ha sposato la cugina tredicenne? (4)

Vita sventurata quella di Poe, se si pensa che, a ventisette anni sposa la cugina tredicenne che muore a 25 anni. La morte della moglie Virginia Eliza Clemm lo angoscia mortalmente: “Ogni volta subii tutti gli strazi della sua morte e a ogni ritorno del male l’amavo sempre di più e mi afferravo alla sua vita con ostinazione sempre più disperata. Diventai pazzo con lunghi intervalli di orribile lucidità.” Così scrive da New York il 4 gennaio 1848 a George Eveleth chiedendo nelle tre righe finali della stessa lettera aiuto economico. Questo figlio della notte amava disperatamente la vita e fra le eccellenti manifestazioni della vita amava al sommo la creatura femminile e la sua Bellezza. 

“Fra tutti gli argomenti melanconici, qual è, secondo il concetto universale dell’umanità, il più melanconico? -La Morte- fu l’ovvia risposta. E quando è più poetico questo argomento, fra tutti il più melanconico? Dopo quanto ho già abbondantemente spiegato, la risposta fu ovvia: Quando è più strettamente congiunto alla Bellezza, dunque la morte d’una bella donna è il tema più poetico del mondo e le labbra più adatte a tale argomento sono quelle di un amante orbato dell’amata”. Dalla FILOSOFIA DELLA COMPOSIZIONE di E. A. Poe.

Scrivendo a H. D. Chapin – Fordham, 17 gennaio 1848: “Mio caro signore,
qualche tempo fa la signora Shew mi fece capire che forse voi mi avreste aiutato nel tentativo di riprendere il mio posto nel mondo letterario; e ora questo aiuto mi arrischio a chiedervelo…La difficoltà per me sta nel pagamento anticipato della sala e io non ho denaro.  Credo che il prezzo sia quindici dollari. Penso, senza essere troppo ottimisti, di poter contare su un pubblico di tre o quattrocento persone…Se avrete la gentilezza di concedermi l’aiuto che chiedo, vorrei prendere in affitto la sala …
Ringraziandovi, credetemi il vostro Edgar A. Poe”
La conferenza di Poe si tenne davanti a  un pubblico esiguo, riunito nella biblioteca della Società Storica di Nuova York, giovedì 3 febbraio 1848
Scrivendo a Charles Astor  Bristed chiede amicizia e ancora…danaro: – Fordham, 7 giugno 1848: “…La mia unica scusa è questa, che mi trovo condizioni disperate, in amarissima angoscia di mente e di corpo, e che mi sono guardato attorno invano, in cerca di un amico che possa e voglia  soccorrermi…con pochissimo aiuto tutto andrebbe bene per me, ma non posso procurarmi nemmeno quel poco; lo sforzo per superare una difficoltà  serve solo a sprofondarmi in un’altra. Mi perdonerete, dunque, se vi chiedo di prestarmi  il denaro per andare a Richmond?…mia suocera vi spiegherà in quale condizione mi trovo.

Sinceramente vostro Edgar A.Poe” 

Un mendicante patetico, ubriacone, spesso bugiardo, proprio lui, il grandissimo poeta visionario, invocato da Baudelaire, il finissimo psicologo, l’investigatore degli abissi dell’anima, per tutta la sua vita vide qualcun altro, assai inferiore al suo genio, arrivare prima di lui per rubargli l’ammirazione della folla e la riuscita nella vita. Dalla prefazione di Henry Furst dell’EPISTOLARIO: “…le brame appassionate della sua anima verso il bello e il vero lo resero assolutamente  inadatto ai rozzi urti e alla feroce concorrenza del mercato letterario…le caverne dell’oceano, il disfacimento e il mistero che abitavano gli antichi castelli, il tuono del vento attraverso le navate della foresta, gli spiriti che cavalcavano l’uragano non visti da nessuno se non da lui e le profonde creazioni metafisiche  che si libravano attraverso le camerate della sua anima, erano la sua unica ricchezza…nato sotto una cattiva stella, la sfortuna lo perseguitava anche morto. Ma la sua opera resisterà  nei secoli finché durerà la civiltà nata dalla gloria che fu Grecia e la grandezza che fu Roma.

Poe mentiva? (3)

A closeup of the bird silhouette on the branch.

“Tutto nella vita di questo poeta è difficile e oscuro; Edgar Allan Poe mentiva come un persiano: non per uno scopo preciso, ma così, a vuoto, per il gusto di mentire o forse nemmeno per quello: così come si respira.” 

Un attore che, rivolgendosi alla sua cara mamma,  scriveva in una lettera a MARIA CLEMM  (*) – New York (Filadelfia) 7 luglio 1849:

«Mia cara, cara mamma, sono stato tanto malato, ho avuto il colera, o le convulsioni, certo qualcosa di ugualmente brutto e ora posso appena tenere in mano la penna…La gioia di vederti ci compenserà quasi dei nostri dolori. Possiamo almeno morire insieme. Inutile discutere con me ora; bisogna ch’io muoia. Non ho nessun desiderio di vivere da quando ho terminato Eureka…per amore tuo sarebbe dolce vivere, ma bisogna che moriamo insieme…Sono stato portato in carcere una volta da quando sono venuto qui per ubriachezza: ma quella volta ero ubriaco. Fu per Virginia.”
Nessuna firma


(*) Sorella del padre di Edgar Allan Poe, David Poe, Jr., Maria Poe, nata il 17 marzo 1790, fu ben più di una zia per Edgar, tanto che il poeta la considerò sua madre, chiamandola affettuosamente  “Muddy”. Il 16 maggio 1836 Maria divenne anche suocera di Edgar, quando egli sposò sua cugina Virginia.
Giovanissimo, Poe si invaghì di Elena Stannard, madre di un suo compagno di studi.
Inconsolabile per la precoce morte della donna, dalle lettere si desume che per parecchi mesi si recò solo, di notte, anche sotto la pioggia, a piangere sulla tomba di lei. Ma non è certa la lunghezza del cordoglio, alcuni dicono che sulla tomba si recò solo un paio di volte.  
In una lettera dell’11 settembre 1835 scritta a John P. Kennedy, Richmond, uno dei pochi suoi ammiratori: “…Scusatemi caro signore, la confusione di questa lettera. I miei sentimenti in questo momento sono davvero degni di compassione. Soffro per un profondo abbattimento spirituale  come non mi è mai accaduto in passato. Ho lottato invano contro questa malinconia. Sono misero e non so perché.   Consolatemi se potete…convincetemi che vale la pena, che almeno è necessario vivere… , e vi sarete davvero dimostrato mio amico…”

L’estrema povertà in cui viveva, lo costrinse addirittura ad usare le lenzuola del corredo matrimoniale (portate in dote dalla sposa) come sudario per la moglie stessa. Chiede danaro, amicizia, favori, cibo e impieghi di lavoro. Rifiuta inviti a pranzo chiedendo in prestito al suo stesso ospite 20 dollari per potersi presumibilmente abbigliare con decenza onde accettare il suo invito, scrive a Giovanni P. Kennedy – Baltimora, domenica 15 marzo 1835:“Caro signore,
Il vostro gentile invito a pranzo oggi mi ha ferito sino al cuore. Non posso venire, e per ragioni di una natura molto umiliante per via del mio aspetto. Potrete immaginarvi la mia profonda mortificazione nel rivelarvelo ma è stato necessario. Se volete essere mio amico sino al punto di prestarmi venti dollari vi farò una visita domani, altrimenti sarà impossibile, e mi piegherò al mio destino.
Sinceramente vostro
E.A. Poe

Lo cacciano da West Point per insubordinazione.
“Sono abbandonato interamente alle mie risorse, senza professione e con pochissimi amici. Peggio di tutto sono senza un soldo” scrive da Baltimora a John P. Kennedy nel novembre del 1834.  Da Richmond scrive ancora a John P. Kennedy il 7 giugno 1836 a proposito di una nuova casa: “Caro signore,
Mi trovo temporaneamente in una piccola difficoltà e mi permetto di ricorrere ancora una volta a voi per aiuto. ..Vi sarei assai obbligato se poteste prestarmi la somma di cento dollari per sei mesi, sarei così in condizione di far onore alla cambiale che matura fra tre mesi.”
In una lettera a Giovanni Allan, (padre adottivo) Richmond, martedì 20 marzo 1827
Caro Signore,
Abbia la gentilezza di inviarmi il mio baule col mio vestiario. …Non avendo ricevuto né il baule né una risposta alla mia lettera ne desumo che lei non l’abbia ricevuta.  Mi trovo nella più dura necessità, non avendo toccato cibo da ieri mattina. Non ho un posto dove dormire di notte, girovago per le strade, sono quasi esausto. La supplico, come non vorrà che si compia la sua predizione sul conto mio  mi mandi senza indugio il baule che contiene i miei vestiti e mi presti, se non vuole darmelo il danaro per le spese di viaggio a Boston (dodici dollari)…”
Dopo la firma una postilla: “Non ho un centesimo al mondo con cui procurarmi del cibo.”


La sua sete di attenzione e la mancanza di soldi sono croniche. Non si fa scrupolo di chiedere danaro ad amici e parenti, professando amicizia e affetto. Scrivendo a Frederich Thomas, New York , 4 maggio 1845: “…Da tre o quattro mesi lavorato quattordici o quindici ore al giorno, sempre a sgobbare…Non ho mai saputo prima che cosa sia essere schiavi. Eppure Thomas, non ho guadagnato…Dì a Dow da parte mia che non ho mai avuto la possibilità di rimborsarlo…Nemmeno il diavolo in persona è stato così povero. ” E scrivendo da Fort Moultrie, porto di Charleston il 1 dicembre 1828 a John Allan: “…Sono stato nell’esercito americano per tutto il tempo consentito dal mio scopo e dalla mia inclinazione, adesso è ora che ne venga via… Aiuti pecuniari io non ne chiedo a meno che non vengano dalla sua decisione libera e imparziale…I miei più affettuosi saluti alla mamma….”
Da Fort Monroe, Virginia, 22 dicembre 1828: “…Se desidera dimenticare che sono stato suo figlio, io sono troppo orgoglioso per rammentarglielo nuovamente… padre mio non mi respinga come un essere degradato, Voglio essere l’onore del suo nome… Disprezzato, sarò doppiamente ambizioso, e il mondo sentirà parlare del figlio che lei ha ritenuto indegno della sua attenzione…” anche a questa lettera il padre adottivo non risponde. E poi: da Baltimora,  20 maggio 1829:
“ Caro babbo,
Ho ricevuto stamane la tua lettera con accluso un assegno di cento dollari e di questa generosa somma puoi essere sicuro che sarò riconoscente…Sono riuscito a trovare la nonna e i miei parenti, ma il fatto che mio nonno era quartiermastro generale  di tutto l’esercito degli Stati Uniti durante la guerra della Rivoluzione è nettamente dimostrato…”

Poe scriveva i suoi capolavori? (1)

Dovrò scusarmi con  Charles Baudelaire se, attingerò al suo saggio su Edgar Allan Poe, ma che io sappia non c’è niente di più acuto e partecipe  in circolazione che tratti dello scrittore americano che egli tanto apprezzava. Parlare di Edgar Allan Poe può sembrare ozioso, considerata la mole di articoli, saggi e analisi dedicati a lui e alla sua opera. Davvero c’è ancora da dire qualcosa su di lui? Proverò a spigolare in un campo di grano mietuto da molti e agguerriti per cercare qualcosa di inedito e tentare collegamenti. Scrive Baudelaire: “I personaggi di Poe o meglio il personaggio di Poe, l’uomo dalla sensibilità acuta, l’uomo dai nervi a pezzi, l’uomo che con volontà caparbia e paziente sfida le difficoltà,  l’uomo che fissa con uno sguardo gelido  come una spada  gli oggetti che si ingigantiscono man mano che egli lo osserva è Poe stesso. I personaggi femminili, luminosi e malati, che muoiono di strani mali  e parlano con voci musicali, sono ancora lui; o per lo meno con le loro strane aspirazioni, con la loro cultura, la loro inguaribile melanconia, partecipano intimamente dell’indole del loro creatore…” Riprendo l’idea aggiungendo: Poe non solo è quello che scrive Baudelaire ma qualcosa di più radicale: egli è anche paesaggio, è trapasso incessante fra vita e morte, nel senso che si può ritornare dalla morte come nel racconto LIGEIA; tra cadaveri lividi e prossini alla decomposizione descriti peraltro senza indugio o compiacimento, aggiungendo quindi credibilità all’orrido, ed è ambiente-simbolo di spazi interiori, in cui abbondano spessi drappi funerei e violacei, direi anche che Poe è la frotta di topi dalle labbra gelide che lo mordono e la stessa cricca di inquisitori che lo vuole morto, ne IL POZZO E IL PENDOLO, lo scrittore è identificabile in quella cella schifosa e viscida che modifica la sua geometria, ovvero la sua mente cangiante, nello stesso racconto, è poi l’assassino che sfonda la testa con un’ascia alla povera moglie derelitta e anche il gatto nero che trionfa di quel crimine ne IL GATTO NERO,

senza che ci sia una conseguente presa d’atto e di coscienza nel colpevole, una sua sia pur minima manifestazione di pentimento e disperazione o desiderio di redenzione per il misfatto, è poi anche Ligeia e lady Rowena Trevanion nell’orribile macabro riflusso morte vita di un cadavere e anche ne IL RITRATTO OVALE è la fanciulla di rara bellezza, gaia e leggiadra del dipinto, e anche il marito di lei, il pittore assassino, inconsapevole (?) quando dipingendola le toglie la vita. Oso dire che non c’è nulla di esterno a Poe ma di assolutamente e manifestamente interiore, intrinseco alla sua singolare natura. Personaggi, ambienti, animali non sono all’esterno del suo essere ma al suo interno, egli li vede non con gli occhi ma li percepisce con tutto se stesso, attraverso lo sguardo interiore, che non necessita di occhi per vedere, per questo egli non deve cercare, al massimo sognare ad occhi aperti, e aprire la porta agli ospiti che affollano la sua psiche. In questo non c’è invenzione nell’opera di Poe ma la mia eretica affermazione gli va a merito onorando il suo genio contenente mondi degenerescenti, il riferimento all’opera di Evola lo farò più oltre e in modo puntuale. Poe è l’invenzione di se stesso, o meglio la trasposizione analitico scientifica artistica del suo io. Tutto ciò traspare anche dal suo viso, che lascia perplessi denunciando complessità nel temperamento e personalità singolari. Ti fissa in modo indefinibile, fanciullesco eppure profondo, la faccia asimmetrica, un sopracciglio più basso dell’altro. I baffi disallineati. L’espressione assorta e depressa, come di chi ha in animo di chiedere conforto; è Il grande malinconico, alcolizzato per necessità, e anche qui Baudelaire ci viene in aiuto: “…..Il suo profilo forse non offriva una vista piacevole…aveva grandi occhi tetri e insieme luminosi, di un colore indefinibile e tenebroso che tirava al viola; il naso nobile e solido; la bocca sottile triste, anche se leggermente sorridente…l’espressione un po’ distratta con un impercettibile  velo di malinconia…” Io  aggiungo, col rispetto dovuto al genio, che non affiderei in custodia nemmeno temporanea a uno come lui, non dico un bambino, ma nemmeno un gatto.

Al pari di Vincent Van Gogh che tentava di esorcizzare i suoi demoni dipingendo soli e stelle interiori, Poe non ci prova nemmeno, accetta i suoi demoni, perché essi sono parte di lui, li subisce, li coltiva, ne illustra  la suggestione, il magnetismo, l’orrore; dà loro il benvenuto senza tentare tuttavia di scacciarli o dominarli come faceva Van Gogh. Sa che non ci sarebbe speranza. Non c’è tentativo di riscatto nei suoi personaggi, ma l’accettazione supina di una realtà ineludibile. Non riabilitazione, né happy end, per chi ha le stimmate del genio e del folle, né per lui né per i protagonisti dei suoi racconti. Sia lui, sia Vincent Van Gogh, sia Friedrich Nietzsche, con ovviamente diverse inclinazioni ed esiti camminano su  sentieri paralleli, diretti a una meta comune: l’orlo dell’abisso, lo scrutano, lo valutano, lo patiscono l’abisso e la gran voragine della consapevolezza non si sottrae alla loro spietata e lucida indagine; i tre sono accomunati da una fine miserevole e tragica che non mi pare frutto di coincidenza. Loro hanno visto e, “bruciati” dalla consapevolezza, pagheranno. I tre hanno sondato l’abisso esteriore e interiore e da esso sono stati inghiottiti. Poe sa di non potersi salvare, non desidera del resto la piatta normalità del vivere dei comuni mortali. Genio, dicevo, ed ecco a questo proposito un riferimento puntuale dello stesso Poe (da “Eleonora”, 1841): “…Discendo da una famiglia famosa per il vigore della fantasia e l’ardore della passione. Gli uomini mi hanno chiamato pazzo. Ma non è stato ancora risolto il dilemma se la pazzia sia o non sia l’intelligenza più eccelsa, se molto di quello che è glorioso, se tutto ciò che è profondo, non scaturisca dal male del pensiero, dagli stati della mente esaltata a spese dell’intelletto comune. Coloro che sognano ad occhi aperti sanno molte cose che sfuggono a quelli che sognano soltanto di notte. Nelle loro grigie visioni balugina nei loro occhi l’eternità, e tremano svegliandosi, al pensiero di essere stati sull’orlo del gran segreto…E senza bussola e senza timone, si addentrano nell’oceano immenso della “luce ineffabile”…”

I prossimi post saranno dedicati al signore delle tenebre, la sua testimonianza appare troppo importante