Plastica, ti amo, plastica ti odio – di Paolo Novaresio

L’abbiamo raggiunto al telefono oggi, era appena tornato da uno dei suoi raid in Africa (per quel poco che ci ha detto alquanto tosto). Paolo Novaresio, scrittore, giornalista, storico e gran viaggiatore, ha scritto anche articoli interessanti sull’ecologia

Immagine 11Monterosso, Cinque Terre, provincia di La Spezia. Una delle spiagge più pulite d’Italia, almeno secondo il rapporto 2006 di Legambiente. Sabbia finissima, mare limpido e azzurro. Un paradiso mediterraneo: peccato per le cartacce, le bottiglie vuote e i mozziconi di sigaretta che giacciono abbandonati sulla battigia. Piramidi di Giza, Egitto: anche qui rifiuti, lattine di coca-cola e sacchetti di nylon, che s’involano leggeri nel vento caldo del deserto. Due milioni di turisti l’anno non passano invano. Campo base dell’Everest, versante cinese-tibetano, 5200 metri sul livello del mare. Oggi la più famosa discarica internazionale d’alta quota: 22 tonnellate di pattume, raccolti e portati a valle con fatica, sono il bottino di una bonifica ambientale compiuta qualche anno fa. Ottimo lavoro, ma per fare davvero pulizia sul Tetto del Mondo ci vuole altro. Cinque Terre, Giza, Everest: tre luoghi esemplari, simboli di un flagello di dimensioni bibliche. La verità è che l’intero pianeta rischia di trasformarsi in un immondezzaio. E in tempi brevi, visto che la quantità di rifiuti non bio-degradabili è in inarrestabile crescita. La plastica prima di tutto: leggera, resistente, economica e pressoché eterna, per quanto ne sappiamo. Ogni anno se ne producono cento milioni di tonnellate. Di plastica sono fatti molti componenti della nostra auto, i cellulari, i computer, i giocattoli, la maggioranza degli imballaggi per gli alimentari e infiniti altri oggetti.

Da oltre mezzo secolo questa sostanza preziosa e versatile fa parte della nostra vita quotidiana. Solo una minima parte rientra nel ciclo produttivo. E allora dove finisce tutta quella che buttiamo via? Ovunque, purtroppo: in campagna come in città, lungo i fiumi, nei boschi, sulle montagne. Un’invasione che non ci piace, ma siamo lontani dall’immaginare il vero orrore di un oceano di plastica. Eppure esiste, nel Pacifico a nord delle isole Hawaii, dove per un gioco perfido di venti e correnti marine si accumulano da Immagine 10cinquant’anni le scorie di mezzo mondo. Un luogo di morte, grande due volte e mezzo la Francia, in cui si può navigare per giorni tra detriti sintetici di ogni tipo. C’è di peggio: la durevole plastica non è attaccata da nessun tipo di batterio ma alla luce del sole si scinde in particelle infinitesimali, che come il plancton diventano cibo per le meduse. I pesci mangiano le meduse, noi mangiamo i pesci: in virtù di questa semplice equazione, la plastica è entrata nella catena alimentare dell’uomo. Interpellati, gli scienziati allargano le braccia: al danno non c’è rimedio, abbiamo creato il mostro e ce lo teniamo.

Copyright © Paolo Novaresio

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