MARINETTI IN RUSSIA
Originalità russa di masse distanze radiocuori. Il testo che ho di fronte fu scritto presumibilmente nel 1942, da un teorico dell’avanguardia, letterato di fama mondiale nonché accademico d’Italia ma anche ufficiale superiore di truppe scelte: dal maggiore degli arditi Filippo Tommaso Marinetti, classe 1876, comincia così la niente affatto superflua prefazione del libretto edito da Voland. A cura di Maria Delfina Gandolfo. Introduzione di Michele Colucci.

Romanzo inedito del maestro del futurismo italiano che si cimenta in una prosa su tema russo al ritorno dal fronte sovietico. Un libro che aggiunge una pagina importante alla conoscenza di una delle figure più significative dell’avanguardia letteraria europea. Così scrive l’editore a proposito di quest’opera. Che ci faceva Marinetti in Russia? Pare che facesse scavare buche ai suoi arditi per contrastare l’avanzata dei carri armati sovietici. Non c’è traccia di combattimenti, di propaganda politica, né tantomeno di odio verso i nemici russi. Tutt’altro. Ma quello che colpisce in questa prosa rutilante, disseminata di simboli, malinconia, e di lancinanti solitudini, disassemblate e tuttavia coerente che ritrae con puntiglio e precisione una realtà attraverso una lente deformante di una nuova lingua-visione, senza punteggiatura, coi verbi all’infinito che recita: a pag 111: In realtà mercé gli elastici incalcolabili caloriferi tubolari d’ottone massiccio del sole che addenta golosamente l’insipida monotonia delle colline…. Una realtà tipicamente e inconfondibilmente russa, corroborata dalla familiarità col presunto nemico che stupisce. I veri nemici dei russi sono altri, i tedeschi di von Paulus che stavano per essere intrappolati dalle truppe russe. Ci sono un sacco di puzze in questo libro, odori strani, di benzina, di sostanze chimiche, odori di ogni categoria, e poi masse di prigionieri magistralmente descritti, come fiumi biblici semoventi. Ci sono anche nidiate di eliche felici e poi le donne, tante donne. Onnipresenti e amate. Un’opera che ancora oggi colpisce rimandando a quella ondata geniale e anarchica del movimento Futurista. E poi ancora le donne russe: violento fruscio d’erba passo vispo erotico da scolaretta in ritardo mi sfiora diretta all’isba la studentessa di Kiew conosciuta nell’accampamento sotto il nome di Vera Globulowa. Vieni Marinetti dice il generale che la studentessa è entusiasta dei tuoi versi. il venticello che non ha nulla di siberiano napoletaneggia i sui tepori mentre contadine guazzanti scultori architetti a gambone rosse impolpano di un polentone di argilla e sterco. Mio passato di gloria soccorrimi risorgendo nella tua palpitante vita con le febbrili smanie di tante braccia femminili ed erano tutte belle quelle donne accese di languore e voluttà Nuda. Nuda devi essere nuda poiché sei perfetta o mia Czarina. Ti rivoglio sensualissima danzatrice dell’Opera e come facesti concedimi ancor più di quanto prometti tu che hai le curve benigne e le suadenti anche evasive che gareggiano con quelle di questo fiume o donna russa Con l’odore di vaniglia e gelsomino del suo petto respirante Violetta Frescodanza staccandosi dal cartone quadrato vive ingrandendosi a statura umana fascino snello quasi spiralico della sua femminilità. Per quanto generose ed ineffabili talvolta affettuosamente materne le contadine russe bovare o porcare non mi rassicurano sul dubbioso incalzante pericolo di questa alba fredda in terra straniera Siamo stati molto calunniati noi italiani come brutali e sanguinari Ora si ricredono e qualsiasi ufficiale è accolto e l’amore si svolge sotto lo sguardo della madre o della sorella. Il buio assolve tutto anche la fecondazione…Sono lieto di apprendere che i futuristi russi sono tutti bolscevichi e che l’arte futurista fu per qualche tempo arte di stato in Russia. Scrive Filippo Tommaso Marinetti, maggiore degli Arditi.

Un italiano innamorato della Russia, nemica in guerra, amica nell’arte, nelle lettere e vicina nel comune sentire. No, i nemici veri dei russi non eravamo noi, Italiani, visto che ci eravamo andati per scavare buche anticarro. Alla fin fine uno dei frutti più cospicui di quella sventurata spedizione nel ventre della gran madre Russia fu la creazione di un gemellaggio sentimentale mai smentito né allora né dopo, che si nutriva di fascino latino e di avvenenza russa. Un libro che ci propina una teoria sull’arte e sulla vita da cui occorre prendere le distanze, ma di innegabile suggestione stilistica ed esistenziale. Un libro reperto storico e artistico su cui sarebbe opportuno fare più luce.