Non so se hai mai letto ISOLE NELLA CORRENTE del grande Ernest, ultima sua opera prima del suicidio. Opera minore che parla di un pittore, dei suoi figli e delle relazioni fra lui e loro, di bevute stratosferiche seduti al bancone di un bar, di una battuta di pesca, probabilmente una delle migliori che siano mai state scritte, della morte tragica dei figli, e anche della caccia a una combriccola di soldati crucchi. Il racconto, come ti ho detto, non pè dei migliori, ne parlo tuttavia perché ti “costringe” a leggerlo fino alla fine, questa è la magia della scrittura di Hermingway. Sarà il mito che H. seppe nutrire o subire? Sarà il personaggio fragile e malato, a detta del suo amico Orson Welles, Hemingway: aspirante rodomonte dai piedi d’argilla. I personaggi ricorrenti a bevute dall’alto tenore alcolico per sopportare l’onere della loro esistenza, sono individui “provvisori” , spacconi, o aspiranti grandi artisti, percorrono esistenze senza sbocco né costrutto, Ma se vuoi sapere come si pesca e si perde un pesce gigantesco nell’oceano e i “fragli” rapporti fra padre e figli il libro fa per te. In molti personaggi avverti la loro inconfondibile natura americana, che è quasi un leit motiv, riscontrabile anche in altri autori, una navite, una fanciullezza dello spirito, il loro stupore davanti alla natura e al mondo in genere. Quello che mi preme sottolineare è che in un libro come questo, forse un po’ noioso, dove le vicende sono vissute da perdenti vive quella scrittura che ha reso grande lo scrittore americano. Quanto il mito di H. pesi sui suoi lavori influenzando i lettori è evidente. Lo sai scritto da lui, per cui predisponi la tua attenzione. Tanto basta a seguirlo fino alla fine, che in questo caso non prevede un finale eclatante, né eroico, né tantomerno da vincente.
Hai letto H. e tanto deve bastare. Per dirla come il mito del personaggio sopravanzi o confonda il vero valore della sua opera. Il suo “marchio” comunque lo avverti, fatto di disperazione, depressione, e fallimento esistenziale sottotraccia,. Se malato, come davvero lo è stato, un grandissimo malato, un fragile logorroico, reduce dalla vita come molti dei suoi personaggi, nato con la penna in mano, e morto con la penna in mano. Uno che aveva conosciuto e ammirato non poco Gabriele D’annunzio e i suoi Arditi, per poi rimangiarsi l’ammirazione scrivendo a Chicago nel 1922 a proposito del poeta calvo: “Mezzo milione di cristi d’italiani morti- che spinte e stimoli per la sua carriera quel figlio di puttana” . Effettivamente di noi gli Americani capiscono pochino.
Si fa presto a dire: America. Ma quale America?! subito uno si chiede. Il gran continente suscita sentimenti contrastanti da subito, pro e contro, amore odio, senso di superiorità verso il paese fanciullo, o ammissione di inferiorità della vecchia Europa, eccetera. Non è questo il punto. Se penso però a quello che gli USA ci hanno dato in termini di scrittori, registi, attori, scienziati allora la testa mi gira e mi unisco al coro di chi ama e ammira quel Paese riconoscendone la superiorità e unicità. Gente del calibro di Poe, Lovecraft, Steinbeck, London, Miller, e poi Marlon Brando, Bogart, Orson Welles e Papa Hemingway, meglio che non mi faccia prendere la mano, l’elenco è interminabilie. Tutta gente genuinamente ed esclusivamente americana che ha fornito interpretazioni e rappresentazioni inedite di sé e del proprio tempo. Per cui evviva l’America! Dicevo di big Papa Hemingway, ci ho messo due mesi a pensare a cosa scrivere perché i fiumi di inchiostro su di lui non si contano e poi su Orson Welles che merita un discorso a parte, trattandosi di genio allo stato puro.
Tra l’altro i due, erano amici, anche se Welles era estraneo al clan di Hemingway, come si evince da un video in cui il grande Orson parla del grande Ernst dicendo anche che lo scrittore era molto malato e che ha calcato inevitabilmente le orme del padre, morto suicida. Di Hemingway è stato detto sin troppo, e oggi si fatica ancora a distinguere la grandezza indubbia della sua scittura dal mito che ancora aleggia attorno a lui. Si sentiva spiato (ed era vera la cosa) dall’ FBI ed era arrivato a scambiare per agenti segreti due becchini che bevevano una bibita seduti al bar, dopo il lavoro. L’America lo utilizzava come informatore mentre lo sospettava di simpatie comuniste vista la sua amicizia con Castro. Insomma, incognite e guai hanno costellato la sua esistenza.
Quand’ero all’Havana mi sono imbattuto in alcune sue tracce e le ho seguite. Non è stato difficile. Floridita, Bodeguita del medio, la sua casa Finca Vigia, raggiunta inutilmente perché la casa era chiusa e così ho potuto solo sbirciare dalla finestra. Allora lavoravo per l’ente del turismo cubano come fotografo per cui mi hanno fatto scorrazzare in lungo e in largo per l’intera isola; l’autista mi ha condotto fino a Cojimar a incontrare Gregorio Fuentes ispiratore del VECCHIO E IL MARE. Cosa pensi che mi abbia detto il vecchio Gregorio che portava Hemingway a pescare marlini? “He was a great gay” e poi si è fermato coi ricordi come era solito fare con tutti quelli che lo visitavano, andando poi, come da copione, a prendere ‘l’album delle foto. Che Papa Hemingway avesse conosciuto, apprezzato e poi criticato il nostro Gabriele D’Annunzio e i suoi Arditi è cosa assodata, magari riprenderò l’argomento in altri post. Passo e chiudo.
Il 1 marzo 1938, moriva Gabriele D’Annunzio. Uno dei poeti, scrittori ed intellettuali più importanti del nostro Paese. La sua espressione più celebre fu “vivere inimitabile”. Frase che, in effetti, riassume benissimo ciò che sono state le sue esperienze e tutta la sua esistenza. Una vita che non può essere imitata.
Nasce a Pescara nel 1863 da una famiglia benestante. Già dai primi studi mostra subito un grande interesse per la letteratura ed è proprio negli anni del collegio che pubblica la sua prima raccolta poetica (Primo Vere). Tanto che lo si potrebbe definire una sorta di ragazzo prodigio!
L’esperienza romana
Si trasferisce a Roma ai tempi dell’università, iscrivendosi alla Facoltà di Lettere ma non termina gli studi. Il periodo romano sarà soprattutto un periodo di lavoro giornalistico, vita mondana, frequentazione di salotti letterari e aristocratici ma anche grandi amori e grandi tradimenti.
Per un letterato a quel tempo poteva essere facile ritrovarsi in questi vortici di passioni e vita sregolata. Sulla base di questo inizia a scrivere i suoi primi romanzi dando voce a quello che viene definito il movimento dell’Estetismo di cui D’Annunzio è il più grande rappresentante in Italia soprattutto con il suo famosissimo romanzo, Il Piacere.
Il movimento dell’Estetismo
L’Estetismo è un movimento che deriva direttamente dal gruppo del Decadentismo, il cui concetto di fondo è la rottura con la società e con l’arte ufficiale classica. Si ha un grande bisogno di allontanarsi dalla massa borghese, tanto da scandalizzarla, rompendo con le tradizioni letterarie passate. L’Estetismo è la variante che più ci interessa quando parliamo di D’Annunzio, in quanto, è un atteggiamento che coinvolse tutta l’esistenza.
In linea con la parola estetica, consiste nella filosofia che si occupa delle sensazioni, della bellezza, dell’arte. In letteratura l’Estetismo implica un culto del bello, in quanto è molto importante il modo in cui le opere appaiono, devono essere piacevoli alla vista, al tatto, alla lettura, devono sconvolgere, esprimere lusso e distacco da tutto quello che è comune. Il romanzo che meglio di tutti concretizza le tematiche dell’Estetismo e che anzi aiuta la diffusione di queste idee in Italia è Il Piacere che vedremo fra poco.
Il concetto di Superuomo
Ma la vita lussuosa che conduce a Roma lo sommerge di debiti e per scappare ai creditori comincia un periodo di spostamenti per la Penisola. Giunto a Venezia conoscerà l’attrice Eleonora Duse, il grande amore della sua vita, alla quale si ispirerà nelle sue scritture.
Questo è anche il periodo in cui, leggendo Nietzsche, si avvicina al concetto di superuomo, colui che si distacca da ogni convenzione, rinascendo come spirito libero e animalesco contro le restrizioni civili e sociali. Secondo questo concetto scrive Le Laudi, una raccolta di componimenti poetici nel quale appare il concetto di superuomo affibbiato all’idea di un Eroe greco di vitalità irrefrenabile.
Dalla vita politica agli ultimi anni di vita
Il suo periodo politico lo vede deputato del Regno d’Italia. In questa veste lotta affinché il nostro Paese entri in guerra, durante la Prima Guerra Mondiale. Parteciperà direttamente al conflitto in alcune battaglie aeree, ma riportò gravi ferite, come la perdita della vista ad un occhio.
In seguito al conflitto mondiale, e con l’ascesa di Mussolini, D’Annunzio si ritira dalla vita politica e passa gli ultimi anni sulla villa sul lago di Garda fino alla sua morte avvenuta il 1 Marzo 1938. L’importanza della sue opere è tale che gli valse l’appellativo di Poeta Vate: un poeta in grado cioè di interpretare ed esprimere al meglio le tensioni e lo spirito del suo tempo storico.
Federica dice di sé: sono laureata in Storia dell’arte, uno degli indirizzi della Laurea in Beni Culturali. L’arte, in tutte le sue forme, è sempre stata al centro della mia vita. Non solo intesa come il quadro da contemplare, ma anche come musica, danza, scrittura, pittura.
Così diceva. Per il verso sperimentò la vita e sfidò la morte. Nel segno di una vitalità spasmodica e senza limiti. “Non ne posso più. Non ho mai avuto tanta ansia, neppure aspettando la notte di Pola, neppure sospirando la notte di Cattaro. Perché? Perché sono maturo per la morte. Impresa di Buccari-Gennaio 1918. L’ascia del carnefice Fato, che è il mio amore. I comandanti e i marinai mi aspettano su la riva. I motoscafi sono pronti col loro doppio siluro unto, color d’oro. ” Soldato fra i soldati, eroe fra gli eroi. Il trionfatore, il tribuno, ultra-uomo, esteta e poi Vate; tollerato, usato e poi scaricato da Mussolini che lo aveva relegato al Vittoriale, perche se ne rimanesse buono buono. Un grande del ‘900 per merito di pochi versi, di alcune opere in prosa, in grado di sprigionare una musica rara che incanta ancora oggi. Versi assolutamente unici, come unico era Gabriele, l’ultra-uomo, capace di trasformare la sua stessa vita in opera d’arte, sperimentando tutto l’sperimentabile che il suo tempo poteva offrire.
Amori, imprese guerresche, viaggi, politica sono semplicemente puntate febbrili di una vita incredibilmente densa e vorticosa, che lo porta a interloquire anche col regime fascista. (Non sappiamo se corrisponda al vero il fatto che Hitler gli avesse messo alle costole una spia donna). Nella ghiotta edizione di Mondadori ci sono i Taccuini, con copertina rigida, ricoperta di stoffa azzurra edizione a cura di Enrico Bianchetti e Roberto Forcella (1965). Il libro contiene una riproduzione di alcune pagine dei TACCUINI scritte dallo stesso D’Annunzio. Perché ho scelto proprio questo libro? Perché contiene i mattoni con cui costruirà le sue opere di cui oggi non sappiamo più che fare, tanto sono ingombranti e fuori dal tempo. Così enfatiche, retoriche, estetizzanti. Tranne alcune,di eccezionale fattura e di enorme suggestione. Le altre, la maggioranza, sono folte di arringhe, commemorazioni e sfide autentiche alla morte, come queste: Compagni, alte parole furono dette. Il cordoglio ebbe la voce grave dei nostri capi. Ma non vuole pianto né rimpianto questo celebre ucciso e distruttore. (in morte di Francesco Baracca, il famosissimo aviatore). Ma i Taccuini contengono anche questi appunti di viaggio: 4 fazzoletti Dr. 22 Miele Dr. 20 Loukum Dr. 30 Sigarette Dr. 20 3 scialletti sorelle Cicciuzza (scarpe e vestiti) Mario scarpe portafogli Pagato a Costantino Cicolo L. 50 Pagato allo stesso con una tratta (Vallardi) L. 55 Abiti portati in yacht Abito completo grigio ferro Idem a quadretti minuti bianchi e neri Commissioni per Venezia: Occhiali da presbite n°12. E poi appunti sulle cose da vedere, comprare, sulle opere da sviluppare. Un libro per intenditori, ma non solo per gli amanti del Vate. Da altri appunti apprendiamo che uno dei suoi camiciai era M Sanguinetti con negozio in corso Vittorio Emanuele 7 e 8 a Milano. E Umberto Tallino faceva il domestico in Via Borgospesso 25 a Milano. Appunti del soldato, dell’uomo, del poeta e del viaggiatore che, con molta cura, annota nomi, iscrizioni, targhe, che registra emozioni e sensazioni in un ordinato caleidoscopio dove c’era scritto l’elenco dei regali da acquistare per amici, parenti, amanti. Un uomo con una altissima considerazione di se stesso (come dargli torto?)
Uno scrittore che faceva tutt’uno con il combattente, il tribuno, il politico, l’esteta, il vagheggino e l’uomo di mondo. Grandissimo nell’opera Alcione, e nel Notturno (solo in quelle?) ma al contrario di Pirandello, (deceduto due anni prima di lui) che fruga nel profondo della psiche umana, anticipando un uomo al di là da venire, comunque imminente, egli era alle prese col suo mito, e con quello del superuomo di evoliana memoria, anche se il filosofo siciliano lo considerava un teatrante. E poi da chi scrive MERIGGIO, STIRPI CANORE, LA MORTE DEL CERVO e IL NOTTURNO cosa si può volere ancora?
Elsa Morante, definita non mi ricordo più da chi Pizia di tempra durenmattiana, negli anni ‘ 60 era intervenuta in una controversia fra linguisti. Dicendo: non è vero che aggettivi come “stupido”, “imbecille”, “cretino” sono perfettamente sinonimi, intercambiabili. Niente affatto. Per esempio, Carducci era stupido, Pascoli era imbecille e D’Annunzio un autentico cretino. Credo che il marito di Elsa Morante, il signor Alberto Pincherle Moravia fosse perfettamente d’accordo con lei, incapace di celare sentimenti ostili e di rivalsa verso il Vate probabilmente per le mete e i risultati che D’Annunzio aveva conseguito e lui invece no, pluricandidato deluso al Nobel e tuttavia destinato a rimanere a bocca asciutta, senza poi riferire della sua invidia per la messe di cuori femminili all’attivo del poeta nazionale.
Un articolo interessante di Repubblica su D’Annunzio del 28 febbraio 2008 mette in luce l’avversione patologica di Natalino Sapegno contro il Vate, ma non era il solo ad avversare l’eroe di Fiume. Sull’articolo ci troverai cose interessanti come: D’Annunzio ha incontrato quella che in un passo del romanzo, in anticipo su Sartre, definisce «una insopportabile nausea di vivere», le «acque morte e venefiche » della malinconia.
Il prossimo post sul “divino” Gabriele sarà di Federica che lo ha già pubblicato sul suo blog il mondo della ragazza creativa che ti invito a visitare. Passo e chiudo
La notizia l’ho ricavata da un ritaglio di giornale ingiallito, probabilmente del 1984; l’articolo è di Franceso La Valle e il giornale è IL GAZZETTINO. Se fai qualche ricerca scopri quello che ho scovato io e che merita nuova attenzione. Ve la riporto come l’ho letta, evitando di commentare. Americani Sul Grappa – Documenti E Fotografie Inediti Della Croce Rossa Americana in Italia Nel 1918GIOVANNI CECCHIN Published by Asolo 1984.
Ancora un libro, memorie, due personaggi stratosferici, così lontani eppure così intimamente legati nell’ammirazione che uno provava per l’altro, non so se ricambiata, e poi nella disillusione per un sogno andato in frantumi. Ernest Hemingway e Gabriele D’annunzio. Ovvero la strana coppia. Scrive lo scrittore americano: “mentre fumavo, vagavo col pensiero al grande amatore che, esaurito l’amore per la donna, stava ora spremendo sul suo infuocato cranio le ultime gocce di amor patrio. Com’egli avesse messo da parte i decreti delle nazioni per fare il filibustiere. Questo eroe ormai vicino al disarmo. Un amante che era solo fallito in una ricerca, quella della morte in battaglia. Avrebbe egli incontrato la morte che cercava o sarebbe stato di nuovo beffato?
Pensavo all’ultima volta che l’avevo visto quando scese dalla carlinga dopo il raid della Serenissima su Vienna. Come, con quel suo aspetto di vecchio avvoltoio calvo, egli s’era sfilato il pugnale con l’impugnatura d’avorio che portava alla cintura sopra il maglione di aviatore e disse al pilota: “Tu hai perseguito il tuo obiettivo, io no!”, e s’incamminò via. Mentre pensavo a questo D’Annunzio e guardavo dalla battagliola, mi sentii premere contro le costole la punta di un pugnale e una voce mi sibilò “Che fiamme?” “Fiamme nere” ansimai contro il parapetto.” Benissimo Scribe Frog Eyes (scribacchino occhi di rana). Finalmente si salpa, mi disse in inglese “Voltati…Grifone sta pilotando fuori il piroscafo…stai andando a Fiume Scribe. abbiamo requisito la nave stanotte. “Diavolo d’un Picks! Ora siamo lontani dal Grappa!” dissi. ….” Ora tutti gli Arditi sono laggiù col Gabriele. Bisogna stare nel gruppo. Questa sì che è vita.” firmato Ernest Hemingway.
Nell’articolo ci leggi anche: A Chicago Hemingway nel 1922 scriveva del poeta calvo: “Mezzo milione di cristi d’italiani morti- che spinte e stimoli per la sua carriera quel figlio di puttana” e l’articolo di Francesco La Valle conclude: In un personaggio della complessità di Hemingway, l’dentificazione ambivalente con D’Annunzio è sempre stata presente. Nel 1922 scriveva di lui nel contesto della famosa intervista a Mussolini: “D’Annunzio,… il vecchio calvo, forse un po’ matto, ma del tutto sincero e divinamente coraggioso fanfarone”E ancora nel 1950 in DI LA’ DAL FIUME E FRA GLI ALBERI: “il grande meraviglioso autore de IL NOTTURNO”. E fu proprio dal D’Annunzio musico della parola, oltre che “eroe” che Hemingway fu profondamente influenzato: dalla “magia” di una prosa fonica e ritmica, di semplicità e complessità evocative della musica. Tutte cose da approfondire, non ti pare?
Lasciami solo aggiungere una considerazione a margine, che ha il sapore dell’ovvio. Poteva forse continuare all’infinito quell’epoca di eroi, l’esaltazione del sangue bramoso di gloria e della mente che agognava nuove mete, emergenti come un fiume in piena nelle pagine del IL LIBRO ASCETICO DELLA GIOVINE ITALIA e nei discorsi esaltati con cui il Vate arringava i suoi legionari? Poteva andare oltre quell’avventura dello spirito, del sangue e delle armi, eredità ardenti ma scomode della prima guerra mondiale? Non poteva, è la risposta, infatti già si stava preparando il tempo nuovo, quello della normalità, della mediocrità dei nuovi soggetti politico sociali europei, anche se sarebbe occorsa una nuova guerra. L’eroismo, l’esaltazione, come l’amore e l’ardimento sono fratelli della giovinezza, quella che il vecchio avvoltoio calvo e un po’ matto, secondo Hemingway, ma sincero, non si rassegnava ad aver perduto; la normalità per lui era morte, ma non quella cercata in battaglia, bensì quella che esige oblio, silenzio, tacita rassegnazione, asservimento a nuove regole di vita per preparare una terra senza eroi, né proclami.
Alberto Moravia lo detestava, anche per il numero inarrivabile di conquiste femminili e perché forse vedeva nell’oggetto del suo scherno quello che lui non avrebbe mai potuto essere. Mentre la moglie Elsa Morante diceva esplicitamente che Carducci era un idiota, Pascoli un cretino e D’Annunzio un emerito imbecille; Pasolini, che era loro amico, ne parlava pochissimo e male. Avrai così capito che sto parlando del Vate, dell’ultimo grande italiano, del mito ultimo d’Italia. Con la sua scomparsa si seppellisce un’epoca, va in pensione l’Italia eroica, combattente della Grande Guerra coi suoi cinquecentosessantamila morti italiani. Non ci sarebbe stato più spazio in futuro per uno come lui e per quelli che lo osannavano. Prima di abbandonare l’Italia ho fatto visita al Vittoriale, doveroso omaggio al Vate: mausoleo, clausura, dimora traboccante cimeli, D’annunzio sembrava che fosse appena uscito da una delle sue stanze. Così diceva: “Io dono il Vittoriale agli Italiani, considerandolo un testamento d’anima e di pietra…” Con lui sparisce l’esteta, il retore, sparisce il soldato (autentico) anche se il barone Julius Evola, che peraltro aveva apprezzato i suoi scritti, lo definiva “teatrante”. Puoi detestare la sua figura di avvoltoio vecchio e calvo, come lo descriveva, pur ammirandolo, Ernest Hemingway, e quella spasmodica ricerca del bello e inimitabile, puoi scegliere alcuni suoi versi e stamparteli in mente, di eccezionale bellezza quelli di Alcyone, e amare quella prosa sonora che pare abbia influenzato la scrittura di Hemingway. Con D’Annunzio muore colui che sfidava la morte, cercandola sul campo di battaglia, come momento estetico inimitabile, senza tuttavia riuscire trovarla. Nel volumetto pubblicato da IDROVOLANTE EDIZIONI ITALIA O MORTE c’è tutto l’ardore e l’ardire del poeta che si fa uomo d’arme, del tribuno che lamenta l’Italia eroica tradita da una vergognosa pace mutilata. Ignorare D’annunzio, figura apprezzata e studiata a livello internazionale, è impresa senza senso e parlare di lui oggi è come aggiungere gocce a una mare di scritti, articoli, analisi, tesi, critiche e infine riscoperte. Dal volume di ITALIA O MORTE cito alcuni passi significativi:
A pag. 18: Non si tratta di avanzare verso il benessere ma verso la grandezza. Anche la fame e la discordia possono essere artefici della grandezza futura. A pag. 28: Che valore hanno i segreti dei trattati laboriosi – espedienti della fede fiacca e della paura intempestiva- al paragone delle diritte volontà eroiche? A pag. 38: Io e i miei compagni non vorremmo più essere Italiani di un’Italia rammollita dai fomenti transatlantici del dottor Wilson e amputata dalla chirurgia transalpina del dottor Clemenceau. A pag. 58: Non vedo potenze contro di noi, nel senso dello spirito, nella specie dell’eterno. Non vedo se non grossi e piccoli mercanti , grossi e piccoli usurieri, grossi e piccoli falsari. A pag. 92: Per lui (Natale Palli) come per ogni spirito eroico “il sogno è fratello dell’atto e anche la morte non è se non un atto creatore, il più misterioso e virtuoso degli atti creatori A pag. 145: La Grande Guerra aveva sprigionato dall’uomo tutte le essenze sublimi; aveva abolito i limiti noti del coraggio e del patimento;…Veramente la bellezza eroica precipitava e traboccava sul mondo come un torrente di maggio… IDROVOLANTE EDIZIONI ITALIA O MORTE
“Osare l’inosabile, questo il mio scoglio” uno dei suoi motti, non più oggi, non è più nostro quel primato di allora, quello nuovo sta altrove, appartiene ad altri popoli, ma è anodino e di natura molto diversa dal precedente italiano.
Quello che forse D’Annunzio non poteva intendere è che un popolo d’eroi non può che vivere sulla punta delle fiamme di un incendio, di un tumulto del sangue, ma che le fiamme poi, volenti o nolenti, si spengono per lasciare posto alla “normalità” che non è mai epica o eroica per costituzione, lasciando macerie fumanti e infine fredde e immemori, come quelle tipiche dei nostri giorni. Sta a te, a me, “almeno” non dimenticare quello che siamo stati e chi ci rappresentava facendosi interprete del nostro essere latente più profondo, questo fino a poco tempo fa. E, ci tengo a sottolinearlo, vorrei che la sua figura e le sue opere fossero patrimonio comune di tutti noi, al di là di ogni credo, orientamento o appartenenza politica.
I prossimi post saranno dedicati alla sua figura, che riserva inesauribili “sorprese”.
La contestazione rivela quanto sia ancora viva e ricca di fermenti la sua figura. Alzi la mano chi può dire di aver studiato tutta l’opera di Gabriele D’Annunzio. Staremmo forse sulle dita di una mano. Voi ed io. Ho dato la mia tesi di laurea su Gabriele d’Annunzio, relatore il professor Marziano Guglielminetti, Palazzo Nuovo Torino, luogo di intense contestazioni rosse ai tempi del Sessantotto e oltre.
D’Annunzio appare in posa dimessa, mi pare di scorgere. Siete stati al Vittoriale? Vi siete auto inflitti la lettura della sua opera e le Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi? Avete letto il Notturno e Meriggio? E la morte del cervo? D’Annunzio fascista? Atrocemente falso! Un falso storico che non so a chi interessi sostenere. Ovvero le distorsioni di un mito. Una volta per tutte: Nella sua opera tutto parla di eroicità, di mito, di eroismo, di proclami, di riesumazione e promozione dell’ antica Gloria italica che col Fascismo (quel fascismo) ci stanno come i cavoli a merenda. Alla stessa stregua condanniamo Giulio Cesare e le sue legioni, ovvero gran parte del nostro passato. Qualcuno se la sente? I suoi diretti riferimenti sono il mito del superuomo, anzi, dell’ultrauomo, del resto Friedrich Wilhelm Nietzsche aveva appena deposto i suoi frutti (avvelenati) a proposito dell’uomo nuovo, allora perché non mettiamo all’indice anche il filosofo tedesco, così il professor Gianni Vattimo si mette a strepitare, e a ragione. Grandissimo D’Annunzio, solo in alcuni suoi lavori (ma questo discorso esula dal tema attuale della contestazione. Oppure visto che nutriamo (ancora!) dubbi sulla sua appartenenza al regime, (e solo per quello!) diciamo che i suoi versi regali valgono poco! Bestemmia! Non ci sto.
D’annunzio uomo di pace rappresentato mentre sommessamente e malinconicamente sfoglia un libro su una pila di libri? Questa è la statua contestata? Semmai è la statua a dover essere commentata e l’atteggiamento del poeta perché me lo presenta rinunciatario, non perché sarà collocata dove deve esserlo. Una statua che gli corrisponde solo in parte perché presenta D’Annunzio come uomo di pace, che D’Annunzio non fu mai, anche se alla fine prenderà le distanze dal suo attivismo sfrenato, dalla gloria, dall’eroe, dalla sua indole stessa. A chi non capiterebbe dopo aver tanto vissuto? Ma non è un rinnegarsi il suo, se mai un ripiegarsi. Non fu mai uomo di pace D’Annunzio, non sarebbe stato l’erede di antichi miti in cui voleva specchiarsi, sostenerlo significa imbrattare il vero storico con menzogne tendenziose e insostenibili e danneggiare la sua grandezza ammirata all’estero che ne fa un binomio inscindibile di poeta soldato. Preferisco D’Annunzio in compagnia di Natale Palli su un biplano nel cielo di Vienna o a cavallo, a Fiume fra i suoi legionari. D’Annunzio da fastidio al PD? Siamo ancora a questo punto? Non ci posso credere! Tu da che parte stai? Destra, sinistra? Se sei di destra sei un fascista reazionario, bombarolo, massacratore e tiranno, se sei di sinistra un bolscevico esecrabile che giustificava i crimini di Stalin e Mao. Questi sono I giudizi che vogliamo? Tutto ciò che attiene o si riferisce o ricorda quel tipo di antagonismo storico politico, ancora oggi va criticato e ostacolato e messo all’indice dalle parti avverse, a quanto pare ancora oggi inconciliabili. D’Annunzio suscita ancora polemica e il suo nome va rimosso dalle strade! Allora rimuoviamo qualche centinaio di nomi nostrani. Magari anche quello di Machiavelli. Ma noi non siamo Americani ai quali basta rimuovere qualche statua per sentirsi in pace con la coscienza; viva D’Annunzio sono tentato di gridare. Ma non voglio farlo. Uomini come lui non finiranno di sollevare domande, di porre in dubbio verità di parte, o ancora, evidentemente troppo vicine per potersi definire vera storia. La polemica va colta nel suo aspetto positivo, ma va scissa dalla condanna tout court perché: D’Annunzio fiumano, guerrafondaio, capo di un manipolo di sfegatati col pugnale sguainato. Così non fu, o meglio: non fu solo così. Offendere le terre giuliane dal delicato equilibrio socio politico? altro errore! Il dente duole ancora? Protestiamo forse Fiume che ridiventi italiana per qualche bandiera di troppo? Un gesto incongruo e insostenibile che nuoce alla comprensione. Una buona volta occorre riguardare al passato non con spirito di parte o con atteggiamento preconcetto. È tempo di farlo.
A me sarebbe piaciuto che a sollevare contestazioni fossero stati non appartenenti al PD, vorrei dei contestatori capaci con cui confrontarmi, non i petulanti contestatori di una statua, vorrei tentare un dibattito, serio, definitivo, scrupoloso, anche se difficilissimo, dicendo anche a me stesso che se ti piace il nero non può piacerti il rosso e viceversa, ma non ha semplicemente alcun senso denigrare ciò che è grande di suo e a prescindere, intoccabile, invidiato da mezza Europa, cioè il nostro poeta soldato solo perché ha usato il Fascismo, e voleva divertirsi ancora un po’ con mitraglie, siluri e aerei, e il bel gesto e le pose col pugnale sguainato, non sono pose fasciste ma “romane”, andate a leggere la carta del Quarnaro, non a discolpa sua ma a spiegazione delle sue gesta. D’Annunzio non ha bisogno di essere scusato, condannato, osteggiato, ma solo studiato e compreso. Ce la facciamo una buona volta a non prendere posizioni a priori? Gli stranieri farebbero carte false per avere fra le loro memorie gente come lui. Lo sa il PD questo? Ho amicissimi e parenti stretti che hanno militato in Lotta Continua e stimati professori (defunti) ex comunisti ammiratori di Togliatti, ma che mai si sarebbero sognati di denigrare il nostro D’Annunzio. Farei carte false per sentire dire a un ex comunista italiano (quelli veri, non la confusa melassa di oggi): amo D’Annunzio per quello che ha scritto e farei ugualmente carte false per sentire uno di destra dire: ho studiato Gramsci, ho studiato Engels, apprezzo molto del loro pensiero. Da li bisogna partire per il confronto. Il partigiano comunista parente di una mia amica ed ex collega di lavoro, ammazzato inseguendo il sogno di una internazionale rossa sulle barricate di Parigi, contro i nazisti, lo ammiro e lo rispetto per la fedeltà alla sua idea (anche se dovessi suscitare scandalo) e tuttavia mi soffermo e rifletto sulle pagine di Julius Evola, che considerava D’Annunzio un teatrante che badava alla cornice. Evola, il filosofo della Tradizione, che intimorisce ancora in Italia, (ma non all’estero) che si rivoltava contro il mondo moderno, condannando sia il comunismo che il capitalismo. Ce la facciamo, dico io, tutti quanti a tornare grandi, invidiati, ammirati, come un tempo, Italiani, degni del nostro nome, e perché no? insieme ai nostri vicini amici slavi, ma occorre deporre le fionde di cui disponiamo e smetterla di tirarci sassi.
Quelli del PD che lo vogliano o no devono sapere che Gabriele D’Annunzio appartiene anche a loro. E per la cronaca: In Francia la biografia del Vate è stata scritta dall’Ambasciatore Maurizio Enrico Serra, rappresentante permanente presso le Organizzazioni Internazionali a Ginevra, insigne studioso di cose letterarie, che con il volume dedicato a D’Annunzio termina la personale ‘trilogia italiana’. Sono oltre 700 pagine sotto il titolo D’Annunzio le Magnifique (Grasset 2018, euro 30), con scheda editoriale audace: “Gabriele D’Annunzio fu lo scrittore-personaggio più imitato del suo tempo. Henry James, Shaw, Stefan George, Heinrich e Thomas Mann, Karl Kraus, Hofmannsthal, Kipling, Musil, Joyce, Lawrence, Pound, Hemingway, Brecht, Borges e tutti i francesi – da Remy de Gourmont a Cocteau, Morand Yourcenar – tre generazioni di intellettuali lo hanno letto, studiato, copiato.
Occorre smetterla col denigrare i protagonisti della nostra trascorsa grandezza. Tanto grandi rimangono, nonostante le nostre diatribe. Un italiano grande, unico, “mitico” e imparagonabile fu D’Annunzio. Senza se e senza ma.
Non è infine per spirito polemico che cito un altro “grande” italiano….forse l’ultimo grande, sebbene atipico: Pier Paolo Pasolini, ma forse ne’ a lui ne’ al Vate giovano le statue, bensì lo studio, la lettura imparziale del loro pensiero oltre al rispetto, infine l’orgoglio di sentirli nostri e italiani.
La dialettica degli opposti può anche rimanere inconciliabile (con pace precaria di tutti) ma il livello del confronto non deve comunque situarsi all’infimo gradino su cui posa un quesito effimero: statua si, statua no. Se no, facciamo ridere l’Europa, che ci invidia d’Annunzio. E l’ignoranza dei molti non è mai stata buona consigliera.
Il sottoscritto Mario Paluan, esule italiano e auto confinato volontariamente oltremanica si rivolge direttamente a: Vittorio Sgarbi, Claudio Magris, Giorgio Rossi, assessore alla cultura Veit Heinichen, intellettuale politicamente corretto e giallista, Alessandro De Vecchi, promotore della petizione anti statua, Borut Klabjan, studioso triestino, Roberto Di Piazza, sindaco di Trieste, Kolinda Grabar Kitarovic Presidente croata Vodka Obersnel sindaco di Fiume, capi del PD locale di Trieste
A queste persone va il mio ringraziamento per essersi interessati e aver preso parte a una polemica dibattito rinnovando così il mito e la figura del Vate.