c’erano le case editrici?

Lo sai che a poco apoco si son persi per strada per poi estinguersi? Ma come chi? Gli editori! Sai cosa scrive la Treccani? Questo: editóre s. m. (f. –trice) [dal lat. edĭtor –oris «chi dà fuori, chi pubblica, chi organizza», der. di edĕre; v. edito]. – 1. Chi fa stampare (o, prima dell’invenzione della stampa, chi faceva trascrivere) e pubblicare, del tutto o in parte a proprie spese, opere altrui, libri, musica, riviste, ecc. curandone la distribuzione e riservandosi, in genere, i diritti di esclusiva (v. copyright): l’edi un vocabolariodi una collana di classiciSocietà italiana degli autori ed editori (in sigla: SIAE).  Finito! Stop! Trovane uno se ci riesci! Te pensi che io sia fanatico del passato, ma non è mica vero, sai. E che non sappia apprezzare ciò che il nuovo reca con sé. Sei in errore. Prendiamo per esempio, quello che ha più coinvolto e condizionato la nostra esistenza in questi ultimi vent’anni: il web. La ragnatela che, volenti o nolenti, si è insediata nel nostro lavoro, in casa, in vacanza e nelle nostre abitudini quotidiane, mutandole radicalmente. Del web possiamo parlare fino alla nausea, di vantaggi, innegabili benefici, assuefazioni, e aspetti decisamente deleteri. Io del web ne considererò una fettina, solo un pezzetto, ma per te che scrivi libri, determinante, perché, se non lo sapete ancora, anch’io, come te, scrivo libri. Attenti all’errore: non ho detto che sono uno scrittore, ma solo che scrivo libri. Meglio chiarirsi da subito!
Quindi i soggetti del presente post saranno: libri, editori, Amazon e il sottoscritto, in rappresentanza di tutti coloro che pensano (una volta lo pensavo anch’io di me) di essere geni incompresi della scrittura. Andiamo al sodo: qualcuno si offenderà, ma devo correre il richio. E dunque: da anni non esistono più editori veraci ma solo surrogati, deficienti di individui che leggono un manoscritto, lo apprezzano, lo segnalano e poi decidono di investire sull’opera (proprio quello che Treccani riporta) per farla conoscere. Dal Settecento sino a venti anni fa era prassi corrente (salvo eccezioni, perché il bamba di autore che sborsa quattrini per vedersi pubblicato c’era anche allora…come ora, e fra questi nomi illustri). Poi cosa è successo? Hanno gettato la spugna, gli editori, rinunciando al faticoso e improbo lavoro di scovare talenti. Si sono fatti abbagliare, son venuti meno al loro compito, non sono più l’altra gamba dell’autore, non diffondono più idee e cultura. Comprano titoli che son sicuri di rivenedere in patria, diritti di opere che hanno già venduto all’estero, vanno a farsi un giro alla fiera di Francoforte e via. Ovvero il marketing editoriale ha preso il sopravvento, eludendo l’editor superstite. Chi sei? Nessuno. Chi ti conosce? Nessuno. Come ti chiami? Nesuno. Dove lavori? Da nessuna parte. Hai già pubblicato prima? No. Allora il tuo lavoro, seppur pregevole e degno di lode, non possiamo pubblicarlo perché non rientra nei nostri programmi editoriali. Te la ricordi questa frase, vero? Alzi la mano quanti di voi hanno ricevuto uno scritto del genere. E chi scopre allora Marcel Proust, Louis-Ferdinand Céline o Stephen Crane? E cosa pubblicano allora i moderni editori per fare cassa e tenere alti i profitti? Montagne di carta con cui intasano le librerie, con copertine da urlo, quelle sì, veri capolavori. E dentro cosa trovi? Capolavori inediti? No, prodotti che il marketing ha realizzato pensando di vendere (e spesso ci riesce) E altro? No, non ti basta la copertina?! Ovvero gli editori hanno rinunciato a fare il loro mestiere, il loro fiuto è svanito, la funzione di motore della cultura inceppata, si sono affidati ai maghi del marketing. Loro sanno come far vendere un titolo. Poi si sono, come dire? passami il termine, caro editore, che affolli ancora gli scaffali delle librerie: si sono abbassati di livello, chiedendo una partecipazione economica per stampare i tuoi lavori (e pare ci sia la fila di autori famelici pronti a sborsare pur di vederesi pubblicati). Anche i grandi nomi di editori? Sì, anche quelli.

Pensi che esageri? No, ho le prove. Al massimo non mettono il tuo libro in libreria per non compromettersi. Così possono dire che loro non c’entrano con la tua roba, non è nel loro catalogo, anche se ci hanno messo il loro nome sopra per farti contento, e prelevarti qualche euro, chiaro? Poi hanno creduto nella figura del ghost writer che, se poteva essere una curiosità un tempo, oggi fa male vedere quanti ce ne sono in giro, (lo confesso, ho peccato: anch’io faccio parte dell’elenco dei reprobi ghost writers). I quali scrivono per onorare presentatrici, danarosi, gente di spettacolo, uomini dello sport, politici, droghieri che vogliono scrivere la loro biografia. Ma fanno tutto badando solo a una cosa: contribuire a far fare cassa. Di editori meritevoli ed eroici che si sono venduti l’alloggio per continuare a lavorare ne conosco un paio. E Jack London, Robert Musil e August Strindberg chi li scopre? Acqua passata, siamo nel millennio successivo, adesso c’è il web, e dentro al web ci sta Amazon. Ovvero la nuova frontiera, ovvero il miraggio, la méta agognata, la conquista. Non sono ironico, bada bene. Il mare aperto si apre davanti alle tue aspirazioni, ce la puoi fare anche senza editori! Qualcuno ce l’ha fatta e può dirtelo. Punto e a capo. Cosa sta succedendo? La rivoluzione per ogni vero autore o che si ritiene tale. Cosa è cambiato? Tutto, salvo chi scrive e chi legge. Quelli sono rimasti uguali a sé stessi. La rivoluzione comporta pregi e difetti. Enormi i primi, grandissimi i secondi (ma non per te, almeno direttamente). La rete, in questo caso Amazon, di cui è protagonista assoluto ti consente l’avventura, ti fornisce i mezzi, ti consiglia e ammaestra e poi ti lascia solo, te e il web, te e i tuoi potenziali lettori, te e il mercato che può ignorarti o cominciare ad apprezzare il tuo stile, le tue idee, le tue trame: terrificante e oneroso in eguale misura, sei rimasto da solo, non ci sono paraventi, se ci credi devi andare fino in fondo, potresti anche farcela! Hai sconfitto gli editori che si sono sconfitti da soli, anni prima. Non solo. La tecnologia ti mette in contatto coi tuoi lettori, i quali ti scrivono! E ai quali puoi rispondere, se vuoi. A proposito, io ne ho circa sei, ai quali risponderò presto, mi manca sempre il tempo! Amazon è diventato editore, distributore, librario, fattorino e spedizioniere per consegnare le tue copie (eventuali) a chi le richiede. Amazon apre la porta all’ignoto, sta a guardare, impassibile se ce la fai o soccombi, prendere o lasciare. Amazon, ovvero l’editore galattico senza volto, suona la campana a morto per le case editrici agonizzanti. Dicevamo di aspetti negativi in questa faccenda. Li chiamerei effetti collaterali, ma da non trascurare per chi, come te e me, sta a cuore la cultura. Chi dice che quello che scrivi vale? Chi lo giudica? Chi trova del buono o del fasullo nelle tue opere? …Nessuno; chi scova i talenti di oggi e domani? Chi riesce a dire: ecco il nuovo Garcia Marquez? Nessuno. Perché di veri critici e di editor e di agenti col fiuto si è perso anche lo stampo. Chi scova i nuovi talenti, allora? Te bussi alla porta. Permesso? Posso entrare? Entri dentro la stanza e la stanza la scopri deserta. Nella stanza dell’editore il vuoto impera. Una cosa è certa, al tuo lettore non puoi mentire, non è sciocco, capisce se fai il furbo, perdonandoti anche errori veniali, ma solo se scrivi col cuore. Devi fidarti di lui e lui di te; sei rimasto solo, caro collega. Amazon e il tuo pubblico contano su di te, esigendo il meglio. Non puoi tradirli perché nessuno, a priori, dice che è meglio che cambi mestiere o che sei un nuovo William Faulkner o Ernest Hemingway. Buona fortuna, te lo meriti. Siamo sulla stessa barca io e te.

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posavi il pennino sulla carta?

Ti ricordi quando, mezzo secolo fa, le scrivevi lunghe lettere d’amore fino a farti indolenzire la mano? Carissima, ti penso sempre con affetto crescente, e non vedo l’ora di rivederti…Sceglievi un pennino nuovo, con la punta morbida. Così ti sembrava che il messaggio scorresse più fluido, e che le parole fossero più convincenti. Fantasie, certo, ma era l’impressione che contava. Quello che preferivi era fatto a forma di cuore, brunito, flessibile, scricchiolava sulla carta. Nella cartoleria di fronte alla scuola facevano bella mostra, tutti in fila, i pennini. Quello più flessibile, quello rigido, azzurrato addirittura, alcuni scolpiti, ma quelli erano da collezione.

Degni del negozio di un antiquario. Ce n’erano di super rigidi, d’acciaio. Tutti recavano un forellino per lasciare scendere l’inchiostro. E le boccette dell’inchiostro Pelikan, blu, nero, e perfino verde e rosso, e di altri colori, te le ricordi? Se eri diligente avevi sottomano la carta assorbente, per evitare irreparabili sbavature, quella bianca e spessa era la migliore. Comunque c’era sempre la gomma in tuo aiuto, ma si vedeva che avevi grattato. Attento a non grattare troppo, puoi fare un buco! e allora dovevi rifare tutto daccapo! La carta assottigliata avrebbe comunque denunciato il misfatto. Troppe cancellature non erano ammesse. Guardavi soddisfatto le tue dichiarazioni d’amore, mentre asciugavano lentamente fra le righe del foglio. Ti ricordi quando intingevi il pennino nelll’inchiostro? Ti macchiavi sempre l’anulare, sempre quello.

Ti ricordi quando arrivava la bidella col grembiule nero, che passava fra i banchi con l’ampolla dal beccuccio sottile e ricurvo, a riempire i calamai? Fermi e composti, se no succedeva il disastro e la bidella avrebbe versato l’inchiostro dove non doveva. Ci voleva perizia a versarlo, arrivata all’ultimo banco senza intoppi tirava un respiro di sollievo. Compiti, lettere, semplici biglietti di invito. Scrricch! faceva la punta di metallo sulla carta. A volte l’inchiostro stentava, il pennino era troppo nuovo. Ci mettevi del tuo a scrivere, era una attività più complessa delle apparenze, la tua calligrafia rifletteva il tuo umore, e se eri calmo o nervoso. Anni avevano impiegato i maestri a insegnarti come tenere la penna in mano. Tu, bambino, bambina, col colletto di plastica, bianco e rigido, o il fiocco e poi le palline che descrivevano la tua età. Ti ricordi quando rosicchiavi la punta dell’asticciola perché non ti veniva in mente subito quanto faceva la sottrazione: tredici meno sette. Quanto fa? Quanto fa? Ti ricordi quando capivi a colpo d’occhio chi ti stava scrivendo dalla calligrafia sulla busta? E di quando innestavi l’altro pennino d’acciao, più rigido di quelli bruniti, scivolava via sulla carta senza scricchiolii, era un pennino più “serio”, non c’era da scherzare con quello. Munito di stilo e rotolo di papiro, scolaro nell’antico Egitto e poi allievo nella scuola dei Greci e dei Romani, e infine amanuense, monaco benedettino, che, in bello stile, produceva capolavori miniati trascrivendo preziosi manoscritti del passato. Caro amico ti scrivo come recita Lucio Dalla nella sua bella canzone. Quanti proclami d’amore, e laconici addii e inviti imploranti, scritti col pennino intinto nell’inchiostro. Non c’era altro modo di comunicare, a parte la macchina da scrivere, ma quel modernissimo aggeggio ancora in pochi se lo potevano permettere.

Ti avevano insegnato la scrittura, a tenere la penna in mano, e quello dovevi imparare, l’arte antica di comunicare attraverso segni, disegni, lettere, cifre e simboli. La scrittura diventava parte di te. Un’arte, una dedizione, una passione. Ma non dovevi raggiungere la perfezione e il fascino sprigionato da certi codici miniati. No, solo “belle lettere”: un piacere scriverle, un piacere leggerle. La bella calligrafia: La penna e la parola devono servire all’umanità per portare un raggio di luce più brillante alla coscienza umana per portare un rivolo di più al grande oceano delle idee. Sta scritto su un documento ingiallito del primo giugno 1922, in la Scuola di una volta. Bello, eh? Ma poi qualcosa è cambiato. Ti ricordi quando riempivi pagine intere di vocali e consonanti? Dovevi migliorare i tuoi geroglifici incomprensibili, non scrivere in gotico su carta pergamena. Se ti ci mettevi di impegno ce la potevi fare, prima di andare a giocare in cortile. Ti ricordi quanto andavi fiero della tua bravura? Avresti scritto giorno e notte e crampi addio! Era il tuo primo romanzo, e non potevi certo fermarti a pagina 52. Non era uno scherzo saper tenere la penna in mano. Eri responsabile e conoscevi tutto del tuo strumento per comunicare. Anche perché c’era davvero poco da sapere. Pennino, inchiostro, un po’ di pazienza e via! E oggi? Apparati, sistemi, aggeggi dalla tecnologia impenetrabile, che non recano la tua impronta, che non rivelano se quel giorno di maggio in cui ha scritto Ti amo! eri teso, affannato o triste perché  lei ti voleva lasciare. Nulla ti rammentano, alla memoria del tuo passato e non necessitano della tua perizia. Premi un tasto e via, tutti uguali, tutti analfabeti ad un tratto. Le macchine nulla sanno di te, e nulla tu sai di loro. Se non che devi aggiornare il programma proteggendolo dai virus se non vuoi vedere il tuo video riempirsi di scarafaggi vaganti. Ma devi farlo in fretta, sei a pagina 58 del tuo romanzo. Qualcuno ha deciso di farti dipendere dalla macchina! I brividi ti vengono se leggi certi articoli. Ma c’ è di peggio perché oltre a dipendere in toto dalla macchina, l’analfabetismo invece di diminuire cresce, sotto altre forme come nel caso dell’ analfabetismo funzionale. Ma risulta ancora peggiore, come si legge su uno sconsolante articolo di Repubblica; accade a proposito del nostro antico pennino intinto nell’inchiostro che: “….Lavoriamo pigiando tasti di un computer, scriviamo e-mail e non più lettere, usiamo carte di credito e sempre meno assegni, inviamo sms, la materialità e la fisicità della scrittura si sta dissolvendo nelle specchio liquido di un display, la complessità del pensiero è ridotta ad un copia-incolla, così, giorno dopo giorno, assistiamo ad un passaggio epocale, ad una regressione generazionale, ad una trasformazione del pensiero…. Ma dai!