e nel degrado degli slum londinesi per diventare uno degli ultimi della terra. Ha bisogno di respirare. Ha bisogno di un pasto caldo, di un letto, ogni tanto. L’identificazione coi disperati non gli riesce del tutto. Ma ci ha provato, volendo vedere, capire e denunciare. Il degrado spaventoso, l’abiezione, la miseria anche dell,anima senza appello. Occorre dargli merito per questo scandaglio. A pag 85 si legge: …O voi fortunati della terra, che potete mangiare a sazietà, che vi crogiolate pigramente, tutte le sere, nel vostro letto dalle lenzuola bianche, nelle vostre camere spaziose, sempre pronte ad accogliervi, potete voi soltanto comprendere con precisione quale sarebbe la vostra sofferenza, uguale in tutto a quella di questa gente, se doveste passare, per le strade di Londra, tutta una lunga notte? …. A pag 89: Sul marciapiede viscido, macchiato di sputi, raccattavano delle bucce d’uva, che mangiavano… Raccoglievano ancora, qua e là, delle briciole di pane, della grossezza d’un pisello, dei torsoli di pomo, così neri e disgustosi che non somigliavano più a niente…Colle viscere annerite dai rifiuti del pavimento, essi invocavano tempestosi sommovimenti. Si esprimevano da anarchici, da fanatici, da pazzi! …. Jack London scandaglia il degrado londinese, Stephen Crane fa lo stesso, con la sua prosa tagliente come un coltello, facendo morire quella sua smarrita protagonista Maggie, suicida nel fiume. Entrambi gli scrittori puntano il dito su una condizione che di umano possiede assai poco. Ma c’era stato qualcuno che 50 anni prima aveva lavorato per porre fine a questa condizione, elaborando una dottrina che, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto elevare e portare quella plebe subumana al governo. Marx e Engels mettono al centro del loro interesse anche quei diseredati. Fra le pieghe del più vasto e potente impero del mondo odierno i paria di Londra, sull’ultimo gradino del sottoproletariato urbano rappresentano una condizione sociale, umana, psicologica devastata. Sarà proprio a Londra che Engels, al di fuori di metafora, incontrerà Maggie, John, Lucy, gli esseri subumani, aspiranti suicidi. Nel grembo dell’impero più grande e ricco di tutti i tempi, i semi della rivoluzione social comunista trovarono terreno fertile. L’impero saprà modificarsi e rigenerare quei suoi figli che agli inizi del ‘900 pullulavano nell’atroce ventre di Londra. Ci vorranno decenni e ai primi del ‘900 poco è ancora mutato. La denuncia del grande Jack, in un libro dal soggetto nauseante, coglie nel segno e rende ancora più grande, se possibile, l’autore. Se proprio dobbiamo fare un confronto fra London e Crane, quest’ultimo privilegia il vissuto e il parlato attraverso una crudezza di linguaggio e con un verismo inediti, che lasciano sbalorditi. Joseph Crane, il cronista, supera in questo confronto il mitico Jack, l’americano fanciullo. La sua è denuncia senza commento né rimprovero. Per questo ancora più efficace. Engels fa un ritratto ancora attuale dell’«ondata di terrore» che pervase la borghesia di Manchester con l’avvicinarsi di un’epidemia di colera: “Improvvisamente si ricordarono delle insalubri dimore dei poveri e rabbrividirono nella certezza che ognuno di quei miseri quartieri avrebbe costituito un centro di infezione dal quale il morbo si sarebbe diffuso rovinosamente, in tutte le direzioni, verso le case della classe possidente. Venne nominata sull’istante una commissione di igiene per ispezionare questi quartieri e fare un preciso rapporto al consiglio comunale sulle loro condizioni.. “Ogni grande città, prosegue Engels, ha uno o più “quartieri brutti” nei quali vive la classe operaia, sono questi i quartieri che ospitano “i membri più poveri, più disperati, più avviliti della popolazione”, sono le “fonti di quelle spaventose febbri epidemiche” che periodicamente nascono e si diffondono; sono zone “sporche, strette e già da sole sufficienti ad abbreviare la vita degli abitanti, particolarmente dei bambini piccoli”. Engels scrive in quegli anni, (era il 1845 per l’esattezza) ne:
LA SITUAZIONE DELLA CLASSE OPERAIA IN INGHILTERRA scritta a Manchester: …Altri industriali facevano lavorare parecchi operai per trenta, quaranta ore di seguito, e ciò parecchie volte alla settimana. Le conseguenze di questi fatti si manifestarono ben presto: nelle fabbriche aumentava la presenza di storpi, i quali dovevano la loro minorazione unicamente all’eccessivo prolungamento del tempo di lavoro. Questa minorazione, consiste di solito in una deformazione della colonna vertebrale e delle gambe Cinquant’anni dopo, ai primi del ‘900, Jack London si cala nell’inferno dell’East End londinese per verificare che assai poco era cambiato. Il terremoto che avrebbe sconvolto il mondo non era ancora iniziato.