credevi fosse sparito il Medioevo?

Donne in amore, i trovatori

L’arazzo.  Un’occasione per riflettere sul presente. Un esempio nella vita, un punto di riferimento nelle opere. Johan Huizinga, olandese, imprigionato due anni dai nazisti per lo spirito di indipendenza che animava il suo pensiero. Un grande storiografo che frugava nell’archivio della storia di Francia e d’Europa e che ha scritto numerose opere fra cui L’AUTUNNO DEL MEDIOEVO, il suo capolavoro per ricchezza di indagine abbondanza delle fonti, e interpretazione, divenuto ormai un classico. Abbiamo scelto di segnalare l’edizione introdotta da Ludovico Gatto dei grandi tascabili economici NEWTON in cui fra l’altro si legge un commento di Raffaello Morghen:…civiltà è per Huizinga, tradizione di esperienze di vita, di ideali civili e religiosi, di forme dell’espressione estetica, che si tramanda attraverso le varie culture, da generazione a generazione, onde l’umano si arricchisce e si espande. Ma il senso della storia, continua l’introduzione, per Huizinga è nel rapporto che riusciamo a stabilire e in cui riusciamo a porci con i tempi andati. Che resta stabilmente di valido aiuto non diciamo per superare la crisi della nostra civiltà, che è anche, come il nostro studioso indicò crisi della storia e viceversa, ma per precisarla meglio, conoscerla a fondo, anche se ciò non voglia dire dominarla.  Fermiamoci qui, perché è da qui che vorremmo partire, per considerare il nostro presente.

Doveva essere crisi di civiltà durante e subito dopo la caduta dell’impero romano in gran parte delle contrade d’Europa, doveva essere crisi di civiltà nei secoli bui del nostro Monferrato, durante le scorrerie dei Saraceni che dal decimo secolo da Saint Tropez dilagarono in mezza Europa, e ancora crisi, almeno per quanto riguarda l’Italia quando, per secoli, potenze limitrofe venivano a stracciarsi le vesti e a fare casino nella nostra penisola, usandola come terreno di scontro. E ancora crisi di civiltà è stato l’orrore perpetrato nelle due recenti guerre mondiali che hanno visto la caduta di opposte sanguinose utopie, e per il riassetto politico dell’Europa e i genocidi perpetrati in nome di… o nel segno di… e le nuove barbarie che sono del resto una costante storica, con armi poi messe al bando ma sempre pronte a far capolino, più micidiali che mai. A quale crisi se non questa attuale, sfuggente nella sua attualità e pure concreta e misurabile; la più radicale e prolungata, la più subdola e invasiva, così evidente da riguardare ogni aspetto della quotidianità, dai costumi al vivere nella comunità. Quale crisi più grande di questa che vieta di riconoscere noi stessi, la propria bellezza e grandezza (trascorse) la propria unicità di stirpe e di cultura; il patrimonio fattoci pervenire dalle precedenti generazioni è misconosciuto o trascurato. Unici al mondo senza tema di smentite per abbondanza e rilevanza di bene tramandati e oggi trascurati.

Arcieri e balestrieri

A cominciare dai paesaggi deturpati, non c’è regione italiana che non annoveri obbrobri edilizi anche recentissimi, la devastazione del nostro passato equivale all’ignoranza delle nostre origini. Con l’avallo di tutti i governi del dopo guerra. Nel nome dello sviluppo industriale e del progresso, è solo un esempio fra i tanti, è stata uccisa o umiliata qualsiasi eredità della Tradizione. Ci viene quasi il dubbio che alle nobili popolazioni italiche venga deliberatamente somministrata una sorta di narcotico, per piombarle in un vuoto della coscienza, o in stato di incoscienza, per meglio governarle, per mantenerle in una specie di ignoranza corrosiva e deleteria. Siamo Italiani dopo tutto. Dopo Pasolini il nulla, è il caso di dirlo. Quale intelletuale, perdonami il termine che oggi fa un po’ ridere, si impegna come faceva lui, sulla sua persona si possono avere tutte le riserve, pagando di tasca sua dileggio e critiche. Tornando al grande Johan Huizinga non osiamo neppure affacciarci sullo sbalorditivo arazzo che egli tesse, scandagliando vizi e virtù di Borgognoni, Fiamminghi, di principi, villani, madamigelle e cavalieri erranti sulla via del tramonto, attraverso storie di duelli, scontri, matrimoni ed esecuzioni capitali, avremmo solo l’imbarazzo della scelta per cui ti rimando direttamente alla lettura di questo fantastico breviario di avvenimenti ambientato quando la Rinascenza europea già bussava forte alle porte della Storia. L’AUTUNNO DEL MEDIOEVO, come disse Carlo Antoni intende comporre una vitraille istoriata, come quella delle cattedrali francesi e della Fiandra o dei Paesi Bassi, in cui i riflessi luminosi, i giochi di luce, affascinanti iridescenze, quasi magicamente si moltiplicano e si inseguono…

gli angeli han fatto le valigie?

UN DIALOGO (IMMAGINARIO MA VEROSIMILE) TRA JULIUS EVOLA E RICHARD FEYNMAN

Due giganti del sapere a confronto. Ma quale sapere? Quello del filosofo non ortodosso, interprete e difensore della Tradizione e di dimensioni ultramondane o quello dello scienziato americano premio Nobel, indagatore dell’atomo, ex enfant prodige della fisica quantistica. Il dialogo inedito immagina un faccia a faccia sottolineando la critica all’indagine scientifica odierna, basata su astrazione, probabilità e paradosso, espressa in due capitoli su CAVALCARE LA TIGRE; coi suoi limiti evidenti e la pretenziosità di unico sapere possibile, dogmatico e totalizzante. Confronto utile a comprendere ciò che si è perduto e ciò che la scienza moderna oggi va perseguendo. Il sito della FONDAZIONE JULIUS EVOLA ha pubblicato il seguente racconto:

FEYNMAN -Buongiorno ingegnere; da dove arriva? Anche lei ha fatto un lungo viaggio per poterci incontrare?

EVOLA -Buongiorno a lei, da molto lontano arrivo, guardi che la laurea volutamente non l’ho conseguita

F -Di onorificenze e diplomi non so che farmene nemmeno io, mi impacciano

E -La sua notorietà è invidiabile, da suonatore di bongo al Nobel

F -E lei da imbrattatele e aspirante stregone alla ribalta del Nazionalsocialismo. Ha mai provato a suonare i bonghi? Le sarebbe passata la voglia di dar lezione a dittatori omicidi

E -Si dice tanto su di me, spesso a sproposito. Al bongo preferisco gong rituale e corno tibetano

F -Non mi divertirebbero, uno quando vibra ti muove le budella, l’altro sembra un tubo di stufa mal riuscito

E -Strumenti rituali, aiutano ad accedere ad altri stadi dello spirito

F -Non mi sono mai soffermato sullo “spirito”. Gong e corno si suonano nei monasteri, che noi Americani apprezziamo poco. A proposito, lei con noi non è tenero: infantili e pieni di tabù, dice, e ci assimila agli ortaggi…

E -Dove l’ha letto?

F -Me lo hanno riferito. Tornando allo spirito: il mio lo “sollevo” ballando la samba. Ma perché ce l’ha con noi? Non siamo bolscevichi

E -Origini e mete diverse, effetti analoghi e poi: “Una foresta pietrificata contro cui si agita il caos” l’ha scritto il suo connazionale Henry Miller sulle vostre città

F -Si chiama libertà di espressione!

E -Tanto per dirne un paio: “l’utile è il criterio  del vero” e “il valore di ogni concezione, perfino metafisica va misurato dalla sua efficacia pratica” è di un vostro filosofo, certo  William James. Un po’ limitativo, no?   “Get rich quick!” ovvero il valore fondante gli USA. E al rogo la Tradizione

F -Ancora tradizione! Ora ricordo…il suo latte di fiamma: originale! L’unico che ricordo è quello che mia madre mi faceva ingurgitare da piccolo

E -Tradizione. Da non confondere con folklore e tradizioni locali

F -Nutriamo visioni del mondo diverse. Pensi che io parto da un bicchiere di vino. Contiene l’universo intero, sa? 

E -Pittoresco! Ma presumere di detenere il primato della conoscenza vi nuocerà

F -Non sia serioso barone. Frugare nei segreti della materia le pare cosa da poco? Io parto dal vino e anche da una scarpa. Se questa non è modestia! 

E -Trovo riprovevole che sulle vostre ricerche l’industria ci costruisca su modelli di vita coercitivi spacciandoli per progresso

F -Mai stato tenero verso istituzioni e industria. E poi quello che si fa sfruttando la ricerca non mi compete. Ma lei non è curioso di vedere come si comporta l’atomo?

E -Do la precedenza a una realtà che guarda all’eterno incorruttibile

F -Non le sembra di essere sorpassato? Guardi che fine hanno fatto fare a Dio i suoi colleghi

E -Col Dio di cui parla io c’entro poco, comunque a smantellare l’idea del divino hanno cominciato i suoi colleghi, scrutando il cielo…i filosofi hanno poi preso atto della cosa

F -Torniamo alla conoscenza, tema del nostro incontro. Ai miei studenti dico che lo strumento eletto per i ricercatori è il cestino della carta straccia, deve essere sempre ricolmo. Non è apprezzabile? Penso di sapere perché lei non ci ami. Abbiamo scacciato gli angeli a suon di formule e quelli han fatto le valigie

E -Angeli?

F -Ai miei studenti un giorno ho detto: Keplero ha sudato sette camicie per convincere i dotti che le sue idee non erano bislacche, che i pianeti attorno al sole non venivano sospinti dalla pressione dell’aria prodotta dal battito delle ali, sospesi a mezz’aria a reggere il mondo, ma da forze gravitazionali. Uno può anche credere agli angeli, più difficile conciliare il fatto che la pressione prodotta dal battito delle loro ali era diretta altrove, non c’entrava col moto dei pianeti. Una volta scoperto il trucco…

E -Vedo che le allegorie, da lei definite “trucco”, le sono indigeste

F -Chi sosteneva certe allegorie ovvero la Chiesa, coltivava ignoranza commettendo crimini, sentendosi minacciata

E -Vero. Tralasciamo gli angeli. Ma la scienza moderna non ha cambiato il mondo in meglio, che rimane per addetti ai lavori, se si esclude il clamore sulle vostre scoperte di cui subito ci si dimentica. Siete su un binario cieco, vi inciampate nelle formule

F -Cieco! Lei parla di cecità descrivendo il tentativo della Fisica quantistica di forzare la cassaforte della materia, affermando che è secondario conoscerne l’origine, il come e il quando. Come faccio a descrivere fenomeni senza usare formule?

E -Io sono più modesto. Mi bastano conoscenze maturate millenni fa, risvegli, illuminazioni, realtà invisibili in cui vive una doppia realtà fenomenica, da voi trascurata

F -Mi sembra che la sua conoscenza sia datata, millenni di…buio e di false interpretazioni, ma vi capisco…senza strumenti adatti

E -Sarebbe perfetto se dopo la scoperta della curvatura dello spazio tempo, ovvero della deformazione causata dalla massa degli oggetti  nello spazio tempo le scoperte fossero messe al servizio di altre conoscenze

F -Lei è bene informato. Ma ne abbiamo fin troppe di matasse da sbrogliare per pensare ad altro. La natura si comporta in modo tale che risulta impossibile prevedere cosa succederà in un dato esperimento. Si immagini quanto mi piacerebbe scoprire su due piedi anche il perché di tutta questa meravigliosa baracca. Mi capisce? 

E -Certo, sfere di competenze distinte, ma c’è sempre chi invade il campo altrui e voi avete tracimato

F –I suoi colleghi filosofi avevano stabilito come uno dei requisiti della scienza fosse che nelle stesse condizioni dovesse verificarsi la stessa cosa. Falso. Il fatto è che non succedendo la stessa cosa possiamo trovare solo una media dei risultati. Nella fisica, tutto quello che può succedere succede, è già successo e succederà, e tutti questi eventi, presenti, passati e futuri stanno succedendo allo stesso tempo. Non le sembra abbastanza complicato? I filosofi poi blaterano su cosa sia necessario per la scienza, sbagliando

E -Sbagliata è la vostra nozione di realtà

F -Ma lei cosa intende per reale? Pensa che una bottiglia sia reale? Una vite, una scarpa, secondo lei sono “reali?” Lei ed io siamo reali? Me lo dica, così usciamo dall’equivoco

E -Quello che attiene alla Tradizione non all’effimero; Io parlo di immutabilità, ossia del contrario di ciò che voi indagate

SE HAI VOGLIA DI CONTINUARE A LEGGERE IL RACCONTO CLICCA SU DIALOGO IMMAGINARIO TRA JULIUS EVOLA E RICHARD FEYNMAN, PUBBLICATO DA FONDAZIONE JULIUS EVOLA

c’era il Barone immaginario? (1)

Possibile che non ci sia un filo di retorica, di nostalgia, o magari di apologia? Nulla di tutto questo. E perché? Perché IL BARONE IMMAGINARIO, a cura di Gianfranco De Turris, edito da MURSIA, ha centrato l’obiettivo, andando ben oltre le aspettative, trattandosi di opera viva, attuale, originale, e di insospettata suggestione. La sua lettura risulta godibilissima, anche per chi non conosce il personaggio al quale i brevi racconti si ispirano. Il suo protagonista anima un mosaico vivace, fatto di avventure, situazioni, luoghi fantastici e non; un’impresa non da poco e di gran presa su chi legge. Il protagonista: Julius Evola, catapultato in vicende fantastiche, surreali, mistiche, improbabili o realistiche, mai comunque banali. 18 racconti ispirati alla sua figura che fanno rivivere uno dei piú straordinari, meno noti e dibattuti filosofi del nostro recente passato. Del passato europeo intendo, non solo dell’Italia.

Esponente di spicco del dadaismo in Italia, se fosse nato in Francia non si sarebbe esitato a dedicargli monumenti e intitolargli biblioteche, vie e piazze. In Italia occorre aspettare che la cultura “ufficiale” decida cosa fare di un personaggio, diciamo così, scomodo e ” contro”, che aveva legami col fascismo e il nazismo, anche se ne criticava aspramente certi aspetti. Non per niente la Gestapo aveva aperto un fascicolo su di lui e una guardia del corpo lo proteggeva per le critiche avanzate verso gli squadristi. Bisogna insomma che l’intellighenzia culturale italiana vigente (sempre se ne esiste una) sdogani personaggi di quel calibro, al punto che, tanto per dirtene una, Umberto Eco, uno dei nostri recenti maître à penser non perdeva occasione per denigrare Julius Evola e la sua opera, al salone del libro di Francoforte.
L’aletta di copertina del volume di MURSIA dice: Diciassette scrittori contemporanei oltre a Volt, il conte futurista, hanno raccolto la “provocazione” di Gianfranco De Turris e si sono misurati con il Barone, immaginandone incontri, avventure, amanti, indagini, pensieri, battaglie. Un’impresa non da poco, considerato lo spessore del personaggio, le sue tesi rivoluzionarie, maturate su antichi testi, l’osservazione del reale attuale e i suoi rapporti “imperdonabili”. Anche Mister Bannon, l’ex guru di Donald Trump, che lo ha successivamente silurato e poi, pare, recentemente riabilitato, cita Evola, questo la dice lunga sull’influenza e la fama del filosofo romano, anche in America, al punto che un articolo del New York Times ne parla. Mi rimane il dubbio se Steve Bannon e Jason Horowitz , estensore dell’articolo, conoscano a fondo il pensiero evoliano.
Gli autori: Bernardi Guardi, Bizzarri, Cimmino, de Angelis, Farneti, Frau, Gobbo, Grandi, Henriet, Leoni, Monti-Buzzetti, Passaro, Rossi, Rulli, Scarabelli, Tentori, Triggiani, Volt. Qui di seguito, suddivisi in tre post susseguenti, i loro racconti:
LE PAROLE CHE UCCIDONO, Scritto dal conte Vincenzo Fani Ciotti alias Volt futurista, il racconto apre l’antologia dei diciotto, presentati da Gianfranco de Turris ne Il Barone Immmaginario per Ugo Mursia. Personaggi e interpreti: Arnaldaz alias Arnaldo Ginna, ovvero Arnaldo Ginanni Corradini, Ettore Biunfo, bizzarra cavia calabrese, De Pero, Balla, Evola, la presenza invasiva dell’opera di Marinetti mentre si recita la sua Maria futurista, in una Roma sorniona e proiettata verso l’avvenire. Il milieu occulto del futurismo romano è il vero protagonista del racconto, fra scherzi, lazzi e scenate semiserie si parla di energia astrale, di Scienza dell’Avvenire, di pazzia che sarebbe genialità rientrata, di Genio e pazzia che rampollano da una medesima fonte, mentre Evola spiega a Balla il funzionamento del suo complesso plastico meccanico intitolato Siluro in azione.

Sembra che i protagonisti siano quattro amici al bar e invece sono l’avanguardia dei movimenti dadaisti e futuristi italiani. La Roma futurista va a mille in questo divertente racconto in cui si bighellona al Pincio per finire nello scantinato di Balla dove De Pero porta in braccio la sua marionetta, ovvero la ballerina gravida. Fra piazza di Spagna e il Pincio mentre arriva di gran carriera il camion dei pompieri per spegnere un incendio inesistente nel negozio di un ottico. Qualcuno aveva gridato al fuoco! ma per scherzo.
IL DRAGO ETERNO di Adriano Monti-Buzzetti è il secondo racconto del libro. Herman Hesse, un saggio tibetano dagli straordinari poteri e un giovane Evola che bussa e ribussa al portone di una strana casa del Canton Ticino, alla ricerca spasmodica di verità urgenti su se stesso e sul mondo. “Il cielo era cremisi e un’immensa luna color sangue incombeva sul pianoro. Incitate dagli sproni del cavaliere in armatura, le zampe del palafreno aggredivano senza suono il terreno arido e frastagliato da crepe infinite….Infine, anche in quell’eterno presente qualcosa cambiò.

Il cupo monte dispiegò le sue ali e fu un drago….”Il tuo drago” spiegherà il saggio tibetano, dopo la tenzone, al giovane Evola incredulo, “era reale, in effetti, ma su un diverso piano dell’esistere…Ogni battaglia del Cavaliere col Drago è l’immagine eterna di una lotta interiore per superare la parte oscura di noi stessi…Eppure a modo suo egli è uno sciamano” concluderà il lama riferendosi a Evola, ormai congedatosi, … e credo che la vostra strana cultura oggi, abbia bisogno di tutti gli sciamani che può trovare.” disse il lama all’indirizzo di Herman Hesse.

LA MALEDIZIONE DI PALAZZO CHIGI di Max Gobbo. C’è Mussolini nella Sala della Vittoria che sta chiedendo a Evola: “Qual’è la sua opinione sul sovrannaturale?” Il Duce, impensierito da alcuni inquietanti fenomeni, si sente spiato e non sa spiegarsi l’origine di certi rumori e di alcune cose trovate fuori posto e poi della sua Alfa Romeo che fa bizze davvero incomprensibili, senza parlare di un pugnale che va a conficcarsi nello schienale della poltrona del Duce. Illusionismo?

cospirazione? azione di campi magnetici? forze occulte invisibili? Oppure potrebbe essere Aleister Crowley il mandante? e il suo “sicario” un sarcofago egizio, dono di una delegazione straniera malintenzionata.
Un sarcofago gravato da una maledizione. Nel racconto si legge: “La scrittrice Sarfatti scrive che Mussolini, venuto a conoscenza della morte prematura di Lord Carnarvon, scopritore della tomba di Tutankhamon, ordinò che il sarcofago avuto in dono, venisse rimosso da Palazzo Chigi e trasferito d’urgenza in uno dei musei etnografici della capitale.
MURSIA

il Barone scriveva la sua Rivolta?

JULIUS  EVOLA     RIVOLTA CONTRO IL MONDO MODERNO
La Tradizione, il Rito, la Casta.
Sapevo di introdurmi in un ginepraio ma non immaginavo che il ginepraio si sarebbe trasformato in una foresta inestricabile dalla quale è quasi impossibile uscire, per via della complessitá dei temi e delle implicazioni delle sue opere. Le sue tesi sono infatti rivoluzionarie. Matematico, Dadaista, pittore, quasi ingegnere, fascista critico verso il regime e privo di tessera del partito, esoterista, filosofo e altro ancora. Ho pubblicato questo post dieci anni fa e continuo a modificarlo, perché la sua figura e i temi a lui collegati sollevano ancora oggi interrogativi, dubbi, contestazioni a non finire e, soprattutto, un interesse destinato a crescere. Qualcuno ricorda anche come Umberto Eco non perdesse occasione di attaccarlo e denigrarlo a piú riprese e senza remore durante la Fiera internazionale tedesca del libro. Affascinato dall’ampiezza e profondità del suo pensiero e per i risultati di uno scandaglio analitico che fruga nel mito, nei riti, nei simboli e nell’aldilà ripubblico il post modificato. Aderí alle ideologie del Fascismo e del Nazismo, dai quali comunque prese le distanze e dai cui organi di controllo venne strettamente sorvegliato perché fortemete critico nei loro confronti. Affascina il modo in cui conduce le sue analisi sugli ultimi duemilacinquecento anni di storia occidentale. Sto parlando di Giulio Cesare Andrea Evola, e delle sue tesi rivoluzionarie che pongono in cima alle sue riflessioni i valori della Tradizione.

Non ho avuto modo di conoscerlo; gli avrei espresso alcune perplessità, e invece ho potuto apprezzare alcune sue opere attraverso l’appassionata disamina del mio amico e mentore, conte Aldo di Acquesana signore Ricaldone, autore di opere fondamentali sulla storia del Monferrato.
Antibolscevico, anticapitalista, antiborghese, e infine critico verso i regimi totalitari; «non ci s’illuda: il fascismo non fa che proclamare tali valori (valori di gerarchia) ma di fatto mantiene una quantità di elementi democratici e borghesi da far paura. Che cosa sia la guerra, la guerra voluta in sé come un valore superiore sia al vincere che al perdere come quella via eroica e sacra di realizzazione spirituale che nella Bhagavadgita si trova esaltata dal dio Krishna, che cosa sia una tale guerra non lo sanno più questi formidabili “attivisti” di Europa che n1on conoscono guerrieri ma soltanto soldati e che una guerricciola è bastata per terrorizzare e per far tornare alla retorica dell’umanitarismo e del patetismo quando non ancora peggio a quella del nazionalismo fanfarone e del dannunzianesimo. La misura della libertà è la potenza: non dovrà essere più l’idea a dar valore e potere all’individuo ma l’individuo a dar valore, potere, giustificazione a un’idea. Volere la libertà è tutt’uno che volere l’impero». Così scriveva. Idee da non prendersi alla leggera.
Fascismo e Nazismo che pure lo avevano apprezzato, erano rei, secondo lui, di non avere saputo perseguire i veri valori fondanti l’Impero, incapaci di ricercare e coltivare l’ispirazione divina e la spiritualità primeva tipica dei veri re nel governo dei popoli.

Un pensatore inquietante e, aggiungo: necessario, assolutamente moderno, che getta la sua lunga ombra sul nostro presente. Autore di un’opera densa e articolata, gran parte ancora da interpretare a fondo, messo all’indice e osteggiato dalla sinistra europea per le sue idee. Ma è venuto il tempo di distinguere, di discernere, di estrapolare quanto di valido e inedito c’è nel suo pensiero, verificandone dinamicamente la presa sulla società contemporanea. Le sue idee fanno discutere, affascinano per la loro profondità, per la lucidità e chiarezza esplicativa. Dagli Egizi, agli Iranici, dall’Impero Romano agli dei indù, dall’Olimpo greco al conflitto medievale fra Papi e imperatori …ma vediamo di andare per ordine.
Poeta, pittore dadaista e filosofo tradizionalista. Evola si espresse in pittura, aderendo alle tendenze artistiche più moderne. Conobbe Tristan Tzara e fu esponente di spicco del Dadaismo in Italia. Nell’ambito della poesia entrò in contatto con Gottfried Benn e Filippo Tommaso Marinetti quindi fu attratto dal Futurismo. Malgrado i suoi contatti con l’ambiente futurista romano pare che Marinetti, dopo aver letto un suo scritto dicesse: Le tue idee sono lontane dalle mie più di quelle di un esquimese. Nel 1917 partecipò alla Prima guerra mondiale come ufficiale di artiglieria.
Fondò la rivista La Torre, difendendo princìpi sovra politici e quindi invisa al regime fascista: Evola fu costretto a farsi proteggere da una guardia del corpo …Ma lasciamo ai numerosissimi siti internazionali e italiani le note biografiche e i punti salienti del suo pensiero.

Ho scrutato dentro la sua opera più cospicua e famosa, per rintracciare i motivi dell’ostracismo intellettuale che dovette subire e che ancora in larga parte oggi va soggetta la sua reputazione. Solo dopo aver riletto RIVOLTA CONTRO IL MONDO MODERNO scrivo.  Ma ogni volta che apro le sue pagine sento il bisogno di riflettere. L’esposizione delle sue tesi si fonda sui testi sacri appartenenti alla storia dell’intera umanità. Tentare di applicare anche solo in parte alcune delle sue teorie alla nostra epoca ci costringe a riflessioni di sconcertante attualità e a constatazioni angoscianti. Una lettura impegnativa ma appassionante e molto utile, anche se non facile. Saranno opportuni altri post perché uno solo risulta insufficiente a parlare delle sue idee.

c’era il Barone?

Inutile cercare il suo nome, non lo trovi. Nel dizionario di filosofia della Rizzoli del 1976 non compare. Può essermi sfuggito, e in questo caso chiedo scusa. Ci sono tutti gli altri, bada bene, da Sartre a Marx, da Nietzsche a Lenin, tutti i “grandi” con le loro tesi sulla esistenza e i fenomeni, ma non lui, c’è anche, pensa un po’ come va la storia, il criminale impunito e osannato in Europa fino a poco tempo fa, ovvero Mao Tse Tung; al proposito leggi LA STORIA SCONOSCIUTA di Jung Chang e Jon Holliday, davvero istruttiva sulle sue malefatte. Tu puoi ignorare una persona, in questo caso Evola, filosofo di risonanza europea, per due motivi, o perché lo reputi di infimo interesse o perché lo temi. Penso che il secondo motivo faccia al caso nostro. Mettere all’indice uno come lui, spazzandolo sotto il tappeto come la polvere è la cosa migliore da farsi, cioè lo ignori, così ha fatto Rizzoli nel suo dizionario. Così han fatto in molti dopo di lui, ma con lui occorrerà fare i conti, o prima o poi. Interprete e sostenitore della Tradizione, Evola rimane, ma non per i brandelli della cultura italica odierna, un fantasma, gigante sconosciuto, il quale rimproverava a Mussolini diverse cose di non poco conto e rimbrottava le SS di Hitler. Su di lui oggi si scrivono saggi, si stendono tesi di laurea, si ripubblicano i suoi “scottanti” lavori in diverse lingue. Nei prossimi giorni una “manciata di post che lo riguardano da vicino.

sotto il letto c’erano i Saraceni?

ANNALI DEL MONFERRATO Correva l’anno 889 quando una tempesta…C’è il sole ma fa freddo. Tutta la casa è fredda. Il cane scende di scatto per seguire il moscone che sbatte contro i vetri. Ringhia verso la finestra su cui il moscone si accanisce. Chi tiene il terrier?
A cuccia Gin Gin! Cuccia terrier! Il grande soggiorno è in penombra, c’è odore di braci fredde. Arriva dall’enorme camino su cui grava la pancia della canna fumaria che reca questa scritta: Signur, vardemi da la losna du tron e da cui dla raca d’Ricaldon. Lo stemma annerito dei di Ricaldone è solcato da una sottile crepa. Contigua alla parete che ospita il gigantesco camino la scena di un matrimonio, è un affresco a tutta parete che raffigura l’arrivo della sposa Argentina Spinola che presto si unirà con Teodoro Paleologo. Le due grandi finestre a sesto acuto lasciano intravedere il paesaggio. Oro e rosso, oltre il campo di granoturco. Giallo e marrone su ogni altura, ad eccezione della macchia scura di abeti verso Olivola, ingrigita da una leggera bruma. L’uomo alla scrivania è l’ultimo discendente della famiglia dei conti di Ricaldone. Si chiama Giuseppe Aldo. Nello studio in cui sta leggendo i libri arrivano al soffitto. Tomi di storia, letteratura ed enciclopedie lo sovrastano. Molti hanno il dorso di pelle, altri in stoffa sbiadita azzurra. Fra questi, il titolo di un libro che non abbiamo mai aperto, intitolato Parnassiani e simbolisti. Ogni volta che siamo entrati nello studio l’occhio ci cadeva sopra, senza alcun motivo. Come se dovessimo verificare che le cose continuavano a essere al loro posto. Dossier foderati di tela color vinaccia formano due file distinte, sugli scaffali di mezzo. Racchiuse negli stipi della fila in basso pile di carta trattenute da una fettuccia. Nello studio sottostante, Matilde Izzia, la moglie, ha appena riposto i pennelli. Sta rifinendo il dipinto su cui appare la lotta fra la biscia e il suo cane. Il terrier l’ha raggiunta attraverso la scaletta che mette in collegamento i due piani della casa, per sollecitarle il pasto. L’uomo rimane immobile per lunghi periodi, profondamente assorto, fissa i fogli, riprende e confronta alcune pagine. Immotus nec iners! Lo sguardo è concentrato nella lettura, poi gira il capo verso la cascina dietro cui è sparito il cavallo. Guarda la seggiola che il terrier ha abbandonato, quindi torna con rinnovata intensità al suo lavoro. Talvolta rigira fra le dita il massiccio anello di oro bianco con l’incisione della corona nobiliare. Cosa lo attira in quei documenti? Cosa lo fa apparire così estraniato? Quasi vivesse in un altro tempo, in un’altra dimensione. Tutta la sua attenzione è concentrata nella lettura delle carte, come se fra quelle righe, antichi segreti, fascinose avventure, storie di altri tempi si celassero. Di che si tratta? Proviamo a dare uno sguardo alle prime pagine:

Correva l’anno 889 quando una tempesta nel mar Tirreno, gettava alla deriva una imbarcazione mussulmana. I superstiti prendevano terra nel golfo di Saint Tropez in Provenza senza incontrare ostacoli da parte di elementi cristiani locali. I Saraceni, tornati in Spagna, diffusero la notizia e subito folti ed agguerriti gruppi di loro compatrioti si diressero al provvidenziale porto. Occuparono le montagne circostanti, si nascosero nel folto dei boschi, costruirono rifugi sotterranei, fortificazioni e torri, disposero per la vicina costa posti di segnalazione e di guardia trasformando Saint Tropez in un munito porto capace di raccogliere un’intera flotta. Da questo porto per un secolo circa, le arabe torme agguerrite e veloci, dilagar fin dove Genova splenda, recando distruzione in Liguria, in Provenza, nelle Alpi Occidentali. Le prime scorrerie in Provenza e sulla riviera ligure non incontrarono ostacoli e i Saraceni fatti sicuri occuparono i valichi alpini, risalirono la valle del Rodano sino a Vienna, dilagarono in Piemonte dalle valli di Aosta e del Tanaro stringendo in una morsa inesorabile le terre subalpine. Nel Monferrato si stanziarono nelle caverne del colle di San Germano, ad Ottiglio e dettero nome ad una località: Moleto dal nome del loro capo: muley, che in arabo vuol dire Signore. ..L’imperatore Ottone I inviò un ambasciata presso il Califfo di Cordova Abd er Rhaman III, nel 953 per persuaderlo a richiamare dalle terre cristiane i razziatori arabi ma senza risultato.- Piccole città saccheggiate, castelli distrutti, chiese e conventi ridotti in cenere, devastati e ridotti allo squallore, genti massacrate o soggette a crudeli persecuzioni onde più nessuna sicurezza offrivano le case dalle quali le giovani donne e i bimbi venivano rapiti per essere condotti nei remoti covi e gli uomini strappati e mandati in lontani paesi in schiavitù.- Così si esprimevano i cronisti del tempo e posteriori, spesso esagerati nelle loro descrizioni.

Non che i Saraceni avessero dei riguardi ma le loro gesta sono spesso aumentate, da quei cronisti per solito ecclesiastici, perché saccheggiavano di preferenza le chiese ed i conventi ivi nascondendosi i maggiori tesori. ..Ai Saraceni si aggiungevano abitanti delle zone dove questi si fermavano. Nelle cronache sono chiamati pravi cristiani o mali homines e con i Mussulmani razziavano e saccheggiavano dividendo il bottino. E a pagina 43 delle 1416 pagine degli ANNALI DEL MONFERRATO leggiamo: – Ma la damigella pur gli faceva assai festa tanto che al fine non sapeva Aleramo che fare né che dire; però che amore e bellezza da una parte lo infiammavano tutto e fede e conoscenza dall’altra lo ritraevano d’amare. La fanciulla quando si vide a tale condotta che non faceva più che languire, disse al valletto: – Io non potrò più vere se voi non mi menate in qualche parte ove noi siamo senza pericolo, però ch’io non posso senza voi più durare. Come il donzello intese esclamò: – Che è quel che dite dolce signora? Già noi non potremo andare in nessuna parte che non siamo di subito tagliati a pezzi e morti. Della morte mia non me ne importerebbe: ma non soffra Iddio che la vostra persona abbia sì fatta pena. – Tuttavia la fanciulla tanto seppe dire e fare che Aleramo disperando per una parte che l’imperatore si contentasse mai del loro amore dubitando per un’altra che durando ancora la cosa non si potesse più oltre celare, una notte menò via la fanciulla. E si vestirono per non essere conosciuti di abiti strani e diversi; e su due cavalli, uno bianco, uno rosso fuggirono per foreste e per luoghi selvaggi…. Altre pagine e altre ancora vengono corrette e archiviate quel giorno. Il sole nella fredda e nitida giornata di marzo ha già smorzato tutta la sua forza e la collina di tufo è una massa oscura, minacciosa. Il cane accorre velocemente al richiamo della moglie di Aldo di Ricaldone, che al piano di sotto ha appena riposto pennelli e colori.

La tela a cui sta lavorando raffigura proprio il loro cane e la biscia cui darà battaglia. Nella sala un gran ceppo ha preso a crepitare dentro l’enorme bocca del camino. Questa sera ci sono ospiti. Anche se non siamo riusciti a condividere completamente le sue opinioni, stima e affetto nei suoi confronti rimangono intatti e, invece di affievolirsi, crescono col tempo. Egli difese a oltranza una visione del mondo scomoda per quei tempi, riferendosi costantemente ed esclusivamente ai valori della Tradizione, secondo posizioni che andavano controcorrente. Le oltre tremilacinquecento pagine da lui redatte, relative agli ANNALI DEL MONFERRATO e MONFERRATO TRA PO E TANARO sono la dichiarazione d’amore verso la sua terra, un’avvincente saga di eventi di inestimabile valore lunga otto secoli che regge il confronto coi romanzi più appassionanti (ma con personaggi e vicende autentiche.) Le sue opere oggi sono ambite da eruditi, studenti, ricercatori, dagli amanti della storia, e da chi, più semplicemente, come me, vuole sapere come sono davvero andate le cose. Non occorre infatti essere Monferrini per apprezzare il modo in cui Aldo di Ricaldone tesse il suo incredibile arazzo. IL MONFERRATO. Ma quante regioni così interessanti come questa ci sono in Italia? Domanda superflua e risposta scontata: tutte. Concludo con le ultime frasi di Aldo di Ricaldone, a pagina 26, tratte dagli ANNALI DEL MONFERRATO: Gli Annali sono un messaggio, un invito alle generazioni future perché altri uomini con senso critico, con responsabilità e con intelletto d’amore, attingendo alle fonti elencate, sappiano trarre quelle nozioni per delineare sull’arco dei secoli la favola umana che si chiama Storia e che forma la gloria della nostra Gente e della nostra Terra.