c’era l’America?

Si fa presto a dire: America. Ma quale America?! subito uno si chiede. Il gran continente suscita sentimenti contrastanti da subito, pro e contro, amore odio, senso di superiorità verso il paese fanciullo, o ammissione di inferiorità della vecchia Europa, eccetera. Non è questo il punto. Se penso però a quello che gli USA ci hanno dato in termini di scrittori, registi, attori, scienziati allora la testa mi gira e mi unisco al coro di chi ama e ammira quel Paese riconoscendone la superiorità e unicità.
Gente del calibro di Poe, Lovecraft, Steinbeck, London, Miller, e poi Marlon Brando, Bogart, Orson Welles e Papa Hemingway, meglio che non mi faccia prendere la mano, l’elenco è interminabilie. Tutta gente genuinamente ed esclusivamente americana che ha fornito interpretazioni e rappresentazioni inedite di sé e del proprio tempo. Per cui evviva l’America! Dicevo di big Papa Hemingway, ci ho messo due mesi a pensare a cosa scrivere perché i fiumi di inchiostro su di lui non si contano e poi su Orson Welles che merita un discorso a parte, trattandosi di genio allo stato puro.

Tra l’altro i due, erano amici, anche se Welles era estraneo al clan di Hemingway, come si evince da un video in cui il grande Orson parla del grande Ernst dicendo anche che lo scrittore era molto malato e che ha calcato inevitabilmente le orme del padre, morto suicida. Di Hemingway è stato detto sin troppo, e oggi si fatica ancora a distinguere la grandezza indubbia della sua scittura dal mito che ancora aleggia attorno a lui. Si sentiva spiato (ed era vera la cosa) dall’ FBI ed era arrivato a scambiare per agenti segreti due becchini che bevevano una bibita seduti al bar, dopo il lavoro. L’America lo utilizzava come informatore mentre lo sospettava di simpatie comuniste vista la sua amicizia con Castro. Insomma, incognite e guai hanno costellato la sua esistenza.

Quand’ero all’Havana mi sono imbattuto in alcune sue tracce e le ho seguite. Non è stato difficile. Floridita, Bodeguita del medio, la sua casa Finca Vigia, raggiunta inutilmente perché la casa era chiusa e così ho potuto solo sbirciare dalla finestra. Allora lavoravo per l’ente del turismo cubano come fotografo per cui mi hanno fatto scorrazzare in lungo e in largo per l’intera isola; l’autista mi ha condotto fino a Cojimar a incontrare Gregorio Fuentes ispiratore del VECCHIO E IL MARE. Cosa pensi che mi abbia detto il vecchio Gregorio che portava Hemingway a pescare marlini? “He was a great gay” e poi si è fermato coi ricordi come era solito fare con tutti quelli che lo visitavano, andando poi, come da copione, a prendere ‘l’album delle foto. Che Papa Hemingway avesse conosciuto, apprezzato e poi criticato il nostro Gabriele D’Annunzio e i suoi Arditi è cosa assodata, magari riprenderò l’argomento in altri post. Passo e chiudo.

Se vuoi leggere qualche mio scritto

c’erano le memorie di pietra?

L’epitaffio lo recita con fare sornione quel grandissimo e geniale personaggio, attore, sceneggiatore, produttore e regista americano, che va sotto il nome di Orson Welles. Solo l’America riesce “produrre” personaggi di questo calibro, al di fuori dell’ordinario, capaci comunque, come in questo caso, di interpretare e di vedere cose che noi europei sappiamo già, perché sono nel nostro DNA, ma cerchiamo di allontanare, cose inevitabilmente probabili e dolorose. L’epitaffio riguarda noi, la nostra storia, e chi ama la memoria europea fatta di testimonianze di pietra, mattone: sculture, mura di antiche città, ponti, edifici, statue, e più in generale, ogni manufatto che rechi impronta umana, destinato inevitabilmente a deperire e sparire per il logorio decretato dall’inquinamento, dall’oblio e dal tempo. La profezia dell’attore, tanto scontata quanto stupefacente, colpisce per l’immediatezza del recitativo, la scelta delle parole, l’atmosfera, dicendo molto sulla sensibilità di Orson Welles e la capacità di interpretazione dell’uomo medievale. Santi, prelati, imperatori, gente del popolo che guardano come stupefatti, diavoli tentatori, figure antropomorfe (gargoil) a monito e angeli soccorritori, protagonisti di atmosfere estinte e di tempi che non sono più da secoli. Personaggi assorti nella magica atmosfera che avvolge la cattedrale di Chartres questo il soggetto del video, nella foschia del tramonto. Le statue celebrano il trionfo di Dio, nella dignità dell’uomo, uno scultore che non ha firmato la sua opera, la gloria anonima di tutte le cose, questa ricca foresta di pietra, questo epico canto, questo grido interrogativo…e tutto questo un giorno sarà ridotto in polvere…questo e altro sentiamo dalla voce fascinosa di Orson Welles.

Leggi cosa dicono i commenti a questo breve ma coinvolgente video recitato dal grande attore regista:
HumanitarianEclectic 10 years ago Sublime! A poignant memento mori from Citzen Welles of the future extinct species known as humanity. Will the others ever understand what we and our spirit represented? Thanks for the clip… Suggest changing the title so that it attracts more viewers.
feraro23 12 years ago Great, definitely. One of the most “european” american ever.
Don Belindo
10 years ago On this monologue summarizes itself Welles´ artistic work, as one of the greatest artist in the 20th Century. One of the greatest moments on cinematography.

Sarah McFarlane 7 years agoThis monologue is equal parts poignant and frightening, all while capturing the unparalleled eloquent artistry of Mr. Welles. A great artist and thinker.

A proposito della cattedrale di Chartres nostra sorella Wikipedia riporta:

La cattedrale Notre-Dame di Chartres è il principale luogo di culto cattolico di Chartres, nel dipartimento dell’Eure-et-Loir, nel nordovest della Franciabasilica minore (dal 1908) e sede vescovile dell’omonima diocesi.[1] La figura più importante nella storia di questa diocesi fu il vescovo Fulbertoteologo scolastico  riconosciuto in tutta Europa, che cominciò nell’XI secolo la costruzione della cattedrale sull’area precedentemente occupata da un antico santuario pagano.

parlava la radio?

Ti ricordi della radio? Di quella scatola parlante, gracchiante, sonante, sibilante, recitante? E di quando tua madre alzava il volume, nettandosi prima le mani sul grembiule per non sporcarla? Era per non ungere la manopola, quando preparava il ragú la domenica mattina. Quella scatola accorciava le distanze, ti faceva ridere con le battute di Paolo Stoppa e Rina Morelli, ti riempiva d’immenso con la voce mitica di Caruso che si espandeva in salotto. Era oggetto prezioso, feticcio, monumento simbolico casalingo, ma di enorme portata storico sociale, sintomo di galoppanti sconvolgimenti. Dopo millenni di abissali silenzi, il mondo cominciò a parlare. E tu incominciasti ad ascoltare. Non più la carta e la penna ma la perpendicolarità di onde elettriche e magnetiche. Rappresentava una delle parti migliori di te, delle tue abitudini correnti, le tue fantasie, una propaggine dei tuoi sogni, desideri e delle preferenze espresse dalla scelta dei programmi. A decenni di distanza mai l’avresti immaginato.

C’è ancora, anche se ha abbassato il volume. Bastava girare la manopola o schiacciare il bottone e subito ti proclamavi studente, all’ascolto di un armata di insoliti professori. Cercare la frequenza giusta non era così immediato. Radiogiornali, previsioni del tempo, qualche raro dibattito, e tanta musica nostrana. Quella “straniera” l’avrebbe sdoganata nel 1967 Gianni Boncompagni col suo Bandiera Gialla. Quando eri triste, stanco, allegro o annoiato, oppure irritato o semplicemente in attesa della tua fidanzata, Ci pensava la radio a rettificare, a far più bella e sopportabile o desiderabile la tua giornata, l’ascoltavi in poltrona, sfogliando vecchi giornali, o, a occhi chiusi, poco importa, era sempre al tuo fianco. La tua fantasia dipingeva volti, ambienti, situazioni, mentre la radio di forniva la tela. Ascoltavi Iginio Bonazzi in ANIMA SOLA e la sua portentosa timbrica che ti faceva vibrare lo stomaco come la pelle di un tamburo o commuovere all’occorrenza. Come hai fatto a dimenticarti di Gualtiero Rizzi e dei suoi imperdibili radiodrammi, come L’UOMO DELLA LUCE ? E poi la radio “fisica”, costantemente rinnovato, l’oggetto che trasmetteva parole, musica e, con esse, sensazioni, emozioni, inviti ad approfondire e a capire. Simbolo di un’epoca e del volgere al termine di un’altra, dilagava. Dai radio grammofoni, ai mastodontici apparecchi troneggianti sui mobili della cucina. Radio per tutti i gusti e le borse, rustiche, eleganti, minimaliste, insostituibili, per tenerti compagnia mentre

aspettavi i ragazzi di ritorno dalla scuola o “lui” che rientrava stanco da lavoro. Radio di legno e stoffa, metallo e plastica, senza fili, con le batterie, portatili, con l’antenna telescopica regolabile per captare meglio Radio Molucche international, a doppio altoparlante per i truzzi in trasferta che se le caricavano in groppa e, a tutto volume, inquinavano i pomeriggi di domenica. Radio ricetrasmittenti o col lettore CD incorporato.
Gracchianti radioline formato saponetta, tascabili e fuori moda anche loro, introvabili radio d’epoca, stilose, e sofisticate riceventi due milioni di canali per sintonizzarti sulle stazioni di Honolulu e Vladivostock, radio per veri intenditori. Oppure radio esangui come ostie, capaci di captare solo l’emittente della tua parrocchia. E poi c’era lui, il cubo Brionvega,

Oggetto di raffinato design e grande funzionalità e potenza, che si apriva come un melone in due metà. La radio, tornando al suo significato di funzione e servizio sociale e di acculturazione delle masse possedeva e possiede tuttora un potenziale enorme, seppure volutamente trascurato: può aiutare a fare cultura. Solletica la tua tanta o poca fantasia. Ti trasporta in giro per il mondo attraverso epoche e personaggi. Suggerendoti soprattutto che in qualsiasi istante puoi approfondire temi e soggetti appena goduti. Gli adattamenti radiofonici ne erano esempio lampante. Più numerosi delle lenticchie a Natale, uno fra i molti: Mercante di Venezia nella magistrale interpretazione del mitico Tino Buazzelli. Nella radio prestavi tu il volto agli attori, sei tu che dipingevi i caratteri, le situazioni, secondo il tuo estro, voglia e attitudine. Ascoltando la radio ne diventavi protagonista, ispirato o semplice spettatore. E oggi? Nel nuovo mondo iper connesso, c’è lo schermo avvelenante. In un attimo sei dentro, devi ubbidire alle sue regole, agli automatismi, per non uscirne più. Sei iper connesso anche senza bisogno. Noi che consideriamo l’obsoleta mail l’ultima frontiera della comunicazione fra umani applaudiamo alla radio. Sangue di troglodita scorre in me, lo ammetto, e una vena di orgoglio malcelato nel non sapere e voler frequentare il mondo della odierna iper comunicazione fra umani mi esclude dal futuro. Ma quanto futuro c’è nel passato? Non ero ancora nato quando Orson Welles faceva venire l’orticaria all’America col suo “The War of the Worlds” radio drama. Era bastata la prima puntata della trasmissione radiofonica a scatenare il panico. Potenza dell’etere. E a scatenare fragorosi dibattiti sul ruolo dei mass media. A noi, che siamo appassionati di letteratura, epica, storia e poesia, teatro e cinema, e che ci piace romperci il capo su testi di ogni sorta, ci piace ricordare un maestro indiscusso dell’etere, il grande Arnoldo Foà che recita il CANTICO DELLE CREATURE. Viva la RADIO, ….di una volta.

Se vuoi leggere qualcosa che ho scritto io

c’era la ricotta di Pasolini e di Orson Welles?

Pingue, sornione, ironico e un po’ spaesato, il primo. Scavato, polemico, irriverente e scandaloso il secondo. Orson Welles, Pier Paolo Pasolini e un terzo incomodo, sorta di seminarista, cameriere giornalista. Il mitico Orson Welles spaparanzato su una seggiola da regista si farà intervistare da lui nella pausa di lavorazione di un film e poi leggerà un brano di Pasolini da Mamma Roma. Era stato ingaggiato da Pasolini stesso per girare il medio metraggio del 1962. La ricotta ci ha fatto venire i brividi. I due grandi artisti anticipano di qualche decennio lo sfacelo, già allora in fase avanzata del desolante panorama socioculturale italiano. Avevano visto bene i due, profetizzando il degrado progressivo, veloce e inarrestabile della nostra società. Pasolini l’eretico, il grillo parlante, l’interprete mal visto dal PCI del sottoproletariato. Pasolini che condanna fascisti, critica comunisti e studenti che giocavano a fare la rivoluzione sulle barricate.

Pasolini che attacca la stupidità e l’ignoranza e che rimane inascoltato, che diventa voce e coscienza scomode di un cieco malessere socioculturale. Pasolini che vede nella televisione uno strumento di devastante sopraffazione psichica e di omologazione culturale. La vera arma del nuovo potere è subdola e plasmerà intere generazioni, dispensando illusioni, banalità e narcosi. Riuscirà la nuova politica dove il fascismo aveva fallito? Certo che ci riuscirà. I risultati sono sotto gli occhi di tutti e si chiamano in primis perdita della propria identità e delle proprie origini, massificazione, rescissione di ogni legame col proprio passato. Una mutazione genetica rapida e incosciente che conduce rapidamente al nulla…governabile. Il nulla e sempre facilmente governabile. Ogni eredità culturale sarà spezzata e alla fine bandita e ci si occuperà di immigrazione spacciandola per l’unico vero problema di inizio millennio. E Orson Welles che c’entra? Il mitico Othello, regista di sé stesso in quella memorabile interpretazione, insulta la borghesia italiana che definisce ignorante, si scaglia contro i media e contro i loro padroni (ricordate Citizen Kane?) Legge un brano di Mamma Roma e ti fa venire la pelle d’oca, considerata la diabolica attualità di quel testo. (Anche se Il divo statunitense, quando gli venne proposta la parte, ammise di ignorare chi fosse Pasolini e venne convinto solamente dal cachè vertiginoso previsto.)
Tra i due nacque un curioso rapporto, che le fotografie documentano in modo unico. “Che cosa vuole esprimere con questa sua nuova opera?” Pasolini farà dire a Orson Welles: “Il mio intimo, profondo, arcaico cattolicesimo.” “Che cosa ne pensa della società italiana?”  “Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa.” “Che cosa ne pensa della morte?” “Come marxista è un fatto che non prendo in considerazione”.
Ci chiediamo che cosa avesse realmente compreso Orson Welles di quelle battute. Il regista Orson Welles, dopo aver letto una poesia di Pasolini (“Io sono una forza del passato…), tenendo tra le mani il libro Mamma Roma, dice infine al giornalista (mentre quest’ultimo idiotamente ride): “Lei non ha capito niente perché lei è un uomo medio: un uomo medio è un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, razzista, schiavista, qualunquista. Lei non esiste… Il capitale non considera esistente la manodopera se non quando serve la produzione… e il produttore del mio film è anche il padrone del suo giornale… Addio.”

In un breve scritto del 1961, infine, Pasolini così si espresse:  “Nulla muore mai in una vita. Tutto sopravvive. Noi, insieme, viviamo e sopravviviamo. Così anche ogni cultura è sempre intessuta di sopravvivenze. Nel caso che stiamo ora esaminando [La ricotta] ciò che sopravvive sono quei famosi duemila anni di “imitatio Christi”, quell’irrazionalismo religioso. Non hanno più senso, appartengono a un altro mondo, negato, rifiutato, superato: eppure sopravvivono. Sono elementi storicamente morti ma umanamente vivi che ci compongono. Mi sembra che sia ingenuo, superficiale, fazioso negarne o ignorarne l’esistenza. Io, per me, sono anticlericale (non ho mica paura a dirlo!), ma so che in me ci sono duemila anni di Cristianesimo: io coi miei avi ho costruito le chiese romaniche, e poi le chiese gotiche, e poi le chiese barocche: esse sono il mio patrimonio, nel contenuto e nello stile. Sarei folle se negassi tale forza potente che è in me: se lasciassi ai preti il monopolio del Bene.
Citazioni tratte da Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte violenta. E oggi? Né destra, o sinistra, o borghesia, o pale d’altare, e nemmeno poteri forti camuffati o seminaristi detentori del monopolio del Bene. Politica, pubblicità, spazzatura, ignoranza, e arroganza vanno a braccetto.  Politici e detentori di potentati economico finanziari hanno il volto opaco che ci propina la TV di stato, asservita al girotondo della maggioranza di turno, schiava di sé stessa nell’ammansire le masse, nell’occultare i nostri miti, le nostre leggende, il nobile passato che ci accomuna. Politici, corruttori e corrotti, veline, nottambuli e balordi danarosi in compagnia di mammelle, deretani, sorrisi, schiume da barba, libri rivelazione fasulli scritti da veline, calciatori e presentatrici televisive, collutori e medicinali per defecare meglio. E gli intellettuali? E i registi? E i poeti? e i grandi artisti come Welles e Pasolini? Speriamo solo che nessuno si azzardi ad alzare la mano dicendo: Presente. Io ci sono. Il nulla e il buio dell’intelligenza esigono un minimo di ritegno. Nel buio stiamo brancolando. La loro morte chiede rispetto. Comunque, se c’è qualcuno che ha da dire qualcosa in merito o da protestare batta un colpo.