l’amore bussava al cuore di Liza?

Non sarà un capolavoro la prima opera del giovane medico ostetrico William Somerset Maugham, ma il racconto colpisce nel segno ed emoziona. LIZA DI LAMBETH diventò famoso tra i critici e i lettori, e la prima edizione fu esaurita in poche settimane. Questo convinse Maugham, che aveva appena completato gli studi di medicina, ad abbandonare la carriera di medico e ad abbracciare quella di scrittore, che sarebbe durata 65 anni. Del suo esordio in letteratura in seguito Maugham disse: “La presi come un’anatra prende l’acqua” questo si legge su Wikipedia. Potrebbe essere la vicenda di una tragedia greca, o il tema di un’opera di Vittorio Alfieri e invece tutto si stempera e si degrada, corrompendosi negli squallidi vicoli di una Londra plebea, sordida, proletaria ed esecrabile, (gli uomini ubriachi fradici prendono regolarmente a botte le loro mogli ingravidandole che è un piacere, solo chi ha dieci figli può definirsi Britanno! si legge nell’opera.) I parenti letterari di Maugham per questo specifico soggetto sono Dickens e London col suo IL POPOLO DELL’ABISSO tanto per amore di chiarezza. Ma c’è una cosa che non si corrompe in questa vicenda, anzi, più di una. È l’amore, l’ingenuità e il fatalismo, il cedere all’invincibile forza del sentimento e dell’attrazione, costi quello che costi, anche se l’aborto e la morte sono in agguato in un vicolo e su un misero letto. E pensare che Liza era solo una bella e allegra ragazza che scorrazzava per via rallegrando tutti. “Vedevo come le persone muoiono. Vedevo come sopportavano il dolore. Vedevo come sono la speranza, la paura e il sollievo…” scrive Maugham, osservando quanto la sofferenza corrode i valori umani, quanto la malattia amareggia e inasprisce le persone. Liza, allegra, adorabile, invidiata fanciulla in una cupa e desolante periferia metropolitana rimane uguale a se stessa, sfidando, timorosa e inconsapevole (?) il suo destino, infrangendo le regole morali della comunità. Naturalismo e verismo in primis, ma non solo quello. Anche in questo caso, come nell’amore sfortunato e maledetto di Ethan Frome l’amore trionfa seppur con esiti letali.

Liza si mette contro il mondo, si vergogna, si dispera, soffre, matura, diventa donna e infine soccombe durante una zuffa da strada con la moglie dell’uomo di cui Liza si è innamorata, contraccambiata, pagando un conto spropositato. La sua grandezza risiede nell’aver ceduto all’amore proibito che bussava alla sua porta. Tragedia di ascendenza antica ma sempre attuale. La vediamo, cinta dalle possenti braccia di Jim, Liza, anche lui vittima, lo sposo fedifrago che corre dietro alle sottane di Liza per farla sua. Lei si assopisce al sicuro, fra le sue braccia, felice, dimentica, protetta anche quando la stagione sconsiglia di rimanere abbracciati su una panchina, baciando con trasporto il suo Lui. Egli la ama sinceramente, Jim, lo sposato e padre di numerosa prole, rovinandola per sempre. Sino alla morte e alla condanna morale di entrambe. In questa vicenda truce e cupa l’amore di Liza vola come un uccello inviolato, limpido, imprendibile sopra le miserie di un slum degradato. Liza muore ma resta il suo ricordo negli abitanti di Vere street che non la vedranno più correre come un monello e giocare coi ragazzi della strada e ridere a crepapelle con loro, raccattando e lanciando palle. Liza insultata, sbeffeggiata, offesa sino alla morte che avviene sul suo misero letto, a seguito di un aborto spontaneo, “vegliata” (ma è solo un eufemismo) dalla madre, etilica cronica, che curerà la figlia con qualche goccetto salutare di aquavite. Il dialogo fra una levatrice vicina di casa e la madre veste un crudele pragmatismo e procura le vertigini: “L’avete assicurata, signora Kemp? (la madre) ” domanda la levatrice…”Oh, fidatevi di me, per questo” rispose la vecchia madre. “Ho preso un’assicurazione su di lei dal giorno che è nata. Proprio l’altro giorno dicevo a me stessa che tutto quel denaro era stato sprecato, ma voi vedete che non lo era; non si sa mai la propria fortuna, vedete…Qualunque cosa voi facciate quando sono vivi-e tutti sappiamo come i figli procurino qualche volta dei guai- si deve far loro un buon funerale quando son morti. Questo è il mio motto, e ho agito sempre in conformità.” Ma alla fine dell’Ottocento darsi all’uomo che si ama, subendo l’ostracismo e la condanna della comunità non è cosa da poco.

Liza lo fa, ingenua, sprovveduta, cercando invano di evitare una moglie pugile tradita e furiosa, (a buon diritto) in mezzo alla strada, pestata e svergognata come una sgualdrinella qualunque. La grandezza di Liza sta qua, nell’assoluta mancanza di difese e di giustificazione, accettando, contraccambiando e subendo l’amore proibito, senza recriminazione alcuna, come un destino già segnato.

Gervasia diceva: “Taci bagascia se no ti ammazzo”

E voilà, l’inferno in terra è servito. Ovvero l’incubo e l’orrore, ma non quello magistralmente evocato da Poe e De Maupassant, quello era di origine psichica, questo invece è orrore casalingo, banale, se vogliamo, “normale” e irredimibile, in una grande città come Parigi, allora come ora:
” …Quando dormivo, mi veniva vicino, e voleva che mi concedessi. Era una bestia, vi dico. Mi rifiutai, lo morsi, lo graffiai, ed egli, furibondo per questa mia ostinazione mi batteva a sangue. Fu lui, (ovvero il padre) che una notte, mi rovinò la gamba con un mattarello. …La faccia di Gervasia fu la prima a schizzar sangue: tre lunghe graffiature scendevano dalla bocca sotto il mento… Virginia non dava ancora sangue. Gervasia mirava alle orecchie. Alfine riuscì a strapparle un orecchino, producendole uno squarcio all’orecchio….”
E alla fine, proprio nell’ultima pagina: “…Sollevò la donna ormai leggiera come una piuma, e la distese in fondo alla bara, con cura paterna. Quell’uomo, uso da lunghi anni a quella triste mansione , si commosse: “Dormi tranquilla, ora, povera Gervasia!… le disse: fa la nanna, bella mia. La tua giornata, non certo felice, è finita. Fa la nanna, fa la nanna bella mia…” Di che si tratta? Chi è Gervasia? Com’era un tempo Gervasia e cosa ha fatto da meritare compassione da un becchino? Gervasia è la protagonista de l’Assommoir, un romanzo verità di Emile Zola, gran romanziere francese, orientato alla denuncia sociale e a descrivere il ventre di Parigi del diciannovesimo secolo, preoccupato di quanto male producesse alzare troppo il gomito. A modo mio ti faccio il riassunto di questa tragica vicenda e se mi permetti userò per una volta dei termini crudi, volgari, senza girarci tanto in tondo. Per renderti meglio l’idea. Gervasia se fa ingravidare poco più che bambina, da uno che aveva la vocazione del profittatore e lenone, a Gervasia, lo capiremo più tardi, piace scopare, con chi gli piace, dove sta il problema? Non c’è. Il problema insorge quando il farabutto con cui ha avuto due figli la pianta in asso, dopo aver pignorato anche la canottiera, ma lei, da brava donnina ce la fa da sola. Un bravo giovane le fa la corte, e lei accetterà di sposarlo, con molta reticenza, poi si fa scopare da un amico facoltoso del delinquente che la picchiava, dal quale aveva avuto i figli, le malelingue dicono che si accoppiava con chi più le piaceva anche da giovanissima. Gervasia, che faceva per guadagnare la pagnotta la lavandaia poi la stiratrice, poco alla volta ce la fa a smarcarsi dalla miseria, arrivando a comprare un negozietto, prima si fa toccare il culo poi chiavare periodicamente dall’ex compiacente proprietario del suo negozio.

La quasi normalità durerà? No, non dura, perché il marito lattoniere cade dal tetto facendosi un gran male, il ganzo non ha più voglia di lavorare e arriverà a dire alla figlia che Gervasia ha avuto non si sa bene da chi: “Del resto potete far benissimo il paio. Madre e figlia, che bella coppia di bagasce!…Osa negare Nina, che, mentre vai a cibarti dell’ostia , guardi di sottecchi gli uomini? Osa negare piccola bagascia!…Nina guardò fissa suo padre, poi usando lo stesso suo linguaggio, a denti stretti , gli disse: -Ruffiano!- Insomma la situazione sta per peggiorare di nuovo, fino al punto che il primo delinquente lenone viene portato a casa proprio dal marito beone che le dice addirittura: “Datevi un bacio e fate la pace!” Okei, peggio di così c’è solo l’Isola dei famosi! e la tv italiana. Gervasia dopo un po’ ci ricasca e usa lo stesso letto per farsi altre scopatine, il problema è che la figlia avuta non si sa da chi, vede come fa la mamma a farsi chiavare e ne rimane alquanto scossa, che già di suo lo è, scossa, essendo una discola incorreggibile. In ogni caso, la faccenda precipita e si comincia a bere, anche Gervasia beve e il suo bel negozietto che stava facendo la sua fortuna, va in malora. Angeli ci sono in questo trucido nefasto racconto ipernaturalistico, una bimba angelo, vicina di casa di Gervasia, che morrà di stenti e percosse, perseguitata dal padre beone che aveva preso a calci in pancia sua moglie facendola crepare.

Insomma l’epilogo della storia di Gervasia dalle belle tette sode e dalla pelle chiara si riassume in una bara, muovendo a compassione il becchino che la solleverà leggera come una piuma. Insieme a una carrettata di altri racconti, insieme a Teresa Raquin che è un casalingo giallo horror nero, L’ASSOMMOIR mi fa riflettere. Prima l’abiezione, poi il riscatto, poi ancora la discesa veloce verso la fine senza più riscatto. A me personalmente mi rattrista, mi incupisce, mi fa dire che non c’è riscatto che tenga, perché solo transitorio e legato al caso, quello che deve succedere succede, alla faccia dei volenterosi tentativi di Gervasia, che pure lei, si fa trascinare nel gorgo abominevole innescato dal bere dopo aver intravisto la luce e il decoro. Sono personaggi bacati, segnati in partenza dalla sorte o dal loro DNA, oppure indugiando all’alcool affrettano la loro fine già comunque segnata? Questa storia senza luce, di proponimenti e promesse ne aveva avute, ed erano state colte, così da far sperare che la faccenda, dopo tutto, sarebbe finita per il meglio. Lavoro e onestà avevano dato i primi frutti consistenti. La speranza di una vita migliore, serena, equilibrata, una vita dove il lavoro portava prosperità e pace. La critica dice che questo e altri racconti di Zola sono frutto di un’attenzione sociale, mettono il dito sulla piaga del bere, del degrado, sono opere che scandagliano e denunciano, romanzi naturalisti-veristi, d’accordo, nessuno lo nega, era il periodo in cui in Europa ci si dava da fare per creare un nuovo ordine economico sociale, fra alti e bassi, rivolgimenti e rivendicazioni, ma il, chiamiamolo “destino” di quei personaggi era già scritto e decretato che deragliasse e che il binario del male e del degrado totale fosse inevitabile? Fammi notare una cosa, ancora una volta è la donna che mette la sua sigla nel bene e nel male scrivendo la parola FINE. Una volta che Gervasia crepa ignominiosamente la storia è davvero finita, lasciami concludere con le parole di Zola: – La morte doveva prenderla a spizzico, a boccone, a boccone, trascindadola così fino all’estremo della maledetta esistenza che si era formata….Quella bella stiratrice, era caduta nel nulla, peggio, nella cloaca…Una mattina, se ne accorsero i vicini di casa, dal tanfo di cadavere che emanava dalla sua camera, ridotta a un canile.” Qualcosa di diverso dall’oggi? Basta che dai uno sguardo alla cronaca nera dei giornali per trovare altre Gervasie.