come e perché del tricolore?

LA NASCITA  D I UNA  BANDIERA      ORGOGLIO TRICOLORE
Avvincente più di un romanzo, drammatica e ricca di colpi di scena come la trama di un film. La storia della nascita della bandiera italiana riserva sorprese a non finire. Attraverso documenti inediti, Ito de Rolandis ne tratteggia in modo coinvolgente le origini.
I libri di Lorenzo Fornaca, l’amico editore scomparso recentemente, non passano inosservati. Ma ce ne sono alcuni che superano il segno risvegliando interessi nutriti solo dopo aver abbandonato i banchi di scuola, interessi che credevo sopiti e che invece vanno ben oltre una gratificante lettura.

È il caso di ORGOGLIO TRICOLORE di Ito De Rolandis. Cronaca, indagine, affresco storico, spy story: un melange appassionato e appassionante con un protagonista desueto: la nostra bandiera e la sua origine. Ito de Rolandis scava nelle vicende talvolta oscure, spesso tragiche, e tutte di grande rilievo storico e narrativo. Lo fa attraverso un racconto serrato, narrando l’atroce agonia di un suo lontano parente, quell’appassionato e romantico Giovan Battista De Rolandis nato a Castell’Alfero, nell’astigiano, cui rendiamo oggi onore. Incredibili figure a tutto tondo balzano dalle pagine, che si leggono tutte d’un fiato nell’insolita redazione a due colonne del libro. Personaggi come i due martiri, antesignani degli eroi del Risorgimento italiano, che nel lontano 1796, in quel di Bologna rispolverano qualche sciabola arrugginita e preparano munizioni raschiando il salnitro dai muri per confezionare qualche decina di munizioni, per l’assalto al palazzo pontificio. Ma quanti erano i rivoltosi? Dieci? Cento? Mille?
I bolognesi pronti ad abbattere o a correggere l’infame potere papale quanti erano? Sei, forse cinque, in tutto, secondo le testimonianze di un oste. Ma quei pochi diventarono, dopo la tragica fine dei due ragazzi e con l’appoggio dell’emissario di Napoleone Bonaparte, centinaia, migliaia, un’intera città che prende coscienza e si ribella, e così poco alla volta accade per l’intera penisola.

E tutto era partito da Giò De Rolandis, discendente da una nobile casata astigiana e da Luigi Zamboni figlio di un commerciante di stoffe bolognese, un seminarista e un borghese, dunque. Bravi ragazzi, focosi, romantici, appassionati rivoluzionari e infine eroi martiri. Il cui unico peccato accertato era quello di essere stati sprovveduti. Nessuno aveva infatti detto loro che una sollevazione di popolo non si effettua con tre sciabole, due forconi e tre archibugi asmatici. Il libro ci racconta a quali torture furono sottoposti i prigionieri nelle segrete del carcere bolognese, a quali ignominiose ingiurie si ricorreva per ordine di un autentico satana al servizio del papa Pio VI. Figura mortifera come quella luciferina di Angelo Filippo Pistrucci, Uditore del Santo Uffizio, persecutore dei due ragazzi, che solo a vederlo ritratto ti si raggela il sangue, o come quella dell’avvocato Antonio Aldini, strenuo difensore dei due prigionieri, divenuto poi primo ministro di Napoleone. E ancora: i panni dell’abate Bauset con cui entrò in contatto Giò de Rolandis chi celavano? E chi era davvero Antoine Christophe Saliceti, la cui tattica nell’operare è inserita nei più moderni trattati di spionaggio internazionale? Forse si trattava dello stesso abate Bauset? Ito de Rolandis centellina saggiamente le notizie componendo un avvincente intreccio di avvenimenti storicamente verificabili. Citando documenti spesso segreti e cronache del tempo. Ma oltre alla storia del tragico destino che aveva ghermito i due giovani eroi e alle tormentate vicissitudini all’origine del nostro vessillo nazionale, Ito de Rolandis ci parla di messaggi cifrati, delle condizioni di vita nella gaudente Bologna di fine ‘700, smentendo chi la voleva vedere solo gaudente.

Della scuola della Tortura fondata a Bologna dall’Inquisizione all’inizio del 1600, situata presso la torre degli Asinelli, di Castell’Alfero patria di Giò e dei suoi dintorni. E poi testimonianze dirette, documenti mai divulgati prima, e incredibili personaggi che paiono fasulli se non fossero davvero esistiti. Tutto qua? Niente affatto, Ito de Rolandis ci fa avvertire l’immanenza della bufera che si stava per abbattere sull’Italia, quell’uragano politico militare, amministrativo, che avrebbe sconvolto l’assetto politico della penisola, mandando in frantumi i decrepiti equilibri politici e territoriali. Lo spirito della rivoluzione francese stava infatti per varcare le Alpi illuminando le pulsioni confuse che animavano un numero crescente di italiani. giovane generale, smanioso di vittorie stava per avventurarsi sulle nostre regioni. Il suo nome? Napoleone Bonaparte. Ito de Rolandis, anche di questa vicenda ci racconta antefatti e particolari sconosciuti, che vanno a intrecciarsi con la tragica vicenda dei due giovani eroi.
Domanda: Perché libri di questo genere non sono adottati nelle nostre scuole medie come ausilio didattico? Non sarebbe il caso di cominciare a insegnare la storia così come si è davvero svolta? Cosa dobbiamo nascondere? Quella che sembra una minestra scondita e, ai più, indigesta (vedi la nostra storia raccontata dai sussidiari) diverrebbe un avvincente racconto, suffragato da fatti realmente accaduti e da personaggi davvero esistiti. Signor Ministro dell’Istruzione Le consigliamo questa lettura! Scriveva l’editore Lorenzo Fornaca: “Contattammo Ito De Rolandis, nipote diretto del martire, scrittore, saggista, storico, sicuri che nessun altro conoscesse la materia meglio di lui, grazie anche ai molti documenti giacenti in casa sua. In virtù della sua intensa attività giornalistica e radio televisiva, De Rolandis avrebbe saputo esporre episodi, date, fatti in modo narrativo accattivante, così come era già riuscito in tanti suoi libri di successo, tra gli altri “Maria Josè” “Enrico Berlinguer” “Giovanni XXIII” “Nel Nome di Asti” “Torino Dopoguerra” “Cara e Vecchia Torino” ed i diversi saggi sulla “Sindone”. Il nostro scopo è stato quello di comporre un’opera in grado di entrare in tutte le case, con un testo facile, un periodare semplice, piacevole nella lettura, e gradevole nell’iconografia. È emerso un libro impegnativo poiché ha per oggetto il simbolo massimo della nostra Nazione, quel Tricolore che ci esalta nei momenti di intensa commozione, ci fa fremere negli incontri sportivi quando scendono in campo i nostri campioni, e sia oggi, come ieri e come sarà domani, è emblema di inossidabile unità della nostra lunga Italia, capace di rinsaldare ovunque lo spirito di noi tutti, e di farci sentire fieri di essere italiani…” Un po’ di sana retorica non guasta. Grazie Lorens, anche se non potrai più leggere questo post.

Ernest si era infatuato del Vate?

La notizia l’ho ricavata da un ritaglio di giornale ingiallito, probabilmente del 1984; l’articolo è di Franceso La Valle e il giornale è IL GAZZETTINO. Se fai qualche ricerca scopri quello che ho scovato io e che merita nuova attenzione. Ve la riporto come l’ho letta, evitando di commentare.
Americani Sul Grappa – Documenti E Fotografie Inediti Della Croce Rossa Americana in Italia Nel 1918
GIOVANNI CECCHIN Published by Asolo 1984. 

Ancora un libro, memorie, due personaggi stratosferici, così lontani eppure così intimamente legati nell’ammirazione che uno provava per l’altro, non so se ricambiata, e poi nella disillusione per un sogno andato in frantumi. Ernest Hemingway e Gabriele D’annunzio. Ovvero la strana coppia. Scrive lo scrittore americano: “mentre fumavo, vagavo col pensiero al grande amatore che, esaurito l’amore per la donna, stava ora spremendo sul suo infuocato cranio le ultime gocce di amor patrio. Com’egli avesse messo da parte i decreti delle nazioni per fare il filibustiere. Questo eroe ormai vicino al disarmo. Un amante che era solo fallito in una ricerca, quella della morte in battaglia. Avrebbe egli incontrato la morte che cercava o sarebbe stato di nuovo beffato?

Pensavo all’ultima volta che l’avevo visto quando scese dalla carlinga dopo il raid della Serenissima su Vienna. Come, con quel suo aspetto di vecchio avvoltoio calvo, egli s’era sfilato il pugnale con l’impugnatura d’avorio che portava alla cintura sopra il maglione di aviatore e disse al pilota: “Tu hai perseguito il tuo obiettivo, io no!”, e s’incamminò via. Mentre pensavo a questo D’Annunzio e guardavo dalla battagliola, mi sentii premere contro le costole la punta di un pugnale e una voce mi sibilò “Che fiamme?” “Fiamme nere” ansimai contro il parapetto.” Benissimo Scribe Frog Eyes (scribacchino occhi di rana). Finalmente si salpa, mi disse in inglese “Voltati…Grifone sta pilotando fuori il piroscafo…stai andando a Fiume Scribe. abbiamo requisito la nave stanotte. “Diavolo d’un Picks! Ora siamo lontani dal Grappa!” dissi. ….” Ora tutti gli Arditi sono laggiù col Gabriele. Bisogna stare nel gruppo. Questa sì che è vita.”
firmato Ernest Hemingway.

Nell’articolo ci leggi anche: A Chicago Hemingway nel 1922 scriveva del poeta calvo: “Mezzo milione di cristi d’italiani morti- che spinte e stimoli per la sua carriera quel figlio di puttana” e l’articolo di Francesco La Valle conclude: In un personaggio della complessità di Hemingway, l’dentificazione ambivalente con D’Annunzio è sempre stata presente. Nel 1922 scriveva di lui nel contesto della famosa intervista a Mussolini: “D’Annunzio,… il vecchio calvo, forse un po’ matto, ma del tutto sincero e divinamente coraggioso fanfarone”E ancora nel 1950 in DI LA’ DAL FIUME E FRA GLI ALBERI: “il grande meraviglioso autore de IL NOTTURNO”. E fu proprio dal D’Annunzio musico della parola, oltre che “eroe” che Hemingway fu profondamente influenzato: dalla “magia” di una prosa fonica e ritmica, di semplicità e complessità evocative della musica. Tutte cose da approfondire, non ti pare?

Lasciami solo aggiungere una considerazione a margine, che ha il sapore dell’ovvio. Poteva forse continuare all’infinito quell’epoca di eroi, l’esaltazione del sangue bramoso di gloria e della mente che agognava nuove mete, emergenti come un fiume in piena nelle pagine del IL LIBRO ASCETICO DELLA GIOVINE ITALIA e nei discorsi esaltati con cui il Vate arringava i suoi legionari? Poteva andare oltre quell’avventura dello spirito, del sangue e delle armi, eredità ardenti ma scomode della prima guerra mondiale? Non poteva, è la risposta, infatti già si stava preparando il tempo nuovo, quello della normalità, della mediocrità dei nuovi soggetti politico sociali europei, anche se sarebbe occorsa una nuova guerra. L’eroismo, l’esaltazione, come l’amore e l’ardimento sono fratelli della giovinezza, quella che il vecchio avvoltoio calvo e un po’ matto, secondo Hemingway, ma sincero, non si rassegnava ad aver perduto; la normalità per lui era morte, ma non quella cercata in battaglia, bensì quella che esige oblio, silenzio, tacita rassegnazione, asservimento a nuove regole di vita per preparare una terra senza eroi, né proclami.