scriveva il grande Ernest?

Non so se hai mai letto ISOLE NELLA CORRENTE del grande Ernest, ultima sua opera prima del suicidio. Opera minore che parla di un pittore, dei suoi figli e delle relazioni fra lui e loro, di bevute stratosferiche seduti al bancone di un bar, di una battuta di pesca, probabilmente una delle migliori che siano mai state scritte, della morte tragica dei figli, e anche della caccia a una combriccola di soldati crucchi. Il racconto, come ti ho detto, non pè dei migliori, ne parlo tuttavia perché ti “costringe” a leggerlo fino alla fine, questa è la magia della scrittura di Hermingway. Sarà il mito che H. seppe nutrire o subire? Sarà il personaggio fragile e malato, a detta del suo amico Orson Welles, Hemingway: aspirante rodomonte dai piedi d’argilla. I personaggi ricorrenti a bevute dall’alto tenore alcolico per sopportare l’onere della loro esistenza, sono individui “provvisori” , spacconi, o aspiranti grandi artisti, percorrono esistenze senza sbocco né costrutto, Ma se vuoi sapere come si pesca e si perde un pesce gigantesco nell’oceano e i “fragli” rapporti fra padre e figli il libro fa per te. In molti personaggi avverti la loro inconfondibile natura americana, che è quasi un leit motiv, riscontrabile anche in altri autori, una navite, una fanciullezza dello spirito, il loro stupore davanti alla natura e al mondo in genere. Quello che mi preme sottolineare è che in un libro come questo, forse un po’ noioso, dove le vicende sono vissute da perdenti vive quella scrittura che ha reso grande lo scrittore americano. Quanto il mito di H. pesi sui suoi lavori influenzando i lettori è evidente. Lo sai scritto da lui, per cui predisponi la tua attenzione. Tanto basta a seguirlo fino alla fine, che in questo caso non prevede un finale eclatante, né eroico, né tantomerno da vincente.

Hai letto H. e tanto deve bastare. Per dirla come il mito del personaggio sopravanzi o confonda il vero valore della sua opera. Il suo “marchio” comunque lo avverti, fatto di disperazione, depressione, e fallimento esistenziale sottotraccia,. Se malato, come davvero lo è stato, un grandissimo malato, un fragile logorroico, reduce dalla vita come molti dei suoi personaggi, nato con la penna in mano, e morto con la penna in mano. Uno che aveva conosciuto e ammirato non poco Gabriele D’annunzio e i suoi Arditi, per poi rimangiarsi l’ammirazione scrivendo a Chicago nel 1922 a proposito del poeta calvo: “Mezzo milione di cristi d’italiani morti- che spinte e stimoli per la sua carriera quel figlio di puttana” . Effettivamente di noi gli Americani capiscono pochino.

c’era l’America?

Si fa presto a dire: America. Ma quale America?! subito uno si chiede. Il gran continente suscita sentimenti contrastanti da subito, pro e contro, amore odio, senso di superiorità verso il paese fanciullo, o ammissione di inferiorità della vecchia Europa, eccetera. Non è questo il punto. Se penso però a quello che gli USA ci hanno dato in termini di scrittori, registi, attori, scienziati allora la testa mi gira e mi unisco al coro di chi ama e ammira quel Paese riconoscendone la superiorità e unicità.
Gente del calibro di Poe, Lovecraft, Steinbeck, London, Miller, e poi Marlon Brando, Bogart, Orson Welles e Papa Hemingway, meglio che non mi faccia prendere la mano, l’elenco è interminabilie. Tutta gente genuinamente ed esclusivamente americana che ha fornito interpretazioni e rappresentazioni inedite di sé e del proprio tempo. Per cui evviva l’America! Dicevo di big Papa Hemingway, ci ho messo due mesi a pensare a cosa scrivere perché i fiumi di inchiostro su di lui non si contano e poi su Orson Welles che merita un discorso a parte, trattandosi di genio allo stato puro.

Tra l’altro i due, erano amici, anche se Welles era estraneo al clan di Hemingway, come si evince da un video in cui il grande Orson parla del grande Ernst dicendo anche che lo scrittore era molto malato e che ha calcato inevitabilmente le orme del padre, morto suicida. Di Hemingway è stato detto sin troppo, e oggi si fatica ancora a distinguere la grandezza indubbia della sua scittura dal mito che ancora aleggia attorno a lui. Si sentiva spiato (ed era vera la cosa) dall’ FBI ed era arrivato a scambiare per agenti segreti due becchini che bevevano una bibita seduti al bar, dopo il lavoro. L’America lo utilizzava come informatore mentre lo sospettava di simpatie comuniste vista la sua amicizia con Castro. Insomma, incognite e guai hanno costellato la sua esistenza.

Quand’ero all’Havana mi sono imbattuto in alcune sue tracce e le ho seguite. Non è stato difficile. Floridita, Bodeguita del medio, la sua casa Finca Vigia, raggiunta inutilmente perché la casa era chiusa e così ho potuto solo sbirciare dalla finestra. Allora lavoravo per l’ente del turismo cubano come fotografo per cui mi hanno fatto scorrazzare in lungo e in largo per l’intera isola; l’autista mi ha condotto fino a Cojimar a incontrare Gregorio Fuentes ispiratore del VECCHIO E IL MARE. Cosa pensi che mi abbia detto il vecchio Gregorio che portava Hemingway a pescare marlini? “He was a great gay” e poi si è fermato coi ricordi come era solito fare con tutti quelli che lo visitavano, andando poi, come da copione, a prendere ‘l’album delle foto. Che Papa Hemingway avesse conosciuto, apprezzato e poi criticato il nostro Gabriele D’Annunzio e i suoi Arditi è cosa assodata, magari riprenderò l’argomento in altri post. Passo e chiudo.

Se vuoi leggere qualche mio scritto

c’era il Vate?

Il 1 marzo 1938, moriva Gabriele D’Annunzio. Uno dei poeti, scrittori ed intellettuali più importanti del nostro Paese. La sua espressione più celebre fu “vivere inimitabile”. Frase che, in effetti, riassume benissimo ciò che sono state le sue esperienze e tutta la sua esistenza. Una vita che non può essere imitata. 

Nasce a Pescara nel 1863 da una famiglia benestante. Già dai primi studi mostra subito un grande interesse per la letteratura ed è proprio negli anni del collegio che pubblica la sua prima raccolta poetica (Primo Vere). Tanto che lo si potrebbe definire una sorta di ragazzo prodigio!

L’esperienza romana

Si trasferisce a Roma ai tempi dell’università, iscrivendosi alla Facoltà di Lettere ma non termina gli studi. Il periodo romano sarà soprattutto un periodo di lavoro giornalistico, vita mondana, frequentazione di salotti letterari e aristocratici ma anche grandi amori e grandi tradimenti.

Per un letterato a quel tempo poteva essere facile ritrovarsi in questi vortici di passioni e vita sregolata. Sulla base di questo inizia a scrivere i suoi primi romanzi dando voce a quello che viene definito il movimento dell’Estetismo di cui D’Annunzio è il più grande rappresentante in Italia soprattutto con il suo famosissimo romanzo, Il Piacere.

Il movimento dell’Estetismo

L’Estetismo è un movimento che deriva direttamente dal gruppo del Decadentismo, il cui concetto di fondo è la rottura con la società e con l’arte ufficiale classica. Si ha un grande bisogno di allontanarsi dalla massa borghese, tanto da scandalizzarla, rompendo con le tradizioni letterarie passate. L’Estetismo è la variante che più ci interessa quando parliamo di D’Annunzio, in quanto, è un atteggiamento che coinvolse tutta l’esistenza.

In linea con la parola estetica, consiste nella filosofia che si occupa delle sensazioni, della bellezza, dell’arte. In letteratura l’Estetismo implica un culto del bello, in quanto è molto importante il modo in cui le opere appaiono, devono essere piacevoli alla vista, al tatto, alla lettura, devono sconvolgere, esprimere lusso e distacco da tutto quello che è comune. Il romanzo che meglio di tutti concretizza le tematiche dell’Estetismo e che anzi aiuta la diffusione di queste idee in Italia è Il Piacere che vedremo fra poco.   

Il concetto di Superuomo

Ma la vita lussuosa che conduce a Roma lo sommerge di debiti e per scappare ai creditori comincia un periodo di spostamenti per la Penisola. Giunto a Venezia conoscerà l’attrice Eleonora Duse, il grande amore della sua vita, alla quale si ispirerà nelle sue scritture.

Questo è anche il periodo in cui, leggendo Nietzsche, si avvicina al concetto di superuomo, colui che si distacca da ogni convenzione, rinascendo come spirito libero e animalesco contro le restrizioni civili e sociali. Secondo questo concetto scrive Le Laudi, una raccolta di componimenti poetici nel quale appare il concetto di superuomo affibbiato all’idea di un Eroe greco di vitalità irrefrenabile.

Dalla vita politica agli ultimi anni di vita

Il suo periodo politico lo vede deputato del Regno d’Italia. In questa veste lotta affinché il nostro Paese entri in guerra, durante la Prima Guerra Mondiale. Parteciperà direttamente al conflitto in alcune battaglie aeree, ma riportò gravi ferite, come la perdita della vista ad un occhio.

In seguito al conflitto mondiale, e con l’ascesa di Mussolini, D’Annunzio si ritira dalla vita politica e passa gli ultimi anni sulla villa sul lago di Garda fino alla sua morte avvenuta il 1 Marzo 1938. L’importanza della sue opere è tale che gli valse l’appellativo di Poeta Vate: un poeta in grado cioè di interpretare ed esprimere al meglio le tensioni e lo spirito del suo tempo storico.          

Federica.

Federica dice di sé: sono laureata in Storia dell’arte, uno degli indirizzi della Laurea in Beni Culturali. L’arte, in tutte le sue forme, è sempre stata al centro della mia vita. Non solo intesa come il quadro da contemplare, ma anche come musica, danza, scrittura, pittura.

il Vate prendeva appunti?

IL VERSO È TUTTO

Così diceva. Per il verso sperimentò la vita e sfidò la morte. Nel segno di una vitalità spasmodica e senza limiti. “Non ne posso più. Non ho mai avuto tanta ansia, neppure aspettando la notte di Pola, neppure sospirando la notte di Cattaro. Perché? Perché sono maturo per la morte. Impresa di Buccari-Gennaio 1918. L’ascia del carnefice Fato, che è il mio amore. I comandanti e i marinai mi aspettano su la riva. I motoscafi sono pronti col loro doppio siluro unto, color d’oro. ” Soldato fra i soldati, eroe fra gli eroi. Il trionfatore, il tribuno, ultra-uomo, esteta e poi Vate; tollerato, usato e poi scaricato da Mussolini che lo aveva relegato al Vittoriale, perche se ne rimanesse buono buono.  Un grande del ‘900 per merito di pochi versi, di alcune opere in prosa, in grado di sprigionare una musica rara che incanta ancora oggi. Versi assolutamente unici, come unico era Gabriele, l’ultra-uomo, capace di trasformare la sua stessa vita in opera d’arte, sperimentando tutto l’sperimentabile che il suo tempo poteva offrire.

Amori, imprese guerresche, viaggi, politica sono semplicemente puntate febbrili di una vita incredibilmente densa e vorticosa, che lo porta a interloquire anche col regime fascista. (Non sappiamo se corrisponda al vero il fatto che Hitler gli avesse messo alle costole una spia donna). Nella ghiotta edizione di Mondadori ci sono i Taccuini, con copertina rigida, ricoperta di stoffa azzurra edizione a cura di Enrico Bianchetti e Roberto Forcella (1965). Il libro contiene una riproduzione di alcune pagine dei TACCUINI scritte dallo stesso D’Annunzio. Perché ho scelto proprio questo libro? Perché contiene i mattoni con cui costruirà le sue opere di cui oggi non sappiamo più che fare, tanto sono ingombranti e fuori dal tempo. Così enfatiche, retoriche, estetizzanti. Tranne alcune,di eccezionale fattura e di enorme suggestione. Le altre, la maggioranza, sono folte di arringhe, commemorazioni e sfide autentiche alla morte, come queste: Compagni, alte parole furono dette. Il cordoglio ebbe la voce grave dei nostri capi. Ma non vuole pianto né rimpianto questo celebre ucciso e distruttore.  (in morte di Francesco Baracca, il famosissimo aviatore). Ma i Taccuini contengono anche questi appunti di viaggio: 4 fazzoletti Dr. 22 Miele Dr. 20  Loukum Dr. 30  Sigarette Dr. 20  3 scialletti sorelle Cicciuzza (scarpe e vestiti) Mario scarpe portafogli  Pagato a Costantino Cicolo L. 50 Pagato allo stesso con una tratta (Vallardi) L. 55  Abiti portati in yacht Abito completo grigio ferro Idem a quadretti minuti bianchi e neri Commissioni per Venezia: Occhiali da presbite n°12. E poi appunti sulle cose da vedere, comprare, sulle opere da sviluppare.  Un libro per intenditori, ma non solo per gli amanti del Vate.
Da altri appunti apprendiamo che uno dei suoi camiciai era M Sanguinetti con negozio in corso Vittorio Emanuele 7 e 8 a Milano. E Umberto Tallino faceva il domestico in Via Borgospesso 25 a Milano. Appunti del soldato, dell’uomo, del poeta e del viaggiatore che, con molta cura, annota nomi, iscrizioni, targhe, che registra emozioni e sensazioni in un ordinato caleidoscopio dove c’era scritto l’elenco dei regali da acquistare per amici, parenti, amanti. Un uomo con una altissima considerazione di se stesso (come dargli torto?)

Uno scrittore che faceva tutt’uno con il combattente, il tribuno, il politico, l’esteta, il vagheggino e l’uomo di mondo. Grandissimo nell’opera Alcione, e nel Notturno (solo in quelle?) ma al contrario di Pirandello, (deceduto due anni prima di lui) che fruga nel profondo della psiche umana, anticipando un uomo al di là da venire, comunque imminente, egli era alle prese col suo mito, e con quello del superuomo di evoliana memoria, anche se il filosofo siciliano lo considerava un teatrante. E poi da chi scrive MERIGGIO, STIRPI CANORE, LA MORTE DEL CERVO e IL NOTTURNO cosa si può volere ancora?

Elsa Morante, definita non mi ricordo più da chi Pizia di tempra durenmattiana, negli anni ‘ 60 era intervenuta in una controversia fra linguisti. Dicendo: non è vero che aggettivi come “stupido”, “imbecille”, “cretino” sono perfettamente sinonimi, intercambiabili. Niente affatto. Per esempio, Carducci era stupido, Pascoli era imbecille e D’Annunzio un autentico cretino.  Credo che il marito di Elsa Morante, il signor Alberto Pincherle Moravia fosse perfettamente d’accordo con lei, incapace di celare sentimenti ostili e di rivalsa verso il Vate probabilmente per le mete e i risultati che D’Annunzio aveva conseguito e lui invece no, pluricandidato deluso al Nobel e tuttavia destinato a rimanere a bocca asciutta, senza poi riferire della sua invidia per la messe di cuori femminili all’attivo del poeta nazionale.

Un articolo interessante di Repubblica su D’Annunzio del 28 febbraio 2008 mette in luce l’avversione patologica di Natalino Sapegno contro il Vate, ma non era il solo ad avversare l’eroe di Fiume. Sull’articolo ci troverai cose interessanti come: D’Annunzio ha incontrato quella che in un passo del romanzo, in anticipo su Sartre, definisce «una insopportabile nausea di vivere», le «acque morte e venefiche » della malinconia.

Il prossimo post sul “divino” Gabriele sarà di Federica che lo ha già pubblicato sul suo blog il mondo della ragazza creativa che ti invito a visitare. Passo e chiudo

Ernest si era infatuato del Vate?

La notizia l’ho ricavata da un ritaglio di giornale ingiallito, probabilmente del 1984; l’articolo è di Franceso La Valle e il giornale è IL GAZZETTINO. Se fai qualche ricerca scopri quello che ho scovato io e che merita nuova attenzione. Ve la riporto come l’ho letta, evitando di commentare.
Americani Sul Grappa – Documenti E Fotografie Inediti Della Croce Rossa Americana in Italia Nel 1918
GIOVANNI CECCHIN Published by Asolo 1984. 

Ancora un libro, memorie, due personaggi stratosferici, così lontani eppure così intimamente legati nell’ammirazione che uno provava per l’altro, non so se ricambiata, e poi nella disillusione per un sogno andato in frantumi. Ernest Hemingway e Gabriele D’annunzio. Ovvero la strana coppia. Scrive lo scrittore americano: “mentre fumavo, vagavo col pensiero al grande amatore che, esaurito l’amore per la donna, stava ora spremendo sul suo infuocato cranio le ultime gocce di amor patrio. Com’egli avesse messo da parte i decreti delle nazioni per fare il filibustiere. Questo eroe ormai vicino al disarmo. Un amante che era solo fallito in una ricerca, quella della morte in battaglia. Avrebbe egli incontrato la morte che cercava o sarebbe stato di nuovo beffato?

Pensavo all’ultima volta che l’avevo visto quando scese dalla carlinga dopo il raid della Serenissima su Vienna. Come, con quel suo aspetto di vecchio avvoltoio calvo, egli s’era sfilato il pugnale con l’impugnatura d’avorio che portava alla cintura sopra il maglione di aviatore e disse al pilota: “Tu hai perseguito il tuo obiettivo, io no!”, e s’incamminò via. Mentre pensavo a questo D’Annunzio e guardavo dalla battagliola, mi sentii premere contro le costole la punta di un pugnale e una voce mi sibilò “Che fiamme?” “Fiamme nere” ansimai contro il parapetto.” Benissimo Scribe Frog Eyes (scribacchino occhi di rana). Finalmente si salpa, mi disse in inglese “Voltati…Grifone sta pilotando fuori il piroscafo…stai andando a Fiume Scribe. abbiamo requisito la nave stanotte. “Diavolo d’un Picks! Ora siamo lontani dal Grappa!” dissi. ….” Ora tutti gli Arditi sono laggiù col Gabriele. Bisogna stare nel gruppo. Questa sì che è vita.”
firmato Ernest Hemingway.

Nell’articolo ci leggi anche: A Chicago Hemingway nel 1922 scriveva del poeta calvo: “Mezzo milione di cristi d’italiani morti- che spinte e stimoli per la sua carriera quel figlio di puttana” e l’articolo di Francesco La Valle conclude: In un personaggio della complessità di Hemingway, l’dentificazione ambivalente con D’Annunzio è sempre stata presente. Nel 1922 scriveva di lui nel contesto della famosa intervista a Mussolini: “D’Annunzio,… il vecchio calvo, forse un po’ matto, ma del tutto sincero e divinamente coraggioso fanfarone”E ancora nel 1950 in DI LA’ DAL FIUME E FRA GLI ALBERI: “il grande meraviglioso autore de IL NOTTURNO”. E fu proprio dal D’Annunzio musico della parola, oltre che “eroe” che Hemingway fu profondamente influenzato: dalla “magia” di una prosa fonica e ritmica, di semplicità e complessità evocative della musica. Tutte cose da approfondire, non ti pare?

Lasciami solo aggiungere una considerazione a margine, che ha il sapore dell’ovvio. Poteva forse continuare all’infinito quell’epoca di eroi, l’esaltazione del sangue bramoso di gloria e della mente che agognava nuove mete, emergenti come un fiume in piena nelle pagine del IL LIBRO ASCETICO DELLA GIOVINE ITALIA e nei discorsi esaltati con cui il Vate arringava i suoi legionari? Poteva andare oltre quell’avventura dello spirito, del sangue e delle armi, eredità ardenti ma scomode della prima guerra mondiale? Non poteva, è la risposta, infatti già si stava preparando il tempo nuovo, quello della normalità, della mediocrità dei nuovi soggetti politico sociali europei, anche se sarebbe occorsa una nuova guerra. L’eroismo, l’esaltazione, come l’amore e l’ardimento sono fratelli della giovinezza, quella che il vecchio avvoltoio calvo e un po’ matto, secondo Hemingway, ma sincero, non si rassegnava ad aver perduto; la normalità per lui era morte, ma non quella cercata in battaglia, bensì quella che esige oblio, silenzio, tacita rassegnazione, asservimento a nuove regole di vita per preparare una terra senza eroi, né proclami.

il Vate infuocava i suoi fedelissimi?

Alberto Moravia lo detestava, anche per il numero inarrivabile di conquiste femminili e perché forse vedeva nell’oggetto del suo scherno quello che lui non avrebbe mai potuto essere. Mentre la moglie Elsa Morante diceva esplicitamente che Carducci era un idiota, Pascoli un cretino e D’Annunzio un emerito imbecille; Pasolini, che era loro amico, ne parlava pochissimo e male. Avrai così capito che sto parlando del Vate, dell’ultimo grande italiano, del mito ultimo d’Italia. Con la sua scomparsa si seppellisce un’epoca, va in pensione l’Italia eroica, combattente della Grande Guerra coi suoi cinquecentosessantamila morti italiani. Non ci sarebbe stato più spazio in futuro per uno come lui e per quelli che lo osannavano.
Prima di abbandonare l’Italia ho fatto visita al Vittoriale, doveroso omaggio al Vate: mausoleo, clausura, dimora traboccante cimeli, D’annunzio sembrava che fosse appena uscito da una delle sue stanze. Così diceva: “Io dono il Vittoriale agli Italiani, considerandolo un testamento d’anima e di pietra…” Con lui sparisce l’esteta, il retore, sparisce il soldato (autentico) anche se il barone Julius Evola, che peraltro aveva apprezzato i suoi scritti, lo definiva “teatrante”. Puoi detestare la sua figura di avvoltoio vecchio e calvo, come lo descriveva, pur ammirandolo, Ernest Hemingway, e quella spasmodica ricerca del bello e inimitabile, puoi scegliere alcuni suoi versi e stamparteli in mente, di eccezionale bellezza quelli di Alcyone, e amare quella prosa sonora che pare abbia influenzato la scrittura di Hemingway. Con D’Annunzio muore colui che sfidava la morte, cercandola sul campo di battaglia, come momento estetico inimitabile, senza tuttavia riuscire trovarla. Nel volumetto pubblicato da IDROVOLANTE EDIZIONI ITALIA O MORTE c’è tutto l’ardore e l’ardire del poeta che si fa uomo d’arme, del tribuno che lamenta l’Italia eroica tradita da una vergognosa pace mutilata. Ignorare D’annunzio, figura apprezzata e studiata a livello internazionale, è impresa senza senso e parlare di lui oggi è come aggiungere gocce a una mare di scritti, articoli, analisi, tesi, critiche e infine riscoperte. Dal volume di ITALIA O MORTE cito alcuni passi significativi:

A pag. 18: Non si tratta di avanzare verso il benessere ma verso la grandezza. Anche la fame e la discordia possono essere artefici della grandezza futura.
A pag. 28: Che valore hanno i segreti dei trattati laboriosi – espedienti della fede fiacca e della paura intempestiva- al paragone delle diritte volontà eroiche?
A pag. 38: Io e i miei compagni non vorremmo più essere Italiani di un’Italia rammollita dai fomenti transatlantici del dottor Wilson e amputata dalla chirurgia transalpina del dottor Clemenceau.
A pag. 58: Non vedo potenze contro di noi, nel senso dello spirito, nella specie dell’eterno. Non vedo se non grossi e piccoli mercanti , grossi e piccoli usurieri, grossi e piccoli falsari.
A pag. 92: Per lui (Natale Palli) come per ogni spirito eroico “il sogno è fratello dell’atto e anche la morte non è se non un atto creatore, il più misterioso e virtuoso degli atti creatori
A pag. 145: La Grande Guerra aveva sprigionato dall’uomo tutte le essenze sublimi; aveva abolito i limiti noti del coraggio e del patimento;…Veramente la bellezza eroica precipitava e traboccava sul mondo come un torrente di maggio…
IDROVOLANTE EDIZIONI ITALIA O MORTE

“Osare l’inosabile, questo il mio scoglio” uno dei suoi motti, non più oggi, non è più nostro quel primato di allora, quello nuovo sta altrove, appartiene ad altri popoli, ma è anodino e di natura molto diversa dal precedente italiano.

Quello che forse D’Annunzio non poteva intendere è che un popolo d’eroi non può che vivere sulla punta delle fiamme di un incendio, di un tumulto del sangue, ma che le fiamme poi, volenti o nolenti, si spengono per lasciare posto alla “normalità” che non è mai epica o eroica per costituzione, lasciando macerie fumanti e infine fredde e immemori, come quelle tipiche dei nostri giorni. Sta a te, a me, “almeno” non dimenticare quello che siamo stati e chi ci rappresentava facendosi interprete del nostro essere latente più profondo, questo fino a poco tempo fa. E, ci tengo a sottolinearlo, vorrei che la sua figura e le sue opere fossero patrimonio comune di tutti noi, al di là di ogni credo, orientamento o appartenenza politica.

I prossimi post saranno dedicati alla sua figura, che riserva inesauribili “sorprese”.