eravano padroni del mondo?

Gaio Minucio, ne ebbe sdegno e vergogna…
A 85 anni riceve il Nobel e l’anno dopo, nel novembre del 1903 muore. Con lui scompariva il più grande interprete della grandezza di Roma. Un amore durato tutta la vita per Teodor Mommsen, tedesco dello Schleswig, la cui mole di lavori, fra articoli, memoriali, pubblicazioni (circa mille opere di varia ampiezza) è destinata a siglare una serie di primati inarrivabili, fatti di estenuanti analisi sul campo – aveva setacciato ogni paese del mezzogiorno italiano alla ricerca di indizi, documenti, prove. Ma oggi dove ne trovi un altro così? Con quel materiale aveva poi costruito la sua grandiosa opera storico poetica. Che a ben vedere è una dichiarazione d’amore e di rispetto verso Roma. Un lavoro metodico, diligente, scrupoloso, analitico che componeva con passione intatta decennio dopo decennio, superando difficoltà di ogni genere. La lettura dell’iscrizione di una lapide faceva emergere nuove verità, contribuendo a risolvere ardui problemi di interpretazione ispirando nuove entusiasmanti ricerche. Mommsen era un segugio dal’olfatto sviluppatissimo. Il suo capolavoro, come scrive Vittorio Scialoja nella nota biografica de LA STORIA DI ROMA a cura di Antonio G. Quattrini – Dall’Oglio Editore  è l’opera scientifica. 

Romisches Staatsrecht, insuperato trattato di diritto costituzionale e, in parte amministrativo. Una perfetta esposizione della costituzione di Roma. Insegnante, accademico, ricercatore sul campo insigne. Poeta, traduttore, storico appassionato, la sua prosa, come scrive Vittoria Scialoja è stimata fra le migliori della letteratura germanica. Umbri, Sabelli, Sanniti, Campani, Etruschi, Liguri e infine loro: i Romani. Scandagliati con rara sensibilità e con partecipazione.  Fra le quinte di uno degli imperi più poderosi della storia si muovevano plebei, patrizi, duci, centurioni, senatori e commercianti e infine il soggetto inimitabile, la creazione politica più originale di Roma, quella su cui la repubblica e l’impero, per secoli, avrebbero potuto contare: il cittadino romano, al quale il regno, la repubblica e l’impero dovevano tutto. Onesto, probo, parco e cosciente dei suoi diritti-doveri, nell’ambito di una serie di valori condivisi.

Il cittadino era al centro dello stesso potere, essendone parte integrante. Mi imbarazza dover scegliere, per la cronaca, alcuni esempi fra le migliaia di pagine scritte: A pagina 69 de LA STORIA DI ROMA leggo: Spurio Melio, dovizioso plebeo, in tempo di grande carestia vendette il frumento a un tale prezzo, che il patrizio prefetto dell’annona, un certo Gaio Minucio, ne ebbe sdegno e vergogna. La cosa venne tratta con tutta serietà, perché lo spettro della monarchia ha sempre prodotto sulla moltitudine di Roma l’effetto che produce sulle masse in Inghilterra lo spettro del papato. Beh, c’è davvero da imparare qualcosa di nuovo dal Mommsen, non ti sembra?