SOS fiumi

Tempo fa ho incontrato Paolo Novaresio nella sua casa afro-torinese; storico, scrittore, e amante dell’Africa, sua terra d’adozione, ci ha affidato alcuni articoli che vorrei farvi leggere. Se avete qualcosa da aggiungere su questo argomento che ci tocca tutti da vicino….siete i benvenuti

SOS fiumi. Non importa dove nascano: da un ghiacciaio come il Gange, da una palude come il Volga, dai fianchi di una montagna come il Reno o da un immenso lago, come il Nilo. Portatori di vita e civiltà, divini nel loro incessante fluire, i grandi fiumi sono sempre stati rispettati e venerati dall’uomo. Almeno in passato

Immagine 5Oggi gran parte dei fiumi sono sbarrati da dighe, inquinati, costretti in alvei artificiali: in un mondo sempre più affamato d’acqua e di energia, i fiumi stanno morendo, di un’agonia lenta ma inesorabile. La catastrofe appare imminente, i suoi effetti incontrollabili. La maggior parte dei fiumi del pianeta è a rischio di collasso. Dal disastro totale, dicono gli esperti, ci separano più o meno una quindicina d’anni. L’Asia, con Cina e India in testa, tira la volata verso il baratro. Il mitico Yangtze, il Fiume Azzurro, è ridotto ad una fogna a cielo aperto, una discarica dove si accumulano montagne di rifiuti tossici, scorie radioattive incluse. Il gemello Huanghe é spossato dai crescenti prelievi per l’irrigazione, tanto che nel 1998 il suo basso corso si è prosciugato per 250 giorni filati. Stesso problema affligge il sacro (e inquinatissimo) Gange in India e l’Indo in Pakistan, la cui sopravvivenza dipende dai ghiacciai dell’Himalaya, minacciati dal riscaldamento globale dovuto all’effetto serra. Futuro nero anche per il Mekong, depauperato dalla pesca intensiva e obiettivo di progetti ciclopici, che prevedono la realizzazione di oltre 200 nuovi sbarramenti e canali diversivi. Brutte notizie anche dall’Africa, soprattutto per il Nilo: è questione di pochi mesi, poi la gigantesca diga di Meroe, nella Nubia sudanese, sarà operativa. Costruita da tecnici cinesi, è destinata a fornire elettricità ai ricchi Paesi della penisola arabica. Conseguenze: ecosistema stravolto, trasferimento forzato di 60.000 persone, distruzione di un patrimonio archeologico di valore incommensurabile. Ma business is business, il resto conta poco. Eppure molti si chiedono se valeva la pena di imbrigliare il Paranà-Rio de la Plata nel mare interno formato dalla diga di Itaipu, 18 anni di lavori, 20 miliardi di dollari di spesa e drastiche alterazioni ambientali garantite. I danni provocati dallo sfruttamento dissennato dei fiumi sono evidenti anche nel sud-ovest degli Stati Uniti. Il possente Colorado, negli anni di persistente siccità, si inaridisce prima di raggiungere il mare. Causa: captazione selvaggia delle acque a fini agricoli. Effetti: pesci, piante e animali scomparsi; aumento della salinità dei terreni; riduzione della falda acquifera sotterranea. A questo delirio di morte Immagine 3non sfugge neppure la vecchia Europa: il bel Danubio blu è oggi sporco, iper-affollato e trasformato in un canale navigabile. Addio ai fiumi allora? Non ancora, forse: prima dell’Apocalisse qualcosa si può e si deve fare. Per esempio, ridurre di un decimo i prelievi per l’agricoltura significherebbe raddoppiare la disponibilità di acqua usata a fini domestici in tutto il mondo. Acqua che può essere riutilizzata, come in Israele, dove il 70% dei flussi di scarico cittadini (opportunamente depurati), sono destinati all’irrigazione dei campi. Ugualmente importante è ridurre le falle negli acquedotti: in Europa quasi un terzo dell’acqua va perduta durante il trasporto. Altro tasto dolente sono gli sprechi. Nei soli Stati Uniti, munire le abitazioni di sistemi idraulici moderni equivarrebbe a risparmiare 3 miliardi di litri di acqua al giorno, pressappoco la quantità fornita da tre super-dighe. La tecnologia può fare molto, ma per proteggere i nostri fiumi sono soprattutto necessarie leggi internazionali severe, che puniscano la deforestazione selvaggia, l’inquinamento e l’uso smodato delle risorse idriche. È possibile: sulla Loira si abbattono dighe, nel Tamigi e nel Reno sono tornati i salmoni, in Sud Africa e negli USA le politiche di river restoring (recupero degli ecosistemi fluviali degradati) sono già una realtà. Tutto è possibile. Ma bisogna agire in fretta. Prima che i grandi fiumi, arterie della Terra, si riducano ad una serie di immaginarie linee azzurre tracciate sulle carte geografiche.

di Paolo Novaresio