non c’era il virus?

A che pro attendere? A che scopo rimandare il nuovo post. Il virus impazza, anche qui, in Gran Bretagna. Ti fan fare la coda, ti dicono di stare a due metri di distanza, non tossire, non starnutire, se lo fai senza precauzione, perché ti dimentichi, recriminano. Hai bisogno di pasta, farina, riso. Vuoi fare un po’ di scorta, non si sa mai. E allora vai quando apre il supermercato se no non trovi nulla, ma nemmeno se vai alle sette di mattino sei sicuro di trovare quello che cerchi. E poi perché è introvabile la pasta che costa in modo ragionevole? trovi quella più cara, carissima. Son contento per la Buitoni, per la Baresa, ma a me che non sono abbiente andava bene anche l’altra prodotta in Italia, ottima comunque. Vuoi vedere cosa succede davanti a un loro supermercato? Guarda il video, sembra peggio dell’Italia. Avvilente, non ti sembra. Con corredo di schiamazzi e invettive. Ma siamo a Londra! Lo chiamano panico da acquisti. Speriamo passi, speriamo proprio. E in fretta anche. Mi sento solo di dire che l’economia globalizzata ha prodotto il virus globalizzato. Banale, ma oggi non ho altro da dire, il resto lo conoscete già.

c’era la plastica?

Anno 2250
Ti ricordi quando tutto era di plastica, anche il fegato di delfini e salmoni e anche i fondali del mare era costituito di quel materiale? Ti ricordi di quando avevano installato la prima barriera di corallo in plastica al largo della Sardegna? Un successo! Per far vedere com’era una volta e incrementare il numero di turisti che volevano fare immersione e vedere nuove meraviglie sul fondo. Nessuno più andava sul mar Rosso in vacanza. E anche l’acqua degli oceani era fatta di plastica che si disgregava sotto il sole e col movimento dell’onda, producendo un pantano galleggiante che calmava le onde.

Oggi la plastica è un prodotto d’antiquariato industriale. Un reperto, quasi un fossile che un tempo dicevano avvelenasse il nostro cibo e insozzasse le coste dove andavamo a fare il bagno. Esagerazioni! Bastava scegliere un’altra spiaggia meno inquinata. Anche se era molto difficile trovarla. Ma non tutti erano d’accordo, con la plastica si poteva benissimo convivere. E ci furono movimenti d’opinione di opposta tendenza. Dopo le numerose rivoluzioni contro il suo uso indiscriminato e la drastica decisone di bandirla per sempre dalla faccia della terra oggi la si può trovare in qualche museo. E di quando foche e tartarughe, tanto per giocare, si infilavano sacchetti in testa, quelle burlone, te ne ricordi?

E di quel pesce che, tanto per provare l’ebbrezza, si era attorcigliato un laccio fra pinna e testa e quell’anitra che aveva fatto scivolare il capo in una bottiglia. Gli umani avevano imparato ad adeguarsi, dovevano farlo anche gli animali, si capisce, loro sono più lenti di comprendonio. E di quando il mondo andava in fibrillazione celebrando il suo fasto creativo per aver inventato plastiche per tutti gli usi immaginabili e non, te ne ricordi? Plastiche indistruttibili, invitanti, belle, solide e colorate e infine commestibili! Plastiche che coprivano i campi, per proteggere le coltivazioni, con reti e teli grandi come campi di calcio…ma forse quelli erano indicate per le discariche; plastiche per andare in barca e giocare a tennis, di plastica erano i soldatini e gli indiani con cui ti trastullavi e i mattoncini colorati per sviluppare le tue doti inventive. Di plastica solubile erano coperti confetti e pasticche. Mica vorremmo contestare il merito a Natta, gloria nazionale, che si era vinto anche il Nobel, tutt’altro. Se ti fossi recato all’uscita di un supermercato ti saresti chiesto come era possibile che la gente sguazzasse nel suo mare pubblico e privato di plastica, con le sue quotidiane razioni di cibo avvolte in involucri trasparenti o colorati, e che se ne cibasse, anche. Ma che male c’era? Lo facevano in tanti, lo facevano tutti, era così pratico e a buon mercato. Perchè un tempo nei paesi più evoluti la plastica la pappavano tranquillamente, bastava sorvolare sui suoi effetti collaterali. Frullata o solubile, in scaglie e granuli. Per nausea e mal di stomaco c’erano certe portentose pasticche di plastica, senza alcun obbligo di pescrizione. In diverse zone della città erano stati installati distributori automatici per pasticche dure e gommose e confetti alla plastica, ce n’erano per tutti i gusti. Non dirmi che non ricordi i primi chewing gum multiaroma, che si arrotolavano sotto la lingua: indistruttibili! Li potevi trovare anche dall’edicolante, erano in bustina e facevani il paio con soldatini e cavallini sempre di plastica. Da poco era stati messi sul mercato. Nei supermercati erano apparsi filetti di manzo fatti in polipropilene atattico, era il 2019, e il gusto era identico a quelli animali. Tutto stava per essere convertito in plastica, anche gli umani. Plastiche monouso, plastiche usa e getta, plastiche per gettoni, bottoni, e plastiche skin per petti di pollo, coglioni di toro e guance di neonati, plastiche per aghi, spaghetti e profiterolles, e bottiglie di plastica, ovviamente! A milioni! Un mare dentro gli oceani, potenza creatrice dell’uomo! Un sollucchero per consumatori esigenti. I nuovi metacrilati e nuovi polietilenglicoli in versione commestibile finivano in tavola, conditi con limone e un goccio d’olio per non alterare il gusto di sogliola o di scaloppina. Chi non ha assaggiato la sogliola polimerizzata al rosmarino, più appetitosa di quella animale? Ti ricordi com’era buona, ce n’erano al gusto di fragola e di pistacchio. Ma quelle erano per i sofisticati. E i vini grignolino e barbaresco, prodotti senza usare le loro uve ma spremendo certe vescicole contenenti metacrilati anionici solubili, reperibili anche nel colorificio sottocasa. Mio cugino aveva messo in piedi un gran commercio di galline di plastica, incellofanate con un rametto di rosmarino o salvia. Un successo che descriveva la lungimiranza di mio cugino. Le massaie ne andavano pazze. Le galline di plastica non sporcavano e crescevano in fretta. E poi non bisognava spennarle, crescevano spennate. Dopo un po’, seguendo il loro orologio biologico programmato da mio cugino crepavano, pronte per essere confezionate. Non le aveva brevettate mio cugino e allora una multinazionale americana gli aveva scippato l’idea. Poi qualcuno ha cominciato ad avanzare dubbi, come spesso accade quando le cose han troppo successo. Protestavano, associazioni di naturalisti, ambientalisti, ecologisti, verdi, amanti della natura a ogni costo e vacanzieri che reclamavano per via della spazzatura di plastica che si accumulava sulle loro spiagge. Cosi la chiamavano, gli ingrati: spazzatura! Dicevano che la plastica inquinava! Che la plastica uccideva la vita nei mari. Ci furono proteste ovunque e anche scontri. Le multinazionali della plastica temevano per i loro profittii e cercavano di proteggerli foraggiando studi di ricercatori antiproibizionisti. Che non bisognava più mangiarla e nemmeno produrla! dicevano certi studi, sicuramente apocrifi di chi non voleva un mondo pacificato dalla plastica. Correva l’anno 2019 e alcuni degli argomenti che gli ecologisti portavano erano questi, qui di seguito elencati, ne abbiamo raccolto alcuni dagli archivi di quegli anni.

270 mila tonnellate, tra 6 mila e 51 miliardi di frammenti. Sono le stime sulla quantita di plastica presente negli oceani e nei mari del mondo, senza scordare laghi i fiumi. Dal Tirreno all’isola di Lombok la plastica incombe.
Le discariche di plastica
La seppia col preservativo
L’agonia delle tartarughe
Le immagini shock
La morte corre sulle spiagge e nei mari, stop alle plastiche monouso
L’orrore corre in rete
L’isola di plastica

Mi sono appena svegliato. Non era il 2250, anno in cui ogni produzione di plastiche è stata ridotta del 90%, ma il 2019. Vorrete scusarmi. L’incubo è tuttora in corso.

I miei insopprimibili indizi di scrittura