Della intelligenza artificiale e la deficienza naturale (terza parte)

Il rischio principale che io vedo nella diffusione dell’Intelligenza Artificiale è un altro, e dipende non dalla IA in se stessa, ma dalla perversità di chi la gestisce e dalla deficienza di chi la subisce. Come al solito, la science fiction se n’è accorta prima di tutti. Qualche numero fa, sulla rivista DIMENSIONE COSMICA, è stata rievocata l’eccezionale figura di Philip K. Dick, pubblicando fra l’altro integralmente una sua lettera. Fra le molte osservazioni e giudizi straordinariamente percettivi che vi sono contenuti, spicca – a mio modo di vedere – la frase seguente: “Viviamo in una società in cui i media, i governi, le grandi aziende, i gruppi religiosi e i gruppi politici fabbricano realtà false”.

Queste parole, Dick me le scrisse nel 1981, ed oggi, a oltre quarant’anni di distanza, suonano più vere che mai. Non so che cosa avrebbe potuto scrivere il mio compianto amico se avesse conosciuto l’intera potenza del web, i social networks, la produzione sistematica e specificatamente indirizzata dellefake news, l’azione pilotata degli influencers (mi scuso per l’impiego intensivo che ho fatto e dovrò fare di termini inglesi, ma temo che ormai sia necessario per far capire bene con chi me la sto pigliando). Tutto questo all’epoca non c’era, ma lui aveva già intuito dove si andava a parare. Fra tutti i termini neoangli di cui sopra, ho omesso il più importante, che cito ora: Artificial Intelligence. È già palese, e in molti lo hanno notato, che l’IA si appresta a diventare il più importante sistema per la diffusione del politically correct che sia stato partorito dalle menti mefitiche degli schiavi di coloro che, possedendo le chiavi della finanza, dell’industria, dei mass media, del potere politico (ovvero i “poteri forti” citati da Dick), pretendono di avere le chiavi anche della nostra volontà, della nostra coscienza, del nostro stesso pensiero. Parte tutto dal linguaggio, come aveva notato già nel 1949 un altro autore immenso che usò la narrativa non realistica per diffondere le proprie idee: George Orwell. Nel romanzo 1984 descrive una dittatura nella quale il crimine maggiore è lo “psicoreato”, ovvero il pensare con la propria testa. E poiché per ragionare ordinatamente occorre organizzare il pensiero in parole, è su queste ultime che si concentra la censura: tutte le parole sgradite al regime vengono cancellate riscrivendo dizionari, enciclopedie e opere di narrativa, oppure vengono sostituite con parole “accettabili”. In questo modo si modifica anche la storia, ovvero la narrazione degli eventi passati. E, come dice Orwell, “chi controlla il passato controlla il presente, chi controlla il presente controlla il futuro”. Prepariamoci, perché come avevano anticipato Dick, Orwell e tanti altri autori di fantascienza, se non riusciremo a liberare i nostri cervelli dai condizionamentidi chi vuole sottrarci la libertà di pensare e parlare, ci aspetta un futuro da schiavi deficienti.

Sebastiano Fusco

c’era il Fantastico?

Si fa presto a dire fantastico! Un viaggio, un pranzo, un amico, possono riuscire fantastici, o un programma tv, come quello del 6 ottobre 1979 quando andò in onda la 1ª di dodici puntate di “Fantastico”, condotto da Loretta Goggi e Beppe Grillo con Heather Parisi. Quanta acqua sotto i ponti! dirai. Ma niente di tutto questo c’entra col nostro fantastico, e allora cosa? Il Fantastico è qui soggetto eminente di un’opera singolare che si legge come un romanzo d’avventura. Edita da Solfanelli in onore dei 60 anni di attività di Gianfranco de Turris, noto internazionalmente per essere uno dei più accreditati conoscitori di questa osmotica materia. Il Viaggiatore Immobile, a cura di Andrea Gualchierotti, alla seconda edizione riveduta e ampliata – e già si parla di una terza ristampa – tratta di un altro genere di Fantastico, che questa volta non rima con meraviglioso, favoloso, sensazionale o formidabile, ma col quotidiano. A definire il Fantastico in questa sede ci aiutano i giornalisti Louis Pauwels e Jacques Bergier, autori de Le Matin des magiciens, opera del ‘60. Ecco cosa dicono: “il fantastico è come una manifestazione delle leggi naturali, un effetto del contatto con la realtà quando viene percepita direttamente e non filtrata attraverso il velo del sonno intellettuale attraverso le abitudini, i pregiudizi, i conformismi…” Cose astruse? Affatto, perché ci toccano da vicino più di quanto pensi. Fantasy, fantascienza, fantastico, science fiction e via dicendo: solo alcuni dei termini descriventi una dimensione che fa dell’onirico e del virtuale una eventualità possibile; quanti milioni di persone si sono incollate agli schermi, soggiogate dalle vicende di Odissea 2001 nello spazio, Blade Runner, Interstellar, Ex Machina, famose pellicole cult che rivelano tuttavia inquietudini riflesse e prospettive potenziali di un futuro possibile: di intelligenza artificiale  si imbottiscono ormai anche i materassi. Punto di forza de Il Viaggiatore Immobile una serie di testimonianze autografe imperniate sulla figura di Gianfranco de Turris, che descrivono un’avventura pluridecennale di cui non si percepisce la fine, perché il fantastico nasce e vive con noi, inossidabile compagno di ogni vicenda umana, in forza del suo significato: rappresentare la parte più autentica che è sogno, desiderio dell’ulteriore, fuga dal quotidiano. 

Così la “rivelazione dell’inconsistenza ultima della realtàsi legge nel libro, fa pensare. Tolkien, Lovecraft, Evola, Meyrink, Jung, sono i nomi che più compaiono, in una fitta sequenza di amarcord talvolta accorati, fatti di date, incontri e scontri, ricordi di tumultuose avventure editoriali e filosofico letterarie; contigue alla politica, esse sono apportatrici di nuove idee e interpretazioni del quotidiano,  conquistate con fatica e lotta. Al centro di questa avventura c’è lui, il viaggiatore immobile, ovvero Gianfranco De Turris, amato e osannato, o vilipeso e osteggiato, sempre scomodo, perché granitico nelle sue idee “scomode”, ingombrante presenza fuori dal coro, sempre. Dai numerosi interventi offerti dall’opera, che si legge come un racconto avventuroso, uno significativo, quello di Chiara Nejrotti tratto dal capitolo Nostalgia del sacro e critica alla modernità, l’opera di J.R.R. Tolkien: Negli anni Settanta del secolo scorso Gianfranco de Turris, insieme a Sebastiano Fusco, propose un’interpretazione simbolica del fantastico che si dimostrò particolarmente feconda nell’indicare chiavi di lettura e significati, che probabilmente sarebbero rimasti nascosti secondo analisi meramente letterarie o di stampo strutturalistico, così in voga in quegli anni. Egli, infatti, indicò per primo in Italia il legame esistente tra mito, epica e letteratura fantastica, mostrando come quest’ultimafosse l’erede – più o meno consapevole – delle prime due e, per suo tramite, si manifestasse, nell’epoca del modernismo razionalista e del disincanto, una autentica e, a prima vista insospettata, “nostalgia del sacro…”

Nelle immagini: dipinto di Julius Evola e la copertina dell’opera.