Andrea Mantegna, Hans Holbein il giovane e il Cristo morto. Stesso soggetto, stesso doloroso stupore, ma differenti emozioni e significati
I corpi giacciono sulla fredda lastra di marmo, privi di vita e provocano sentimenti assai diversi. L’angolo di ripresa prospettica del Cristo di Mantegna è un’idea geniale e rivoluzionaria. La figura appare, infatti drammaticamente compressa, come da una forza immanente. Le dolenti piangono, ma non c’è la disperazione ieratica delle figure nella Pietà di Enguerrand Quarton. I piedi sono quelli di un contadino, grossi, con le dita gonfie. La carne trafitta dei piedi e delle mani acuisce il dolore, la drammatica scena dell’eterno misfatto. Sembra quasi che la vita sia fuoriuscita da quei fori. La vita non c’è più, la morte non ancora. E la mano sinistra del Cristo, col mignolo appoggiato al marmo, sembra doversi levare da un istante all’altro. Un corpo morto che emana tuttavia ancora vigore. Le carni martoriate, giacciono sotto il lenzuolo sacro che copre pube e gambe. Il torso scoperto, scolpito dalla luce. La barba ispida, l’espressione di dolore fisico che indugia diventa un dolore
che si trasmette. Quel Cristo morto non è ancora definitivamente cadavere, un morto ancora capace di sofferenze e di trasmettere dolore, angoscia e rimpianto. Non è così per il Cristo di Holbein.
La sua figura è compressa da uno spazio angusto che angoscia e il corpo appare in attesa di sepoltura. Quello del Mantegna vive ancora nella morte. Il Cristo di Holbein è solo cadavere. La morte ha preso il sopravvento e inizia il suo orrido lavoro di disfacimento. La precisione anatomica della raffigurazione è insultante, terrificante. Questo Cristo non consola più e offre una visione sconvolgente: quella di un corpo che inizia a tumefarsi. Partendo dall’avambraccio già livido. Non vorresti vederlo così, non vorresti vedere quegli occhi perduti, la smorfia ghignante che non è più di solo dolore, ma di smarrimento totale, disumano, assolutamente non divino. Il Cristo di Holbein ci ha davvero abbandonato. Quello del Mantegna no, apparendo nel momento successivo di un’estenuante agonia. Quello di Holbein interpreta i fermenti e le tensioni religiose che tormentavano il Nord Europa nella prima parte del sedicesimo secolo. Una visione macabra che non concede consolazione né speranza. Il Cristo ha abbandonato l’uomo ed è stato a sua volta abbandonato: non cè nessuna figura attorno a lui. Il Cristo è diventato cadavere nell’obitorio. Da duemila anni la passione del Cristo riemerge dalla carne che ha cessato di vivere, per annullarsi e ritornare potente, intatta, a riproporre quel mistero, quell’angoscia infinita, con domande che lacerano e alle quali noi moderni, dopo la dissacrante iconoclastia di Friedrich Wilhelm Nietzsche ci siamo disabituati; è nell’uomo stesso, nel parente, nel padre, nell’amico che muore e diventa cadavere che il mistero della carne e dello spirito incarnato si ripresenta, emozionante, tormentoso. Parte di noi. Per chi vuol crederci.
in memoria di mio padre Aldo