indagavano sul Covid 19

                      L’AGENTE SEGRETO – inedito

                                         
Vi dico quello che ho in parte appreso dai media occidentali e cinesi, quindi di pubblico dominio, in parte da alcune testimonianze raccolte in loco.  Ma soprattutto in base a una vicenda che mi ha coinvolto e sulla quale posso solo avanzare ipotesi pur essendo stato il suo attore principale. Non mi riferisco a qualche “incidente” simile a quanto rivelato da Le Monde e dalla trasmissione Quotidien, ovvero che due miei ex colleghi e la moglie di uno di essi sono stati sospettati di alto tradimento, avendo trasmesso informazioni secretate a una potenza straniera. Una fonte giudiziaria vicina all’inchiesta avanza più di una ipotesi: la potenza straniera sarebbe la Cina. Un precedente che si è forse ripetuto anche se in circostanze e modalità diverse riguardandomi da vicino? 

Mi chiamo Blaise Lagarde. Sono stato un agente speciale del DGSE, la Direction générale de la sécurité extérieure, servizio informazioni all’estero, dipendente dal Ministero della Difesa francese; ho avuto il compito di “documentare” quello che stava accadendo nel laboratorio di Wuhan e che mezzo mondo sospettava. L’ho fatto e con successo, ma le mie riprese fotografiche, che dovevano rimanere top secret, inspiegabilmente sono apparse su Twitter e con mio sommo stupore, su China Daily, riprese com’è ovvio, subito dai media occidentali. Anche se è trascorso molto tempo la mia posizione mi vieta di rivelare particolari; si correrebbe infatti il rischio di compromettere del tutto i rapporti diplomatici tra Francia e Cina, rimasti precari da allora. Su altri fatti che mi hanno successivamente coinvolto e che potrebbero  contenere la risposta a tanti perché devo comunque osservare il massimo riserbo. 

                                       IL RACCONTO

I laboratori cinesi di Wuhan sono stati il frutto di una travagliata collaborazione franco-cinese nata dall’intesa del 2004 tra Chirac e Hu Jintao. Non è una novità. Ma una volta terminati i lavori, noi francesi siamo stati estromessi dall’attività e da qualsiasi controllo del laboratorio. Diversi in patria l’avevano predetto. Infatti le decine di ricercatori del mio Paese, previsti dall’accordo, non sono nemmeno mai partiti per la Cina e il laboratorio P4 di Wuhan ha iniziato a operare a sua discrezione e in totale autonomia, al di fuori di ogni controllo francese, capitolo previsto inizialmente dall’intesa, e, forse, senza rispettare le scrupolose norme del protocollo per la manipolazione di sostanze estremamente pericolose… “Un laboratorio P4 è come una bomba atomica batteriologica”, ha riportato Le Figaro secondo fonti attendibili. “Le misure di sicurezza devono essere seguite alla lettera, secondo procedure analoghe a quelle adottate nei sommergibili nucleari.” Il timore che il laboratorio di Wuhan potesse funzionare al di là di qualsiasi verifica o tutela del mio Paese c’era e così è stato.  

“Il coronavirus è un virus manipolato sfuggito accidentalmente ai controlli  da un laboratorio cinese di Wuhan, mentre era allo studio un vaccino per l’Aids. La fuga può essere avvenuta  negli ultimi tre mesi del 2019.” Lo sosteneva un illustre scienziato, connazionale, Premio Nobel per la medicina.  Secondo lo studioso, l’origine dell’epidemia è acclarata e non necessita di ulteriori indagini. In base alla sua opinione non si tratta di dolo, ma di negligenza. Qualcun altro, sull’opposto versante, sostiene tesi diametralmente opposte: “Covid-19 non è nato in Cina”. A dirlo è la direttrice del laboratorio stesso di Wuhan, Wang Yanyi,  che respinge categoricamente ogni addebito negando che la struttura di ricerca abbia avuto una qualsiasi responsabilità nella diffusione dell’epidemia. Il China Daily, con mia enorme sorpresa,  aveva pubblicato i miei scatti “rubati” dell’interno dell’Institute of Virology di Wuhan, scatenando una polemica colossale, offrendo il fianco a bordate di interrogativi. Nello specifico: immagini di una delle celle frigorifere aperte, contenenti 1500 ceppi di virus diversi, incluso il coronavirus. Che talpe francesi operassero nella redazione del China Daily  lo suppongo soltanto. Paradossale che qualcosa di quel genere potesse accadere considerata la posta in gioco. Tuttavia potrebbe trattarsi di una “vendetta” postuma. Ma di chi? Dopo aver documentato ciò che avveniva nel laboratorio di Wuhan sono stato subito arrestato, anche questo è strano. Avevo ritratto la presunta “pistola fumante” ovvero: la porta aperta di una cella frigorifera coi suoi sigilli in evidenza, e poi un’operatrice che regge una serie di fialette contenenti agenti patogeni. Quello che segue è la cronaca fedele di ciò che ho vissuto allora, dopo l’arresto:

(AUSTRALIA OUT) Virologist, Associate Professor Stuart Turville, analyses the COVID-19 Omicron variant, at St Vincent’s Hospital’s Centre

More, ancora more! depositate in una scodella di latta e, nella seconda ciotola, dell’acqua. Era tutto ciò che giaceva sul pavimento della cella oltre a me, s’intende. Cibo bizzarro accompagnato da un po’ d’acqua. More! Da quanto tempo ero steso a terra in quello stato?! Mi pareva che fossero trascorsi anni. Come potevo saperlo?! No! mi dicevo, non devo commiserarmi, ma resistere! Dovevano avermi somministrato qualche sostanza stupefacente, avevo perso i sensi subito dopo l’arresto. Ero ancora assai confuso. Mentre l’allucinazione riemergente, impediva ogni ricognizione dell’ambiente e delle circostanze che mi avevano condotto lì, tuttavia, come un cane in procinto di annegare, annaspavo cercando di addentare qualcosa di solido, di aggrapparmi a brandelli di una realtà frantumata e incongrua, da cui fuggivo subito dopo per averne percepito l’insidia. Sperare significava affrettarmi in direzione della fine. Dovevo rinnegare la guerra di parole che agitava la mia mente, resistere alle allucinazioni come quella di avere braccia lunghe come funi. Non osservare, non credere…a nulla! Dormire di un sonno ristoratore!  Da tre giorni era quello il desiderio insoddisfatto. Nient’altro nella stanza illuminata giorno e notte dai neon se non le due ciotole e una seggiola che la mia alterazione suggeriva essere d’ausilio per le sedute di tortura condotte dai musi gialli. Da tre giorni il silenzio, l’assenza di ogni manifestazione di vita, c’erano solo le more. Minacciose che mi lasciavano immaginare la mia morte, probabilmente per inedia; avendo smesso di indagare quella stanza che dipingevo ancora più atroce di quello che le letture giovanili di Edgar Allan Poe e Howard Phillips Lovecraft  suggerivano, non potevo che attendere. Ero assalito, non da orde di topi famelici, né da cadaveri che mi trattenevano per la caviglia, appena fuoriusciti dalla loro tomba, no, niente di tutto questo. La mia era una tortura luminosa, se così posso dire, con amara allusione ai neon sovrastanti, un tormento per ora solo psicologico. Pensavo a certe terrificanti torture cinesi,  come quella della  goccia che cade sul cranio, sino a perforarlo, anche se io non ero bloccato e non v’era alcun aggeggio sospeso a suggerire l’eventualità. Minacciato da quel “cibo” bizzarro e  invitante la cui apparenza innocente ora mi terrorizzava! e che sicuramente i Cinesi avevano provveduto ad avvelenare. Resistere! Alle more appena colte, resistere a una ghiottoneria per molti. Infine resistere a me stesso! E poi, come ho detto, c’era quella luce potente sempre accesa che mi frugava. Quanto tempo ci voleva prima d’impazzire? Le more potevo evitarle, la luce no. 

Persi conoscenza. Erano quelli i momenti che i miei carcerieri attendevano per portare nuove more e acqua in cella. Da qualche parte dovevano esserci uno spioncino e un’apertura! ma dove? La mia missione equivaleva a una esercitazione nella mia carriera di agente speciale, troppo facile era stato! Dovevo cercare una prova  e l’avevo trovata ma la sensazione di essere stato facilitato proprio dai cinesi ce l’avevo. Perché?  Le immagini che avevo catturato  prima di sparire dalla rete il giorno dopo, seppi che avevano fatto il giro del mondo. Esse illustravano chiaramente una deficienza nella procedura di manipolazione delle fiale contenenti patogeni, sollevando dubbi sul grado d’isolamento della cella frigorifera stessa. Chi aveva trafugato le mie foto? Io avevo lavorato secondo un piano prestabilito nei dettagli che prevedeva in anticipo la loro pubblicazione a mia insaputa? O che altro? E la talpa cinese a cui dovevo dire grazie che faccia aveva? Per scattare quelle foto c’era bisogno della loro collaborazione, o meglio “disattenzione”. Fai presto, faccio finta di non vederti! Su, spicciati! Svelto! anche se conoscevo a memoria la topografia dei laboratori e l’ubicazione delle celle frigo, contenenti le fiale. Un rovello inestricabile contro cui nulla poteva la mia ragione. Ero io a tremare in tutto il corpo o fosse invece la scodella dell’acqua che le mie labbra tentavano di avvicinare. La scodella tremava. Mentre avvertivo un formicolio al cuoio capelluto e alle caviglie. La porta! Dov’era finita la porta d’ingresso alla cella? O non c’era mai stata!? L’LSD, fa questi “scherzi”. Da dove entravano allora? nemmeno l’ombra di una fessura. Una camera isolata, probabilmente sotterranea, adibita a prigione, in barba al protocollo internazionale sul trattamento dei prigionieri. Mi trovavo in un recesso sotterraneo sigillato dal mistero e dal silenzio da cui non sarei potuto più uscire, uno spazio ellittico dentro cui anche un animo più saldo del mio avrebbe capitolato. Il silenzio sarebbe stato il compagno della mia pazzia. Per quelle maledette foto che avrebbero dovuto servire “solo” come arma di ricatto o di rivalsa, o per rinfocolare dubbi, accuse per la collaborazione franco-cinese andata in malora. 

Nel mio corpo febbre e incubo facevano strazio, forse ero stato venduto, o tradito, A ondate i dubbi mi tormentavano, la mia missione aveva uno scopo a me sconosciuto, oppure che altro? Catturato dai cinesi che sapevano in anticipo delle foto? A chi giovava la loro pubblicazione? Era forse una vendetta degli stessi cinesi, e se sì, perché? Stavano complottando per mostrare al mondo le deficienze del laboratorio di Wuhan! Ipotesi che rimava con la follia.  Voci…no, mi sbagliavo. Solo rumori prodotti dal silenzio. Così sarei impazzito! A quella galera sotterranea illuminata a giorno ero stato condotto in stato di incoscienza. Assopito, riaprivo gli occhi senza tuttavia riconoscere la veglia dal sogno. Eppure… Ancora Rumori! Fatti da chi sta armeggiando sul mio capo con utensili da scasso. L’inedia cominciava a farmi perdere il senno. Eppure nell’angolo più lontano da me i rumori ora si ripetono, distinti. Un intero pannello della soffittatura il cui perimetro corrisponde a  quello della grata di protezione dei neon ora si sta muovendo. La luce ne impediva la vista. Per questo non l’avevo scorto, celato dal controluce. Qualcuno cerca di entrare da lì, ma non ci giurerei. Solo quando scorgo due figure in tuta scendere la scala retrattile che avevano calato sobbalzo, senza riuscire ad alzarmi tanta era la mia debolezza. Mi portano via! Mi uccidono! è finita! rumino. Ebbi la sensazione che la scena avvenisse dentro di me, tra retina e cornea. Sagome oscure che risaltano contro un sipario appena sfiorato da luminescenza. Come chi di colpo passi dal sole all’oscurità trattenendo l’impressione della luce negli occhi. Son dentro di me son bvenuti a uccidermi. Mi sollevano di peso facendomi cenno di tacere. Francesi! Sono salvo.


Se avete letto sin qui avrete notato che la mia storia contiene certe stranezze. La mia camera è la numero 23, numero dispari che non mi piace, sono ricoverato all’ospedale “La Timone” di Marsiglia al reparto psichiatria. Ogni tanto vengono degli uomini, uno di loro è in divisa, mi guardano, senza parlare con me, solo coi dottori. Non riesco a capire dov’è la porta della camera per cui mi dispero non sapendo come uscire di qui. Il mio dottore dice che però sto migliorando e anche che ho una prodigiosa fantasia. Così ha detto: prodigiosa! Volevo dirgli che a me le more mi fanno venire la nausea. Ma non trovo mai l’occasione.

c’era l’iPhone?

Sembra ieri e invece è passato già tanto tempo. Ti ricordi Fernando, Giuseppina, Adelaide, Gualtiero, quante volte lo consultavi al giorno? No? Te lo dico io, allora. Una…una? dirai tu. Sì, una, che durava tutta la giornata perché appena ti alzavi ti connettevi con gli amici, la fidanzata, la moglie, l’amante, i figli, i colleghi, il tuo insegnante di fitness, l’agenzia di viaggio, il dentista, il verduraio e il mondo intero e pretendevi risposte e messaggi da loro.

Se questo non accadeva andavi in ansia. Non dire di no, ti conosco. Smettevi (forse) prima di andare a letto. Scrollarne, goloso di novità, le icone e pigiare lettere e numeri era come parlare, ipnotizzato, assorbito dal minischermo dell’iPhone, e parlavi anche, che sembravi un ebete che balbetta ad alta voce e al vento per strada e comunicavi spesso l’inutile, quante volte sei andato a sbattere contro un palo o una vecchietta facendola barcollare? Solo così potevi cominciare la giornata: con l’iPhone acceso che ti augurava buongiorno, il mondo in tasca, roba del genere, o l’illusione perniciosa di averlo, illuso! Forse prima di addormentarti te ne dimenticavi…ma non sempre, pronto comunque a rispondere al suo ineffabile, irrinunciabile richiamo perché qualcuno poteva mandarti messaggi così urgenti da non poter essere disattesi. Cosa fai? Non rispondi? Quei marpioni che l’avevano inventato e diffuso erano andati oltre le loro stesse aspettative. Insostituibile strumento atto a connettere l’utente con la globalità degli esseri viventi sul globo collegati alla rete web. È tutto, passo e chiudo.

Diabolico e stordente. Te e milioni di “drogati”, assuefatti al minischermo. Gli effetti di un uso incontrollato, smodato e distorto di iPhone, iPad e computer si son fatti sentire dopo anni. Ma te ce l’hai l’iPhone? Mi chiederai. No, mai avuto, ho solo un cellulare Nokia, prima serie, con cui mi collegavo a ore fisse con le suore per sapere se mia madre stesse peggiorando o facesse capricci e schiamazzi con le vicine di camera. Adesso lo tengo in tasca e mi dimentico di metterlo sotto carica. Sono io che decido di usarlo, non lui me. Okei, te dirai, te odi i telefoni e le comunicazioni. Sono affari tuoi. Sei un misantropo. Mica vero, ma se non ho niente da dire e non avverto la necessità di sapere chi mi cerca, cosa me ne faccio? Eppure son curioso. Ma penso all’essenziale. Abitudine? Assuefazione? Ma quale abitudine? Assuefarsi all’idea inevitabile del progresso, adeguarsi alle comodità e alle indiscutibili soluzioni di certi problemi quotidiani: che tempo fa? e tac! lo sai subito, dov’è la via che stavi cercando? e tac! ecco Google map che incombe, protettiva, suggerendoti il tragitto. Era diventato il tuo amico, il tuo partner, lo strumento che ti collegava col reale, o così pensavi. Ti assorbiva l’aggeggio, ti chiedeva attenzione, a mio figlio era caduto sotto le ruote di un camion, la mia gioia è stata di breve durata, il mattino seguente ne aveva già un altro più potente. Pollicioni del mondo unitevi! Pollicioni a chi? e perché ? Come? Non lo sapete?! Ecco perché : In aumento la sindrome del “pollice da smartphone”: rischio osteoartrite. Dai ricercatori della prestigiosa Mayo Clinic di Rochester si segnala un preoccupante aumento di casi legati alla sindrome del “pollice da smartphone”, dolori causati dall’utilizzo continuo del dito sul display touchscreen dello smartphone. E poi tanto per metter i puntini sulle i leggi un po’ cosa scrive il il FATTO QUOTIDIANO a proposito dell’iperconnessione: Ormai la pervasività tecnologica ha raggiunto livelli patologici. C’è addirittura chi soffre di nomofobia, ovvero il terrore di restare senza connessione. In tal senso le statistiche hanno dell’inquietante: secondo il rapporto Coop 2016 il 70% degli italiani controlla lo smartphone appena svegli; hai capito bene! una ricerca Cisco rivela che 3 utenti su 5 passano più tempo attaccati al telefono piuttosto che con il proprio coniuge; la University of San Diego rivela che l’81% degli utenti interrompe le conversazioni o i pasti per controllare il dispositivo; infine, secondo uno studio della Georgia Institute of Technology ben 9 persone su 10 soffrono della sindrome della vibrazione fantasma. Che ne dici? Ma non ti vedevi mentre camminavi per strada da solo o in compagnia, guarda il branco di iPhone dipendenti che se ne stavano assiepati in metropolitana con lo sguardo incollato all’aggeggio a fare tutti la stessa cosa ovvero a scrutare il nulla cosmico che si annida nella rete? Te li ricordi? Cos’è che controllavi? Cosa stavi cercando di così importante, come scrive ancora il giornalista nel suo articolo su il FATTO QUOTIDIANO: Viene alla mente una provocazione comica dell’artista Angelo Duro che, rivolgendosi al pubblico, mette in evidenza un paradosso della comunicazione social che ci dovrebbe far riflettere: “Ogni qual volta avete un minuto di tempo libero dovete aprire il cellulare per vedere cosa stanno facendo gli altri. Perché non vi fate i c***i vostri? Ve lo dico io cosa stanno facendo gli altri, il nulla. Perché anche loro stanno guardando cosa state facendo voi. Il nulla che guarda il nulla”. Nell’era Social, che “era” non è mai stata ma solo una immensa sofisticata truffa e inganno ai danni della tua intelligenza, in cui ti specchiavi dentro dicendo: mi piace mi fa schifo, mandami altre foto se ne hai, in cui in ogni momento dovevi dire una frase, mezza frase, una parola, una opinione assolutamente superficiale e ininfluente, quelli sapevano tutto di te, cosa fai, dove vai, cosa compri e quanti caffè bevi e in che bar li bevi e di che colore hai gli slip (guarda che non sto scherzando) e quali sono i tuoi gusti e le tue abitudini per poter confezionare messaggi pubblicitari ad personam e indurti all’acquisto.

Pensi che scherzi? Ti ricordi che l’aggeggio usato in un certo modo ti permetteva di comprare senza carta di credito tutto ciò che volevi? Mica era uno scherzo, lo facevano per dar corpo al soddisfacimento dei tuoi desideri, abbreviando l’attesa dell’acquisto e te compravi di più, subito cose che poi non usavi. Ma non divaghiamo. Quei tempi sono finiti. Hanno trovato modo di limitarne drasticamente l’uso a necessità verificabili e impellenti, lo hanno messo fuori legge l’aggeggio e adesso che ce ne siamo liberati posso chiederti: Ti ricordi dell’iPhone? Oddio ma è stato solo un sogno! Ho sognato di sognare che era stato messo al bando. Ti stanno controllando e te nemmeno lo immagini. Non dirmi che non sapevi che mentre lo stai adoperando ti possono spiare!

c’era la parola?

Ti ricordi quando parlavi e ascoltavi? e poi rispondevi, se ti pareva opportuno? Risale al tempo in cui la parola era in auge, prolissa o avara, spontanea, o forzata, stentata o debordante, ma sempre parola, autentica, e farina del tuo sacco. La parola eri tu, ti descriveva, lasciandoti esprimere come potevi. E allora ti ricordi quando c’era la parola? Preziosa, senza che tu te ne rendessi conto, tua o di altri, comunque unica, aveva il suo peso, significato e conseguenza, ricca di sfumature, o volutamente asettica (quasi mai) parlava di te dalla prima sillaba all’ultima, deteneva un valore maturato durante qualche decina di migliaia di anni.

Suoni gutturali, fonemi, prime vocali e poi sillabe, infine la parola strutturata, il significato della parola. Parola di uomo, non surrogato di parola di macchina. Oggi la parola? Quale? Lo sai che la parola, e non solo quella, è in via di dissoluzione, smembrata, sintetizzata e slogata da un sistema invasivo studiato da chi pensa di saperla molto lunga e che alla fine ha un piano in mente, conscio o inconscio che sia, lo si può immaginare. Il piano ovviamente presume un antefatto: che si chiama guadagno, tanto guadagno, coincidente con le montagne di denaro che hanno succhiato e che continueranno a sottrarre dalle tue tasche per farti acquistare iPhone, iPad, smart phone, computer portatili, eccetera ogni due tre anni. Ma non è questo che conta, non fraintendere, non sono un antimodernista antidiluviano, anch’io li utilizzo quei mezzi, sono comodi, veloci e non ne potrei fare a meno…(o forse sì?) Però gli ho dato un limite, un giusto valore, sono io che li amministro, non loro me, per cui accendo il Nokia della seconda guerra punica ogni due mesi, di messaggi non ce ne sono quasi mai, ma sai che bel vivere? I messaggi arrivano mediati, attraverso le parole di moglie e figlio, non sono un troglodita innamorato esclusivamente di Tradizione e passato, tutt’altro, mi interessa davvero cosa vogliono farci fare in futuro e dove vogliono condurci con questi “innocui” aggeggi che hanno ammazzato la parola e…il pensiero. Ma chi è stato? Quelli là, gli inconoscibili, l’empireo nebuloso che ci governa, i senza volto onnipresenti, gli amministratori del nostro io, ovvero speculatori sofisticati e anonimi, uomini del marketing più avanzato, geniali inventori di nuova scienza, impalpabile eppur pervasiva e invadente scienza. Hanno inventato nuove monete e strumenti di comunicazione di massa, e te ti devi adeguare; finanzieri senza etica e decoro, massacratori di economie e stati sovrani. Oh mah! Parole al vento, dirai te.

Non hai torto. Come diceva mia nonna: non bisogna abbaiare alla luna, la luna non risponde mai, chi vuoi che ti ascolti? Con chi ce l’hai? Con l’inevitabile progresso? Con le nuove tecnologie? Battaglia già persa in partenza, ritirati su un’isola deserta, allora, rimandato a settembre, studia meglio la lezione. Ci vedo del buono quando l’aggeggio si configura come strumento indispensabile, non come superfluo e tu ti stai dedicando al superfluo creando la necessità del superfluo per confonderla in seguito come esigenza irrinunciabile, le abitudini sono peggiori dell’attacca tutto. Chiaro il concetto?! Guarda che qualcuno ti osserva e ti studia e ti succhia dati anagrafici e altro studiando le tue abitudini eccetera, guarda che con quell’aggeggio, ossia il tuo amato iPhone consenti a qualcuno di farti carpire abitudini e alla fine anche idee…le tue idee, in una ….parola, diventi soggetto di analisi, influenzabile, indirizzabile, questo qualcuno vuole.

Chiamalo: potere sofisticato e subdolo, se ti piace. Guarda cosa è successo con qualche risultato taroccato di elezioni e referendum popolare nel mondo. Ma perché invece di rimbambire a premere tasti a cercare e a inviare messaggi non ti porti in tasca un libro? Uno da poco, un tascabile, da qualche euro o uno da mille lire quando ancora le lire esistevano. Pubblicato da eroici editori di un tempo! Scoprirai cose che manco te le immagini, avventure, personaggi, luoghi indimenticabili, intere epoche, proprio attraverso quei libercoli di poco conto, e intanto ti rifai il palato e il gusto per il momento in cui ricomincerai a usare la parola. Io ti osservo, sono la tua anima nera, ma ti voglio bene, alla fine, dicendoti che te sei diventato iPhone dipendente, senza accorgertene, giorno dopo giorno, ma che dico? dopo la prima ora ti saresti sentito perduto senza iPhone. Sì lo so, non dovrei dirlo, che ho gioito quando a mio figlio gli è scivolato l’iPhone di mano e che gli è passato sopra un camion. Non dire di no, ti vedo, sai, in metropolitana, per strada, in sala d’attesa, mentre lei o lui ti chiedono qualcosa, ma….mi senti? Sì, sì, ti sento, non è vero, non senti, sei risucchiato nell’aggeggio, stai cercando una strada con l’aggeggio, non dico che la cosa sia inutile, tutt’altro, ma, come dire? crea dipendenza; alla tua lei dici di amarla con l’aggeggio, comunichi le tue dimissioni con l’aggeggio e gli altri, sempre con l’aggeggio, ti rispondono in tempo reale, compulsivo, nevrotico, irreale. Sai perché ? L’aggeggio ha vinto, ti sovrasta, incapace come sei di limitarne l’impiego, e sai perché ? Perché non usi più la parola, quella vera, che ti ha sempre nutrito, e che hai fatto fatica ad imparare, cioè lo strumento per eccellenza che ti fa (faceva) vivere, la parola alla fine eri tu, le tue abitudini, la tua poca o tanta cultura, il tuo io stava nella parola e oggi sta nell’aggeggio. Da non credere. Non potrebbe essere diversamente. Pensare e parlare infastidisce chi vuole che tu pensi e dica senza dare fastidio, a chi vuole uniformare il pensiero, perché la parola, cioé il tuo pensiero può contraddire, contrastare, sobillare, aizzare e scompaginare l’uniformità di chi pensa per te e che vuole che tu pensi in un solo modo. Ahi! c’e qalcosa che non funziona. Tu chi immagini, ma di cosa stai parlando? Di te. Della tua vita, ti osservo, sai? Con lo sguardo, senza derogare da condotte comuni. tu dirai beh che è successo di così negativo, non capisco. Mi sono facilitato la vita. Ma non ti rendi conto che ti stai uniformando, che non parli più con le tue idee, corrette o sbagliate che siano, che stai perdendo la parola, come hai già perso la capacità di scrivere tenendo la penna in mano, (io compreso). Le statistiche non le ho inventate io. Che succede? C’è un disegno diabolico in atto? Hanno distrutto la parola, ecco tutto, non te ne sei accorto? Le sue sfumature, i suoi doppi sensi, i significati sottintesi, la ricchezza del significato. La tecnologia della moderna comunicazione ha semplificato, sfrondato, eliminato la vecchia parola e cioè la cultura che la sovrintendeva, creando il linguaggio asettico, sintetico, uniforme, una volta sterilizzato e semplificato il linguaggio esso non produrrà più frutti. Prova a scrivere Re Lear o Giulietta e Romeo o I Promessi Sposi via iPhone se ne sei capace. Ti sfido: prova a scrivere con carta e penna una lettera, se sei in grado allora sei salvo. Se distruggono la parola distruggono anche la tua identità di cui la parola è primo referente e conseguenza diretta. Davanti a te c’era un altro, omologo o no, ci potevi discutere, qualcuno in carne e ossa, un corrispondente, un umano anche nemico, non dico di no, col quale ti confrontavi, chiedevi, imploravi, cinguettavi e, per dirla con un termine onnicomprensivo: comunicavi, cioè vivevi. Okei, lo ammetto, una volta non potevi parlare con Uagadougu o Benares o Baltimora così come lo puoi fare facilmente adesso. Adesso hai l’imbarazzo di scegliere. Chiamalo: potere sofisticato se vuoi. Guarda cosa è successo con qualche risultato taroccato di elezioni e referendum nel mondo. Ma perché invece di rimbambire a premere tasti a cercare e a inviare messaggi non ti porti in tasca un libro? Uno da poco, un tascabile, da qualche euro o uno da mille lire quando ancora le lire esistevano. Il libro ti fa riflettere, l’iPhone no. Pubblicato da eroici editori! Scoprirai cose che manco te le immagini, avventure, personaggi, luoghi indimenticabili, intere epoche, proprio attraverso quei libercoli di poco conto, e intanto ti rifai il palato e il gusto per il momento in cui ricomincerai a usare la parola. Io ti osservo, sono la tua anima nera, ma ti voglio bene, alla fine, dicendoti che te sei diventato iPhone dipendente, senza accorgertene, giorno dopo giorno, ma che dico? dopo la prima ora ti saresti sentito perduto senza iPhone. Sì lo so, non dovrei dirlo, che ho gioito quando a mio figlio gli è scivolato l’iPhone di mano e che gli è passato sopra un camion.

Hanno preso una tua esigenza, l’hanno elaborata, agghindata, arricchita, uniformata e resa indispensabile a te, in una parola hanno creato una esigenza alla quale ora risulta difficilissimo rinunciare. Ti ricordi quando comunicavi con la parola vera? e non pigiando tasti tutti uguali e il tuo interlocutore non era esclusivamente l’iPhone, ma era un altro te stesso con cui ti confrontavi; era ieri e sembra passato un secolo.