la pittura “psicologica” di Marianne

Ci mancava proprio l’invito, gradito e inaspettato, della Canopy Gallery a Bloomsbury. Sono atteso per un breakfast-incontro con Marianne Thoermer, l’autrice. Non posso mancare e sono già in ritardo. Vado a vedere che aria tira. Nell’occasione tiro fuori dall’armadio la cravatta superstite.
Nessun appunto all’opera onesta e genuina di Marianne, che illustra alle signore presenti la genesi delle sue tele. I coltelli potrebbero suggerire violenza ma impugnati ed esibiti da mani forti e nodose da contadino, creano una sospensione, inducono a riflettere, quasi estraneee alla loro funzione, le lame non suggeriscono pericolo, anzi, fermezza e sicurezza.

Marianne qui predilige la dimensione domestica, fatta di piatti, bicchieri e stoviglie, oggetti amici e quieti, compagni di mensa e di riposo post prandiale. “La pittura è sempre stata la mia prima lingua, poiché ho ricevuto una formazione classica e attraverso di essa sono stata introdotta all’arte fin dalla tenera età.” Dice. “Per me è il modo più intuitivo e naturale di navigare nel mondo. Lavorare con altri mezzi nel corso degli anni mi ha permesso di sviluppare un senso più ampio di materialità e un approccio più materico e sensoriale, che ora ho riportato in pittura.” Aggiunge Marianne. All’inizio, sentivo che ai miei dipinti mancava la presenza necessaria per commuovere veramente, quindi ho esplorato modi di lavorare più tattili. Con la conoscenza che ho ereditato da altri media, le opere hanno acquisito sostanza, urgenza e una presenza in grado di coinvolgere emotivamente lo spettatore. Riscoprire questa urgenza è stato sia un ritorno alle mie radici sia un modo per andare avanti con una pratica più profonda.

Non ho una tecnica pittorica predefinita che si adatti a tutte le immagini: varia davvero da lavoro a lavoro. Alcuni dipinti vengono costruiti lentamente nel tempo, strato dopo strato, consentendo all’immagine di trovare gradualmente il suo posto attraverso questo processo costante. Altri, come la serie Dirty Dishes, iniziano diversamente: applico un primo strato di vernice, lo lascio asciugare e poi lo carteggio nuovamente per creare una prima texture, quasi come se stabilissi il nucleo della memoria del dipinto. Una volta rivelata la superficie, applico strati di vernice più spessi e poi li pulisco rapidamente utilizzando panni, polpastrelli o cotton fioc. Diventa un processo che spinge l’immagine in avanti e poi la cesella nuovamente indietro.  

The Periphery, Il titolo della mostra a Canopy Collections, riflette il mio interesse per i confini: spaziali, sociali e psicologici. Questi dipinti sono il frutto maturato durante il mio congedo di maternità, un periodo di quiete e di attenta osservazione, quando la mia attenzione si è rivolta a ciò che mi circondava: i gesti trascurati, le tranquille scene domestiche e i piccoli dettagli che spesso passano inosservati. Attraverso Periphery, esploro cosa significa abitare o osservare dall’esterno, dove dentro e fuori, luce e ombra, presenza e assenza diventano fluidi. È una prospettiva che incoraggia un modo di guardare più lento e attento e rivela la profondità e la complessità dell’ordinario. Il dipinto  “The Arrangement”, ad esempio, si basa su una fotografia d’archivio scattata nell’asilo nido della prigione di Askham Grange, nello Yorkshire. 

Una immagine di un libro che mi ha colpito. Si vedono le figure che apparecchiano tranquillamente i tavoli, ma le ombre sulle pareti danno il senso di qualcosa di più profondo, una sorta di tensione psicologica emerge. Poi ho scoperto che era stata scattata ad Askham Grange, prigione femminile aperta con un asilo nido. La foto mostra il personale che prepara i tavoli per i bambini, e il posto in realtà gode di una delle migliori valutazioni: non è affatto triste. È così apprezzato il luogo che anche il personale ci manda i propri figli. Una figura nella fotografia proietta un’ombra su un’altra e, in un certo senso, mi ha ricordato come un neonato proietta un’ombra su di te. Quando servi qualcuno nella tua professione, stai anche servendo tuo figlio in un modo diverso.
Ho scelto questa immagine quando ero all’inizio della mia esperienza di maternità. Non che la maternità sia come la prigionia, ma ci sono dei parallelismi: un senso di restrizione, di negoziazione del proprio posto in un nuovo ruolo.” 

Nel dipinto, che attira subito l’attenzione,  si cela l’origine di una vaga inquietudine. Una insidia incognita sembrano suggerire le ombre, come a turbare la quieta attività domestica delle inservienti. Vediamo e “sentiamo” così i rumori discreti di chi apparecchia le tavolate, ma l’ombra ci mette all’erta.
Strana pittura quella di Marianne, frutto di ispirazione psicologica, e che non si limita alla sfera visiva, ma che coinvolge altri sensi, come l’udito, nel percepire il crepitio della foresta che brucia e il tintinnio delle posate nell’acquaio.
Ovvero una fisicità pittorica che suggerisce suoni. Pentole, bicchieri e stoviglie non rimangono oggetti muti ma soggetti plastici e sonori, mentre silenzio e compostezza accompagnano la visione in primo piano dei coltelli, affidati a mani sicure, come per smorzare la loro pericolosità. C’è più psicologia di quanto non sembri nei dipinti di Marianne. 

Marianne Thoermer è laureata alla Royal Academy of Arts, Londra, nel 2018. Il suo lavoro è ospitato in collezioni pubbliche e private internazionali, tra cui la Collezione Goetz, Monaco di Baviera; Collezione Haus N, Kiel e Atene. Ha esposto alla Royal Academy of Arts, Londra; Galleria Frestonian, Londra; TJ Boulting, Londra; Museo Rijswijk, Paesi Bassi.

Perfetta la conduzione dell’incontro in galleria, e nessuno si è abbuffato al buffet. Presente all’incontro Barney Cokeliss, scrittore/regista pluripremiato, il cui lavoro è stato selezionato da festival tra cui Sundance, TIFF e Venezia.

Canopy Gallery 3 Bloomsbury Place, WC1A 2QA Londra

Il bestiario magico di Nichola Theakstone

Ma sí, anche a Londinium, mirabolante paesone cresciuto a dismisura c’è del buono e del bello, basta frugare.
Non troppo lontano nel tempo da non essere ricordate, c’erano le creature cosí come le aveva fatte la mano di Dio. L’eden in terra, l’intonso creato pieno di meraviglie, erbe e animali. Ciò non e piú, mortificato e seviziato dall’uomo stolto. A saperle cercare, tracce cospicue di quel mondo esistono ancora e parlano. Sono gli animali e le loro essenze che ci indicano, severi, la loro precaria esistenza. Il loro monito silenzioso è potente, basta gironzolare nei pressi di Piccadilly street per verificarlo.

Arrivano dalla banchisa polare, dall’India, dalla steppa e dalla foresta. Sono gorilla, leoni, lepri, orsi polari e vacche sacre, e cani e cavalli ancestrali che evocano miti irricordabili e dimensioni di vita scomparse da migliaia di anni. Questa fauna eterogenea la trovi riunita in schiera silenziosa a poca distanza da Piccadilly street, dentro i recinti di Sladmore, galleria che ospita mostre dedicate ai nostri amici in via di drammatica e rapida estinzione. Dopo essere passato più volte davanti alle sue vetrine sono finalmente entrato nel bestiario. Sculture in bronzo che catturano a prima vista, evocazioni di mondi e vite minacciati dall’ignavia e dalla stupidità dei contemporanei.

Lí rivivono e fanno meditare. Nichola Theakstone, scultrice di straordinario talento, ha saputo catturare perfettamente, oltre allo spirito che anima tutti gli esemplari, le loro più riposte e intime essenze, lasciando parlare le espressioni talora assorte, intente o contemplative, nelle varie pose dei soggetti. C’è qualcosa di indefinibile e attraente in quelle creazioni, nelle espressioni dell’orso, del felino, e del gorilla di montagna. Quasi un richiamo. Una sorta di straniamento emana dalle loro espressioni. Essi ci rimandano a un mondo antico, che un tempo era anche il nostro. La scultura di Nichola Theakstone senza strepiti e proclami è anche denuncia di un mondo in rapido dissolvimento. Essa ci riporta alla radice di dimensioni ataviche seviziate dalla modernitá.

Quando eravamo cacciatori, e ci difendevamno dalla leonessa e dal giaguaro, quando eravamo cavalieri, in sella a mitiche cavalcature. Le opere della scultrice ci restituiscono brandelli di quel mondo che ci apparteneva e dal quale ci siamo stoltamente allontanati. Il misterioso felino guarda proprio te, mentre il caos impazza davanti all’hotel Ritz, a pochi metri di lí.

www.craftinfocus.com/nichola-theakston-sculptor: “Nichola afferma: “Gli esseri umani hanno una ricca storia di coinvolgimento artistico con il mondo animale per una varietà di scopi. Per me è la straordinaria bellezza del mondo naturale e la mia risposta fisica ad esso; un tentativo di comprendere e ritrarre creature così diverse eppure simili sotto molti aspetti. Mi sembra un’attività molto pertinente, con l’elenco degli animali in pericolo critico in continua crescita. Oltre all’ovvio apprezzamento della forma, spero che l’opera susciti una risposta personale e varia, da questioni di fragilità dell’esistenza a idee meno tangibili e più effimere. L’idea che una singola creatura possa sperimentare una dimensione spirituale al di là dei suoi comportamenti animali istintivi è la premessa alla base di gran parte del mio lavoro. Sebbene i primati siano un tema ovvio e avvincente data la loro vicinanza genetica al genere umano, è importante per me che tutti i soggetti siano scolpiti con sensibilità ed empatia, rispecchiando elementi della nostra coscienza condivisa e invitando l’osservatore a relazionarsi e riflettere.” 

Sladmore Gallery è una galleria d’arte londinese situata al 57 di Jermyn Street dal 2007. La sua specialità sono gli scultori animalier (la sede di Bruton Place è specializzata in scultori contemporanei e quella di Jermyn Street in scultori del XIX e inizio XX secolo).

E facciamoci una birra!

Un articolo anticipazione di Lorenzo Ferrara, detto per inciso ancora introvabile, che verra’ pubblicato sul suo secondo libro, dedicato ad ALBIONE LA PERFIDA. Pubblicato da Barbadillo.it recita: “La deriva nuchilista della Gran Bretagna senza fede: le chiese sconsacrate diventano birrerie. “Più di un terzo della nostra popolazione si identifica come atea. Sono i britannici bianchi che mostrano il calo di fede più marcato, passando dal 69% a meno del 50%”

“Più di un terzo della nostra popolazione si identifica come atea. Sono i britannici bianchi che mostrano il calo di fede più marcato, passando dal 69% a meno del 50%”
A occuparsi dell’inutilità della religione ci pensa un ex campione di tennis da tavolo, commentatore per BBC e Eurosport e autore di sei libri.

“La Gran Bretagna sta perdendo la sua religione. Cosa riempirà il vuoto?” Si chiede Matthew Philip Syed su The Sunday Times del 14-12-2022. “Più di un terzo della nostra popolazione si identifica come atea. Sono i britannici bianchi che mostrano il calo di fede più marcato, passando dal 69% a meno del 50%” scrive. “L’allontanamento dagli dei può essere inevitabile, ma rischiamo di perdere una potente fonte di conforto” continua. Ovvero rileva la funzione utilitaristica del Cristianesimo. Sovrasta l’articolo la riproduzione di una Adorazione dei pastori di Guido Reni, con una voluta lacuna: Gesù bambino sulla paglia è stato sostituito da una macchia bianca. L’autore, figlio di un immigrato pakistano convertitosi dall’Islam sciita al Cristianesimo, è stato campione di ping pong britannico per molti anni. Il suo articolo sulla fede britannica “svanita” occupa quattro colonne e narra anche della sua esperienza personale e di come man mano è riuscito a fare a meno di Dio. “Il Cristianesimo ha permeato la mia vita. Mio nonno materno si convertì durante le ultime fasi del Grande Risveglio in Galles. Parlava spesso del giorno in cui accettò l’invito di un predicatore carismatico a “dare la vita a Cristo”. Lui e tre dei suoi fratelli sarebbero diventati predicatori.”  Poi aggiunge: “La questione più grande e storica sulla religione è se la fede sia una cosa buona. Essa è una forza del bene o del male, del conflitto o della pace, della manipolazione o dell’armonia? E la mia sensazione crescente è che la religione sia tanto buona che cattiva, sia pacifica che violenta, contributo all’armonia e alla divisione. Il mio sottrarmi dalla religione non è stato immediato ma riluttante, l’ho fatto non perché rifiutassi il fascino della sua storia, ma perché non credevo più nella sua veridicità; in molti modi, sono contento che non abbiamo più bisogno di Dio.” se lo dice lui. Poi cita le spallate di Nietzsche al Cristianesimo, senza comprendere che la supposta morte del Creatore ha diversi autori ed è iniziata circa cinque secoli prima, col dipinto del cadavere di Cristo di Hans Holbein il giovane. Il campione di ping pong conclude così: “Sorridendo, mio nonno diceva: “…verrai in un luogo dove non ci sarà più morte, né lutto né pianto, né dolore” citando il passaggio dal Libro dell’Apocalisse. Guardando attraverso l’Occidente, rimane una domanda intrigante: cosa sostituirà Dio?”
Si ignora se Sye conosca il Libretto della vita perfetta di Anonimo Francofortese in cui per essere creatura di Dio occorre prima “patirlo”, poi fortemente volerlo, senza domandarsi se ci sarà un conforto finale. Le risposte giuste alla domanda del giornalista le fornisce Tripadvisor, a proposito della chiesa sconsacrata di San Mark a Mayfair, (fermata del tube Bond street, per chi volesse inorridire, ingozzandosi.) Al Market St. Mark’s Church pare si tengano anche corsi di yoga. 

I commenti su cibo e luogo

Vicknico novembre 2022: “Ambiente fantastico dove fermarsi per pranzo/cena o anche solo uno spuntino. La chiesa sconsacrata è originale e bellissima, l’offerta culinaria variegata ed i prezzi davvero ragionevoli, considerando che ci troviamo in una delle zone più esclusive di Londra. Nota di merito per i ragazzi toscani con il “banco” di pasta fresca vicino all’altare…una delle carbonare più buone che abbia mai mangiato. Andate a trovarli!”

Luca Mencarelli ottobre 2022: “A Londra una Birra in “Chiesa”, un’esperienza incredibile da fare, all’interno di una Chiesa sconsacrata troverete più ristoranti che offrono prelibatezze di vari paesi e se proprio siete indecisi o non avete fame potete bervi una Birra che potrete acquistare in fondo alla “Chiesa” dove siamo abituati a sentire recitare il sermone domenicale. Da provare. Anche il quartiere per arrivarci è molto carino e pieno di negozi”

Luca T Pisa, ottobre 2022: “Sviluppato su due piani offre Street food in una chiesa sconsacrata, molta varietà e qualità buona sia per un pasto low cost che per una cena più raffinata. Abbiamo optato al piano superiore per cruditè e branzino alla griglia, buono e prezzi nella media del quartiere e come altri Street food.”

Pretty Vale, a setttembre 2022, da Imola: “Bellissimo. Assolutamente da vedere e se avete fame per fermarvi a mangiare. Noi abbiamo optato per la pizza napoletana e devo dire che era davvero quella originale Il posto è qualcosa di unico nel suo genere. Ci sono tanti “stand” all’interno per mangiare: dal dolce al salato, dall’insalata alla pizza, dalla pasta alla carne…”

Penso che basti. Ma proprio nessuno si accorge che c’è qualcosa di profondamente triste e “stonato” oltreché avvilente nei commenti su come mangi bene in quel luogo?
Ti rivolgo una domanda: tu andresti a riempirti le budella in un luogo in cui un tempo saziavi l’anima? Pizza e branzino al posto di Dio e nemmeno un Amen.”

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ti ricordi di Matt?-seconda parte-

«Volevo solo mostrare chi sono come persona -ha detto Hancock-e pare che ci sia riuscito-…ha infatti trovato schiere di fan tra i giovanissimi, che seguivano le sue gesta rilanciate via Instagram e TikTok. Lucrerà sulla sua nuova fama grazie a libri e tv, dimostrando che la politica è come un reality show.” E viceversa. Ovvero l’osceno cosmico espresso all’ennesima potenza.
Tom Ambrose su The Guardian 27-01-2023: Matt Hancock dona solo il 3% di I’m a Celebrity fee. L’ex ministro ha ricevuto £320.000 per il suo periodo nel reality show, di cui £10.000 finora sono andati in beneficenza. Ha anche ricevuto £ 48.000 per il suo libro Pandemic Diaries. Un portavoce di Hancock ha dichiarato a BBC News: “Oltre ad aumentare il profilo della sua campagna sulla dislessia di fronte a 11 milioni di telespettatori, Matt ha donato 10.000 sterline all’ospizio di St Nicholas nel Suffolk e alla British Dyslexia Association”. The Guardian 14-12-2022 Matt Hancock’s Pandemic Diaries, riassunto da John Crace: “Tutti chiamano per dire quanto sono meraviglioso. Rispondo che lo so. Ora siamo in isolamento. Non c’è nessuno in giro per strada tranne me. Non che io voglia alcun riconoscimento. Sia io che Boris abbiamo il virus, anche se il capo è molto più malato di me. Mi guardo allo specchio e indosso la mia cravatta rosa fortunata per la conferenza quotidiana a Downing Street.

Ad un certo punto sembra che io abbia infranto le regole sbaciucchiando Gina. Mi sono innamorato. Profondamente. “Mi completi” le dico. “Sei la mia roccia, ragazzone”, dice lei. Il mio cuore salta. Mangerei il pene di un cammello per lei. Siamo d’accordo che devo dimettermi. Ma vado a testa alta. Avendo fatto la scelta giusta. Se ho un punto debole? è il mio pudore.”
La strepitosa notizia è del 3-03-2023. Su tutti i media si legge: “Un caso eccezionale coinvolge l’ex ministro della Salute, Matt Hancock. Isabel Oakeshott, la giornalista che ha scritto la sua biografia, ha consegnato 100mila Whatsapp del ministro al Telegraph: così negli UK stanno leggendo le conversazioni private dell’intero governo, incluso Boris Johnson, durante l’emergenza Covid e i lockdown.” Le rivelazioni sono un terremoto. Hancock sta pensando di tornare in politica. Ma non adesso, visto che infieriscono i Labours.

E nemmeno dopo, visto che i Tories hanno perso la bussola, su una zattera nel mare in tempesta. governata da tale Badenoch. Come si evince dalle pagine di Spectator.

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Ti ricordi di Matt?-prima parte-

Quello del frullato di vermi sull’isola dei famosi. Il giuggiolone incastrato da una telecamera mentre indugiava in dolci effusioni con la sua fidanzata. Ex ministro della sanità inglese durante Covid- Matt Hancock, proprio lui, protagonista di un reality, per dimostrare al mondo di che tempra fosse fatto. Regno Unito, l’incredibile caduta di Matt Hancock: da ministro-star a mangiatore di genitali di canguro

L’Osceno Cosmico possiede diverse declinazioni. Esse definiscono una fenomenologia diffusa, che gode del favore crescente del pubblico, il quale ama sensazioni forti, procurate da prodi alla gogna volontaria. Bisce, ragni, insetti, rane e lombrichi bricconi se la godono sulla testa di eroi malcapitati. Il tutto all’insegna della schifezza per il sollazzo di milioni di palati facili. A chi tocca? A un personaggio singolare e pervicace.
La storia dall’inizio: Reuters 24-03-2020: “Lockdown measures set out by the British government are rules, not advice, and will be enforced, health minister Matt Hancock said.” Reporting by Alistair Smout, Writing by Kylie MacLellan. Reuters 20-12-2020, Elizabeth Piper: “Il governo è stato criticato per aver imposto un blocco effettivo a più di 16 milioni di persone pochi giorni prima delle feste, ma Matt Hancock ha affermato che era indispensabile.”

L’idea di lockdown totale spaventava per paura di danneggiare il business. In un ex parcheggio di Ruislip si scavano 1600 fosse per i nuovi defunti, vietato partecipare a funerali. Bojo diceva: “Dovremo aspettarci nuove ondate di decessi, ma teniamo duro, rispettiamo le regole,” anche la buonanima della regina era intervenuta: “Stateve bb’uon, o prima o poi passerà.” Da High street Kensington a Piccadilly a Regent street il deserto.
Luigi Ippolito, Corriere della Sera 28-11-2022:
“L’ex ministro della salute Matt Hancock, molto impopolare per aver violato il lockdown da lui stesso imposto, è la nuova star dell’«Isola dei famosi» britannica, «I’m a Celebrity» dice trionfante. L’ex ministro della Salute, dalla polvere della gestione del Covid agli altari de «L’Isola dei famosi» (che a Londra si chiama «Sono una celebrità, tiratemi fuori di qua.»)

Ma la vera tegola era stata uno scandalo pruriginoso: telecamere a circuito chiuso lo sorprendono ricevere l’amante nel suo ufficio, in violazione delle regole sul lockdown (iconico il fermo immagine di lui che strizza, voglioso, il deretano della signora). Ma lui ha trovato una strada per riabilitarsi: un reality televisivo. L’associazione dei parenti delle vittime del Covid aveva protestato anche perché Hancock andava a intascare 400 mila sterline. Sul set in Australia ha trangugiato (previa bollitura e si ignora se conditi) un pene di cammello, un ano di vacca e una vagina di pecora, ha immerso la testa in una vasca con anguille e ragni d’acqua, ha bevuto frullati di vermi. Questo significa essere uomini veri.

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Labour in crisi ?

Fra gli interessi di Lorenzo Ferrara anche la politica, considerata in modo irriverente e ironico. Nel prossimo volume su Albione la Perfida ecco un articolo sull’attuale crisi Labour.

Londra – La diamo per certa: niente più stampelle e carrozzine per gli invalidi inglesi e da oggi se inneggi alla Palestina, se indossi una t shirt pro Pal o se sventoli la loro bandiera ti becchi 5.000 sterline di ammenda o finisci in galera. Insomma il popolo bannato dalla storia non è quello palestinese ma quello di Israele. Così vanno le cose. C’è qualche ex del partito Labour, che se la ride sotto i baffi, pur sapendo che non gli gioverà la paventata debacle dei rosa rossi inglesi? Si, il pro palestinese Jeremy Corbyn, che venne cacciato proprio perché pro Pal e che oggi chiede una inchiesta sul coinvolgimento politico militare degli UK a Gaza.
Maliziosi come le suocere, azzardiamo: se Starmer avesse sposato una, diciamo a caso, una palestinese, e non una donna di un’altra religione, saremmo a questo punto? Quale punto?  Che il governo britannico è allineato al 100 % con la cooperativa di asfaltatori, muratori, idraulici angloamericani che devono costruire la riviera del nuovo Tigullio a Gaza per il sollazzo dei paperoni americani stanchi di Miami. Cosa peraltro già vaticinata da Jared Kushner, marito della figlia di Trump, fervente neo ebrea. Abbandoniamo la fanta storia venendo al sodo.

Laburisti alle pezze

I Labour sono in crisi? Lasciamolo dire a chi di politica se ne intende, tastando il polso della situazione attraverso i commenti dei media britannici: The Guardian, editoriale del 4 luglio 2025: “La crisi rivela il costo della cautela. Sir Keir Starmer ha promesso competenza. Ma una settimana brutale ha rivelato che non ce l’ha fatta, e la sua incapacità di guidare con una “visione” potrebbe essere la sua rovina.

Sir Keir Starmer sembra aver paura di avere una visione politica. Dopo un anno al potere, il primo ministro non si comporta come un uomo scelto dalla storia. Eppure Sir Keir tratta il pragmatismo come un principio e si circonda di consiglieri che riciclano le abitudini dell’era del New Labour: tecnocrazia, deferenza del mercato e disciplina fiscale.

Successi internazionali, caos interno

Il cambiamento avviene comunque; l’unica scelta è come affrontarlo. Ritirarsi nella relativa sicurezza della scena globale non può sostituire la leadership. Sir Keir fa bella figura all’estero. A casa inciampa. Quando una ribellione ha sventrato i tagli alle indennità di invalidità del suo stesso governo, ha attribuito la sua incapacità di affrontare la questione al fatto di essere “fortemente concentrato” sugli affari esteri. Cercando prestigio all’estero, trova l’ammutinamento in patria. Il primo ministro sembra un politico adatto a gestire il declino, piuttosto che a superarlo. In una nazione lacerata dalla rabbia, dalla disuguaglianza e dal torpore economico, il primo ministro offre normalità e pazienza. Ma una Gran Bretagna strutturalmente ed emotivamente distrutta richiede un gradualismo più che moderato. Sir Keir non è l’uomo che molti immaginavano quando si candidò alla carica di leader laburista”.

Skynews, Beth Rigby, 4 luglio 2025: “Starmer ha vinto il potere con la più ampia maggioranza, ma celebra il suo primo anniversario con l’umiliazione di dover abbandonare le sue riforme di punta del welfare, chiaro colpo alla sua autorità”.

The Economist, 3 luglio 2025: “La tragedia dei Labour. Sir Keir Starmer sta rapidamente perdendo la sua autorità” recita il titolo. “Il primo compleanno del governo laburista, il 4 luglio, sarà un evento miserabile e senza torte. Le promesse di ridurre le liste d’attesa negli ospedali, costruire più case e fermare le barche dei migranti sono fallite”.
Sky news, 11 luglio 2025. Ultime notizie politiche: “il sindacato Unite Union vota per sospendere Angela Rayner e potrebbe rescindere i legami con i laburisti. Il vice primo ministro è stato condannato da Unite per una risposta “vergognosa” allo sciopero dei netturbini di Birmingham”.
infos.it , 30 giugno: “A Birmingham, i lavoratori dei cassonetti sono in sciopero, lasciando cumuli di spazzatura per le strade. I lavoratori, rappresentati dal sindacato Unite, stanno protestando contro cambiamenti nei loro contratti e nelle condizioni di lavoro. Lo sciopero, iniziato l’11 marzo, ha portato ad un accumulo significativo di rifiuti, con conseguenti disagi per i residenti e preoccupazioni per la salute pubblica”.
The New Statement, Steve Richards, 10 luglio 2025 titola: “Keir Starmer non imparerà da questa crisi. Questa amministrazione è caduta nello stesso ciclo di fallimenti che affligge tanti governi laburisti”. Nel testo:
“Starmer e Rachel Reeves potrebbero non avere altra scelta se non quella di imparare le lezioni del recente passato, anche se coloro che si occupano di loro restano convinti che il problema siano i parlamentari laburisti. Dovranno aumentare le tasse quest’autunno e presentare le ragioni per farlo. Rischiano di incorrere in ulteriori guai se cercassero tasse nascoste che scatenerebbero proteste isteriche”.

Le opposizioni

Abbiamo provato a bussare in casa Tories, “Sono in vacanza”, ha detto Boris Johnson in veste di usciere, scocciato per il disturbo. Mentre la leader Tory in una vignetta su The Spectator, appare in difficolta’ su una zattera nel mare tempestoso. E Farage? Pesca il salmone in Scozia e fa lunghe passeggiate. Sta riflettendo prima dell’arrembaggio.

L’articolo e’ gia apparso su Barbadillo.

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Dovremmo chiedere scusa -seconda parte-

Found responsible for killing of from 380-1000 unarmed Indian Sikh adults and children during the Jallianwalla Bagh Massacre, April 13, 1919 in Amristar, India.

Il giorno successivo al massacro Dyer emanò un comunicato ufficiale; ecco uno stralcio che permette di capire la mentalità di un soldato di professione: “…Per me fra il campo di battaglia di Francia o di Amritsar non c’è differenza, è lo stesso. Sono un militare e andrò dritto…”  L’atto di Dyer venne considerato disumano e sleale per il non avvenuto preavviso. Durante il processo l’uomo non mostrò pentimento. Alle domande: “Generale, è vero che ha ordinato di sparare dove la folla era più fitta? Lei era consapevole che fossero presenti donne e bambini?” Dyer risponde “sì” entrambe le volte, aggiungendo che intendeva dare una lezione all’India intera. C’è chi lo ritrasse come un eroe. Giudicato colpevole all’unanimità gli fu vietato di ricoprire da quel giorno qualsiasi incarico ufficiale. L’evento divise l’opinione pubblica britannica. Secondo http://www.drishtikone.com, 29-01-2019: “(…) Two armored cars with machine guns and hundreds of troops with machine guns – 50 of whom were armed with 303 Lee–Enfield bolt-action rifles.
The entrances, including the main one, were blocked.  The main entrance were blocked by troops and the armored cars behind them.

Poi per i successivi 10 minuti il caos più orribile della storia umana, in cui le truppe hanno deliberatamente sparato contro le aree dove più densa appariva la folla, si voleva il massimo danno. Alcune stime dicono che quel giorno morirono oltre 1.500 o addirittura 2.000 persone, incluso un bambino di sei settimane! (…) Mentre molti, si dice, hanno criticato Dyer per i suoi atti demoniaci, altri lo hanno elogiato definendolo eroe. La camera dei Lords, così lo considerava: un eroe. L’8 luglio 1920, il quotidiano locale Morning Post aprì un fondo a beneficio di Dyer. Ad esso hanno contribuito molte persone dell’esercito da Calcutta a Colombo al duca di Westminster. Diversi i giornali che hanno contribuito al fondo pro Dyer. Fra i sostenitori più accesi di Dyer lo scrittore del famoso Il libro della giungla. Rudyard Kipling giunse a definire il generale Dyer “l’uomo che ha salvato l’India”!Mentre Winston Churchill, dichiarò il massacro “un episodio senza precedenti o paralleli nella storia moderna dell’impero britannico…evento straordinario, mostruoso…la folla non era né armata né attaccante”. Ancora Clementina Udine su Lo Spiegone: “Ogni anno, le celebrazioni in memoria delle vittime di Amritsar riportano alla luce frizioni tra i due Paesi, che nonostante si cerchi di nascondere o attutire ricordano inevitabilmente come questo evento abbia lasciato una cicatrice indelebile nelle relazioni anglo-indiane. È vero dunque che il massacro di Amritsar ha portato all’ottenimento dell’indipendenza indiana in tempi più rapidi, ma il prezzo che il Paese ha dovuto pagare è stato alto e rimarrà sempre uno degli episodi più sanguinosi della storia recente indiana, ricordato ogni anno con orrore e dolore.” Un’altra pagina nera nel puzzle coloniale britannico, dunque, e un altro macellaio doc oltre al baronetto Sir Arthur Travers Harris, detto the bomber o the butcher. Del resto anche l’italica stirpe vanta personaggi di simile o superiore caratura: Il macellaio italiano del Fezzan inserito nella lista dei criminali di guerra, stilata dall’Onu per l’uso di gas tossici e bombardamenti degli ospedali della Croce Rossa, ad esempio.

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Dovremmo chiedere scusa, o forse no? -prima parte-

I fori delle pallottole sul muro ci sono ancora. 1165 proiettili sparati ad altezza d’uomo. Dieci minuti di fuoco continuo fino ad esaurimento colpi. Quattrocento i morti ufficiali, fra cui numerose donne, vecchi e bambini, milleduecento i feriti; è convinzione diffusa che gli uccisi fossero centinaia di più. “Dovremmo chiedere scusa.” Un poco avvilente che uno solo, lo dica, anche se si tratta del sindaco di Londra, Khan, pachistano di origine, che, armato di buona volontà, si reca sul luogo dell’eccidio dicendo “Sorry.”  Quel giorno di aprile del 1919 la volontà era obbedienza cieca all’ordine e alla volontà di massacrare per far rispettare la legge marziale. Sky News, 6-12-2017: “London Mayor Sadiq Khan urges British Government to apologise for the 1919 Amritsar massacre. Sadiq Khan says it is time the UK apologised as the centenary for the shooting by British troops on unarmed protesters nears.” Ma UK non fa nessun apologise. Era il 13 aprile 1919 quando avvenne il misfatto. “David Cameron è stato il primo primo ministro britannico a visitare un memoriale per il massacro di Amritsar nel Punjab, nel febbraio 2013. Ha descritto il delitto come “profondamente vergognoso”, ma si è fermato prima di chiedere scusa. Theresa May ha definito una “cicatrice vergognosa nella storia delle relazioni anglo-indiane”, nulla più. 
Il 05-08-2019 Clementina Udine su Lo Spiegone: “A cento anni dal tragico evento l’India è ancora in attesa di scuse formali da parte dell’Inghilterra. Come fatto notare da molti in occasione dell’enorme fiaccolata che ha ricordato il 13 aprile di quest’anno le vittime della strage, il centesimo anniversario avrebbe potuto rappresentare il momento ideale per presentare le dovute scuse. Ma la premier inglese Theresa May ha solamente espresso dispiacere per l’accaduto, definendo l’evento un “esempio doloroso del passato inglese in India”.
il massacro di Amritsar: chi, cosa, come e perché. Era   Il 13 aprile 1919 quando il generale di brigata pro tempore dell’esercito inglese Reginald Dyer, in attesa della smobilitazione e veterano della prima guerra mondiale, ordinò ai suoi 90 uomini, parte inglesi parte gurka, di far fuoco su civili inermi. La folla si era riunita nel piccolo parco di Jallianwala Bagh per celebrare l’inizio della primavera; contemporaneo un comizio di protesta pacifica contro l’arresto immotivato di due leader nazionalisti. Una provocazione secondo i Brits, in quanto violava la legge marziale instaurata un mese prima; la legge vietava qualsiasi assembramento con più di quattro persone. A marzo era stato varato il Rowlatt Act, che consentiva di incarcerare in modo arbitrario i dissidenti, senza bisogno di processo. Il Partito del Congresso aveva organizzato numerose manifestazioni pacifiche di dissenso. Comunque scontri violenti ci furono e ripetuti attentati contro funzionari britannici e le sedi amministrative; per questo motivo in alcune regioni entrò in vigore la legge marziale, riducendo le già scarse concessioni fatte agli indiani che avevano acceso le speranze di maggiore autonomia dalla fine della prima guerra mondiale. il generale non ritenne necessario esplodere colpi di avvertimento per disperdere la folla, ma ordinò di sparare ad altezza uomo fino a esaurimento delle munizioni. Che fossero presenti donne e bambini, al generale non interessava e nemmeno portare soccorso ai feriti alla fine dell’esecuzione. Potevano esserci molti più uccisi ma le autoblindo con le mitragliatrici non riuscirono ad entrare nell’area perché troppo larghe per le strette vie d’accesso al giardino.

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Gran Bretagna, i marmi reclamati e le restituzioni come beni in affitto -seconda parte-

L’articolo di Lorenzo Ferrara continua: “Il gioco è finito”, lo dice anche Dan Hicks, professore di archeologia contemporanea all’Università di Oxford, che riporta a sostegno delle sue tesi anche i commenti di Tristram Hunt, direttore del Victoria & Albert museum, secondo il quale occorrerebbe mettere mano in toto alle leggi che vietano ai musei di restituire le opere d’arte. Secondo Mike Pitts, archeologo: “il British Museum sostiene di non avere nulla in contrario al trasferimento di materiale verso il paese di origine delle opere e non sembra porre limiti alla durata del prestito. Quindi è ipotizzabile che una parte davvero significativa della collezione del Partenone possa finire effettivamente in esposizione permanente ad Atene… Ma come prestito, non in veste di manufatto che ha mutato proprietà…” Hai capito la furbata? Artribune: “Nel 2014, Mark Walker, un consulente medico britannico pensionato, ha restituito due sculture rubate da suo nonno durante l’assedio del 1897 nel Benin. Poi è stato il turno dell’Università di Aberdeen, in Scozia, che aveva acquistato una testa di Oba, il sovrano del Benin, e del Jesus College dell’Università di Cambridge, che aveva ricevuto un gallo di bronzo in dono dal padre di uno studente nel lontano 1905. Anche la Germania, una delle principali destinazioni delle opere, ha chiesto ai musei un elenco dettagliato per restituire tutti i bronzi arrivati attraverso il commercio d’arte. Lode alla sensibilità etica di persone e istituzioni. Quasi il 60% dei Britannici ora pensa che i marmi del Partenone debbano ritornare alla Grecia, mentre il 18% pensa il contrario. Fra questi ultimi c’è qualcuno che avanza ipotesi alternative, ad esempio: perché non sostenere il principio di reciprocità? Proponendo un prestito incrociato: affidare opere in esposizione di Blake, Turner, Constable, Leighton, Millais ai musei del Gabon, del Benin, della Grecia o del Cairo. Non sarebbe più intelligente pensare a nuove forme di interazione culturale con ricadute economiche per il paese d’origine al quale appartengono? Le opere trafugate esposte nei musei londinesi sono fonte di attrazione e ricchezza per i Brits, perché non coinvolgere con compensi economici adeguati i paesi interessati? Non si scandalizzino i direttori dei musei del Sudan o della Nigeria, che a gran voce esclamano: “a ridatece a robba! è ‘nostra!!” A Londra arrivano a vagonate gli estimatori dei loro reperti. Sarebbe a dire: Hai visto quali meraviglie puoi trovare in Grecia, Messico, India, Cina, Benin, Italia, a Londra in vetrina, al British museum c’è solo un assaggio.

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Gran Bretagna, i marmi reclamati e le restituzioni come beni in affitto -prima parte-

E’ uno dei primi articoli di Lorenzo Ferrara, ma e’ ancora attuale perche’ la querelle dei reclami di opere d’arte esposte nei musei del Regno Unito continua e chissa’ mai se finira’. Ecco cosa scriveva poco tempo fa:

L’irriconoscibile Boris vantava sicurezza già da giovane. A colloquio con il ministro della cultura greco Melina Mercouri sosteneva con vigore che i marmi esposti al British museum andavano restituiti al legittimo proprietario. Helena Smith su The Guardian 18 dicembre 2021:  “(…) Lo si rileva da un articolo del 1986 rinvenuto in una biblioteca di Oxford in cui l’allora studente di lettere classiche sosteneva appassionatamente il loro ritorno ad Atene. Usando un linguaggio che renderebbe orgogliosi gli attivisti pro restituzione, Johnson non solo credeva che le antichità del V secolo a.C. dovessero essere restituite a chi appartengono”, ma deplorava il modo in cui erano state “segate e tagliate” dall’edificio magistrale che un tempo adornavano.

“I marmi di Elgin dovrebbero abbandonare questa northern whisky-drinking guilt-culture, ed essere esposti in un paese di sole splendente, nel paesaggio di Achille, tra “le montagne ombrose e il mare echeggiante”, scriveva BoJo nell’articolo, ripubblicato dal quotidiano greco Ta Ne”.

Da Il Post.it dell’8 agosto 2022: “L’Horniman Museum di Londra ha annunciato che restituirà alla Nigeria 72 manufatti preziosi che erano stati saccheggiati dalle forze britanniche nel 1897 nell’attuale Benin City, in Nigeria. All’inizio dell’anno il governo nigeriano aveva chiesto che venissero restituiti i molti oggetti dall’enorme valore culturale che negli anni erano stati sottratti al paese: la stima parla di circa 10 mila reperti, conservati in 165 musei e collezioni private in tutto il mondo.

L’Horniman Museum è la prima istituzione finanziata dal governo britannico a farlo, e la sua decisione potrebbe avere un valore simbolico importante: la maggior parte degli oggetti sottratti alla Nigeria, circa 900, si trova infatti al British Museum di Londra, uno dei musei di storia più importanti al mondo e che come l’Horniman è finanziato dal governo. Il British Museum però si è sempre rifiutato di restituire la collezione, ricevendo molte critiche da parte di diversi storici e attivisti.” La diatriba monta. Siamo ai ferri corti, si temono tumulti, si fa per dire.

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