non riuscivi più a prendere sonno dopo averlo letto?

Un gigante della scrittura, un forzato della penna malato, e consapevole di esserlo, un grafomane che non riusciva a staccarsi dalla pagina, uno che denunciava l’inutilità e lo scandalo della guerra e che scendeva nell’abisso della mente umana…la sua. Forse unico a riuscire a indagare sulla natura, non solo esclusivamente intellettuale del suo tremendo male. Il dottor Thomas affermava che la sifilide lo divorava dall’interno, giorno per giorno, altri parlano di demenze ereditarie. Morì infatti dopo mesi di pazzia furiosa il grande Henri René Albert Guy de Maupassant amicissimo di Gustave Flaubert. Se te sfogli Le Horla e altri racconti dell’orrore (nella consueta strepitosa edizione da urlo dei Tascabili Economici Newton – cento pagine mille lire! Che meraviglia! e che presentazione!) capisci il motivo della sua grandezza che esula ovviamente dai soli racconti dell’orrore. Come dice l’acuta analisi di Lucio Chiaravelli: I racconti dell’orrrore di Maupassant, quelli ancorati alla realtà e quelli allucinati (ma c’e poi tanta differenza per lui?) sono tutti dei trattati di disperazione ragionata, di incomprensibili terrori. L’orrore e per lui: la paura della paura. Balza subito all’occhio qualcosa di terrificante, mortifero, angosciosamente possibile, e senza scampo. Chi scrive non finge, la trama aderisce alla maledizione della sua malattia.

Encomiabile, si sforza di esorcizzare il suo male, di tenere un resoconto dei suoi stati nervosi attraverso alcuni racconti, che non voglio dirti in dettaglio. Un male che tenterà invano di esorcizzare, un male che gli sgorga continuamente nell’animo affettando nervi e mente. Anche quando scrive di una bella giornata e del suo stato d’anino radioso e pieno di levità, 8 maggio: Che splendida giornata! Ho passato tutta la mattina sdraiato sull’erba…Mi piace questo paese mi piace viverci perché qui sono le mie radici, radici profonde e sottili…mi piace la casa dove sono cresciuto. Come si stava bene quella mattina!…dietro due golette inglesi …veniva un superbo tre alberi brasiliano, tutto bianco, ammirevolmente pulito e lucido. Senza sapere perché gli feci cenno di saluto tanto mi faceva piacere vederlo. E poi il 12 maggio: Da qualche giorno ho un po’ di febbre, non mi sento bene, o meglio mi sento triste e il 16 maggio: Sto sicuramente male… Ho una febbre atroce…la sensazione che un pericolo mi sta minacciando, l’apprensione per una sciagura , segno della morte vicina, il presentimento d’un morbo sconosciuto che germina nel mio sangue e nella mia carne...il 3 giugno: Notte orribile. Un breve viaggio certamente mi farà tornare sano. mentre il 2 luglio: Ritorno a casa. Sono guarito, e inoltre ho fatto una splendida escursione…

ma il 4 luglio: …Sono tornati gli stessi incubi. Ho sentito qualcuno accovacciato sopra di me, con la bocca contro la mia: mi beveva la vita attraverso le labbra. Sì , l’aspirava dalla mia gola come una sanguisuga....e di nuovo la speranza di essere normale e sereno, il 14 luglio:…Ho passeggiato per strada. Petardi e bandiere mi rallegravano come un fanciullo. E il 7 agosto: …il sole inondava di luce, il fiume spargeva deliziosi chiarori sulla terra, mi riempiva gli occhi di amore per la vita: per le rondini, la cui agilità è una gioia ai miei occhi, per le erbe della proda il cui fremito è una felicità alle mie orecchie. Ma un malessere inesplicabile mi invadeva a poco a poco. …Mi sembrava che una forza occulta mi intorpidisse le membra…il doloroso bisogno di rincasare... e il 14 agosto: Sono perduto! Qualcuno possiede la mia anima e la domina! Eppure il 17 agosto ha la lucidità di scrivere: Noi siamo così impotenti, così imbelli, così piccoli su questo granello di fango che gira stemperato dentro una goccia d’acqua..….e via di questo passo, ma non voglio privarti del piacere di altre scoperte. Perché ti guasterei la lettura. Cos’ha di speciale Le Horla e gli altri suoi brevissimi racconti dell’orrore? Sono anche cronaca. La cronaca di un malato consapevole di esserlo fino a quando la pazzia non prenderà il sopravvento.

Vissuta sulle spalle dell’autore. Diverso dall’orrore pensato, filtrato e, se vogliamo, artefatto di Edgar Allan Poe (solo nel senso di accuratamente costruito). Qui si avverte un’urgenza di narrare la (sua) sofferenza, il progredire del male, l’inutile esorcismo tentato attraverso la scrittura, l’orrore di un male interno all’uomo che riesce a farsi arte. Se ti riferisci alla pittura ti viene alla mente Van Gogh e Ligabue, i naif che interpretavano incubi e oppressioni dello spirito e della mente, dentro e fuori da manicomi e case di cura, dentro e fuori dalla realtà, a scrutarsi, a esorcizzare incubi e mostri della loro fervida immaginazione. Maupassant vede il possibile e lo teme, dà corpo alle voci, alle malie riflesse dalla sua anima ossessionata. Nel Maupassant di Horla ti vengono addosso brividi supplementari, sai che è tutto vero, vorresti fare qualcosa, ma cosa? Allucinazioni, febbri, visioni notturne, si vive da geni e si muore da folli. Nel prezioso libretto pubblicato nella collana Tascabili Newton una acuta annotazione di Antonia Fonyi relativa al titolo Hors-la cioè Fuori di li! Esso sarebbe un invito a rompere il cordone ombelicale che metaforicamente e (morbosamente?) legò sempre Maupassant alla madre. E un suggerimento di ordine associativo può persino ricordare che Horla è l’anagramma vocale di Laura, la madre. Non ti voglio dire altro perché non voglio toglierti il piacere e…il brivido di leggerlo. Maupassant penned his own epitaph: “I have coveted everything and taken pleasure in nothing.” Nel suo epitaffio scrisse: “Ho desiderato tutto e preso piacere in nulla.”

l’orrore puro si chiamava Lovecraft?

Quando The LOVED DEAD apparve con la firma di C.M. Eddy, sul numero di maggio- giugno-luglio 1924 di Weird Tales, la rivista venne pesantemente criticata, e, in certe zone degli Stati Uniti, tolta dalle edicole: l’urtante tema necrofilo del racconto aveva infatti ferito la sensibilitá dei benpensanti. Si legge in una nota del bel libretto pubblicato nella collana I TASCABILI NEWTON COMPTON. Tre evviva per questa casa editrice che al costo di un caffè mi faceva conoscere l’autore americano. Tornando alla nota: io non amo i benpensanti, diciamo che mi sono indifferenti, di solito fanno rima con retrivo, codino, reazionario, peró, in questo caso, magari qualche striminzita ragione ce l’hanno. Devi essere di stomaco molto forte per leggere I CARI ESTINTI di Howard Phillips Lovecraft che le immagini ritraggono con la faccia lunga, cavallina, con una espressione indecifrabile stampata in viso. Presentando il volume TUTTI I ROMANZI E RACCONTI la stessa casa editrice scrive: Il terrore insondabile e soprannaturale, inquietanti e apocalittiche visioni: tutto l’immaginario di follia e orrore di Howard R. Lovecraft è raccolto in queste pagine.

Interi universi prendono forma dalla sua sapiente penna, governati da leggi fisiche ignote, popolati da creature inimmaginabili e da terrificanti minacce. L’uomo è solo al centro di un cosmo nel quale il terrore proviene dagli abissi della mente come dai più remoti recessi dello spazio, un mondo nel quale la paura è la dimensione dell’essere. Tutto ciò sottintende la teoria lovecraftiana secondo cui smascherare e affrontare i propri incubi più angoscianti è l’unico modo per esorcizzarli. Incubi, sogni e miti creati da un maestro dell’orrore e del fantasy per turbare le notti dei lettori. In questo volume è presentata tutta la produzione del “solitario di Providence”, compresi capolavori famosi che ancora oggi ispirano scrittori e sceneggiatori, come “Le montagne della follia”, “Lo strano caso di Charles Dexter Ward”, “L’orrore di Dunwich”, “La ricerca onirica dello Sconosciuto Kadath”.
Pensavo che dopo aver letto LE HORLA di quel maestro che si chiama GUY DE MAUPASSANT, non potessero esistere orrori ulteriori, e invece sí, essi esistono, sotto altre configurazioni. Lovecraft ce li spiattella sulle sue pagine, nella loro inumana crudezza, nella loro (ahimé) possibilitá di attuazione, emendando poi il protagonista come nel caso di questo racconto con un gesto insano e risolutore. Orrore dell’ignoto, il corollario di defunti, bare, fosse, cimiteri, sono riscontrabili in certi eccezionali racconti dello scrittore americano. Dove l’arte della narrazione fa tuttuno con la cronaca di incubi intollerabili, di terrori innominabili, con esistenze senza luce, destinate ad abortire la vita che li rifiuta e che essi rifiutano. Un esempio, fra i moltissimi: Mi insediai nella camera ardente in cui giaceva mia madre con l’anima assetata del nettare diabolico che pareva saturare l’aria buia. Ogni respiro mi rafforzava , mi sollevava ad altezze inaudite di soddisfazione e d’estasi.

Scomodare Freud e Jung mi sembra il minimo da farsi. Non credo che vi azzardiate a consigliare la lettura di certi suoi racconti quando scrive:..Sapevo inoltre che, per una strana maledizione diabolica, la mia vita attingeva dai morti la sua forza; che nel mio essere qualcosa di singolare reagiva solo alla tremenda presenza di un cadavere. Ma LOVECRAFT va oltre dicendo: il signor Gresham arrivó prima del solito e mi trovó sdraiato su un freddo tavolo mortuario, immerso in un sonno pesante da vampiro. Le braccia strette attorno al corpo nudo e rigido di un cadavere ormai fetido. Il titolare delle pompe funebri mi destó da sogni lascivi…Penso che tu abbia fantasia sufficiente, come me, per capire cosa ci faceva coi cadaveri.
Scrive nostra sorella Wikipedia il 4, 1 – 2016 : Il timore dell’ignoto e dell’inconscibile pervade i lavori di Lovecraft, cosí come la nera depressione pervadeva i lavori di Edgar Allan Poe… Lovecraft temeva che questo significasse che anch’egli fosse mentalmente instabile. Un timore che permea il suo lavoro, con maledizioni ancestrali e sconosciute ereditá condannanti i suoi protagonisti.

Sarei crollato se non se non avessi potuto provare di nuovo l’ebbrezza che soltanto la vicinanza dei defunti poteva darmi… Ti risparmio la fine di questo afasica, ipnotica narrazione, scritta da un condannato.
Scrive Salvatore Liguori: C’è una cosa che non vi abbiamo detto: in molte delle lettere che scambiava con altri amici autori, Lovecraft dichiarò che si era ispirato per le sue storie ai propri incubi. Infatti la figura dell’artista o dell’intellettuale che per via della sua naturale empatia riusciva a entrare in connessione con le realtà dell’orrore cosmico, e quindi impazzire, è molto comune. E questo ci lascia con un dubbio…Se fosse tutto vero? “Ya Ya Cthulhu Fhtang!”
Una riflessione la voglio ancora fare pensando anche che Lovecraft meriti altri post: All’ombra costante dell’angoscia, col timore di essere afflitto da malattie mentali sempre in agguato, sicuramente instabile dal punto di vista psico emotivo, Lovecraft scrive i suoi capolavori, come De Maupassant, come Poe, indagando nel mondo dell’incubo, rivitalizzando quelle lamie che egli temeva volessero annientarlo, materializzando, per tentare l’esorcismo, angosce e incubi, in compagnia di lutto, orrore, demoni e morte. La “malattia” di questi autori si fa grande arte, si fa premonizione e annuncio della nostra epoca di disvalori e caos. Il loro “male” fa rima con angoscia cosmica, smarrimento davanti al vuoto del creato, alta letteratura e consapevolezza. Del resto fu proprio Poe a scrivere in Eleonora, 1841: «Mi hanno chiamato pazzo; ma nessuno ancora ha potuto stabilire se la pazzia sia o non sia la più elevata forma d’intelligenza, se la maggior parte di ciò che è glorioso, se tutto ciò che è profondo non derivi da una malattia del pensiero, da umori esaltati della mente a spese dell’intelletto generale.»

I miei insopprimibili indizi di scrittura

leggevi Le Horla?

Quattro pagine soltanto! Quattro pagine per un capolavoro, fatto di estrema sintesi, trama incalzante, e poi, dal tragico epilogo. La tragedia che mette fine alla passione perversa e allucinata condita da follia d’amore tradito del protagonista. Nella concisione, nella progressione ineluttabile di un male d’amore e di possessione, nel volersi impadronire dell’altra, mentre lei è già lontana dagli amplessi infuocati dell’esordio, annoiata e solita dire gli uomini mi disgustano e lui era un uomo, o meglio, lo era stato, adesso era pazzo di lei per non riuscire più a riaverla. Tutto qua? No, c’è dell’altro, e in questo altro sta la grandezza del brevissimo racconto. I due si amano, o meglio lui ama lei di un amore possessivo ed esclusivo, e lei se ne stanca, capita, è quasi la norma. E poi che succede? C’è un terzo incomodo, anche questo capita, ma non svoglio svelarti chi è , se no ci perdi gusto. Diciamo che è decisamente atipico.

Ti incuriosisce? Bene, ma non è tutto. Ti riporto un brano in cui Guy de Maupassant scrive: Ho amato quella donna con uno slancio frenetico…Mi ha posseduto anima e corpo, invaso, incatenato. Sono stato, sono la sua cosa, il suo giocattolo. Appartengo al suo sorriso, alla sua bocca, al suo sguardo, alle linee del suo corpo…mi manca il fiato sotto il dominio della sua apparenza esterna…la odio, la disprezzo, la esecro, perché perfida, bestiale, immonda impura; ella è la donna di perdizione, l’animale sensuale e falso in cui non eiste anima….Ti basta? No? Allora leggi anche: ella è bestia umana, anzi meno di ciò, ella non è che un grembo, una meraviglia di carne dolce e rotonda, dove l’infamia si annida. …Adesso penso che ti basti, anche se non ti voglio svelare il motivo di questi insulti infamanti a Eva. Il titolo del racconto recita del resto: Fou, ossia Pazzo. ….Mi esaurivo in una furia di insaziabile desiderio scrive e poi la noia della donna e infine un nuovo suo stato d’animo prontamente rilevato dall’ex amante che continua: Ella si schiudeva a un incomprensibile ardore; si placava nella felicità di un’inafferrabile carezza…l’avevo gia veduta cosi! Amava!….Ce n’è a sufficienza per istituire un processo post mortem contro Maupassant. Ma quale liberazione della donna! ma quali diritti acquisiti con le lotte delle femministe? E quali cortei in piazza a gridare slogan griati dagli anni Settanta in poi, sull’utero, la natura, la femminilità nsultata e la prgionia dell’essere femmina. Maupassant getta una bomba a mano dietro l’altra quando scrive: Chi approfondirà mai le perversioni della sensualità delle donne? Chi comprenderà i loro inverosimili capricci e l’appagamento delle più strane fantasie?…ella partiva per prati e boschi, e, ogni volta rincasava illanguidita, come dopo frenesie d’amore. Non poteva conoscere la ribellione della donna del secolo successivo al suo.

…Beh mi sembra ce ne sia abbstanza per condannare il povero Maupassant in contumacia se lo prendessimo alla lettera. In queste quattro pagine c’è chi vince e chi perde. C’è chi soccombe pur vivendo, c’è chi vince pur crepando. E il terzo incomodo rimane come sospeso, attore di una forza cieca della natura che è cosi come la vedi e basta. Potrebbe essere “solo” un racconto da brivido, la cronaca di una folle gelosia che galoppa. Ma non è cosi. Le implicazioni che conducono altrove sono notevoli. Alla fine devi berti un bicchier d’acqua perché riscontri tutto il dominio reale della natura al femminile, tutto il suo mistero, oltre all’orrore della sua fine inevitabile, in poche righe Maupassant ci fa passare dall’attrazione di due amanti al rifiuto della femmina, alla scandalosa supposta attrazione di lei verso…il terzo incomodo, alla vendetta cieca dell’uomo, folle di gelosia. Ci sono carni che si cercano e si saziano e poi c’è il resto, tutto da sondare. Ma qui c’è soprattutto la duplice grandezza della scrittura indagatrice dell’autore. Quanto de Maupassant si identificava nel personaggio del racconto? Egli stesso folle come il suo autore?! Una grandezza fatta di naturalismo, nel vedere le cose come sono e nel descriverle, la storia di una sconfitta dell’uomo anche, perché egli non saprà mai non capirà mai la natura della donna che lo ha respinto, per chi? per cosa? e perché? È la figura di lei a trionfare, a farsi gigantesca, pervasiva, definita dal suo ex amante bestia umana! Cosa ha fatto di tanto atroce? Come mai tanta spietatezza nei suoi confronti? Solo perché l’ha perduta? Definita l’animale in cui non esiste l’anima! (ma non si esprime cosi ogni pazzo d’amore respinto? Ogni aspirante femminicida?) Ci sarebbe da scomodare Freud e la squadra omicidi. La duplice grandezza del succinto racconto sta anche nel presentare una natuta sfuggente, insondabile, insidiosa (non ci appare così almeno una volta nella vita la donna? E non risiede proprio qui il suo insondabile fascino e potere di seduzione?) Lei, se ci guardi bene, non ha fatto proprio nulla di esecrabile, nulla di scandaloso o di offensivo, si è solo stancata del suo amante e lo rifuta perché stanca di lui, normale, no? il quale era probabilmente già ossessivo e opprimente, di natura, figurati dopo che è stato lasciato.

Non voglio dirti oltre su questo enigma, se no ci perdi gusto, ma l’enigna c’è e sarai tu a scoprirlo e a considerarlo. Sgualdrina impagabile? Mangiatrice d’uomini? Perfida mentirice? Niente di tutto quaesto. Solo una provetta cavallerizza che pareva impersonare insondabili segreti insiti nella sua natura. Una cosa certa: la figura della donna sovrasta tutto e tutti, rimane insondabile, desiderabile, nonostante l’accaduto. De Maupassant colloca il racconto in una dimensione priva di riferimenti temporali e geografici. Contro il protagonista (e cioè contro l’autore, congiura una forza indicibile, inafferrabile, panica, impersonata dalla donna e da un animale, che la donna gratifica con simpatia e attenzione. Una mia lettura azzardata riguarda il rapporto che de Maupassant aveva con la madre Laure. L’autore fa commettere un crimine al protagonista, quello che lui stesso non avrà mai il coraggio di fare: uccidere (metaforicamente) la madre.