sei stato a Kabul?

il classico furgone Wolkswagen che si incontrava su hippie trail

Se non proprio un fiume in piena certo andavano a ingrossare mille copiosi torrenti; qualcosa durato anni, proveniente da ogni parte d’Europa e dagli Stati Uniti. Partivano per raggiungere l’altrove. Una carovana variopinta di giovani e meno giovani, alla spicciolata o in gruppo. Un “carnevale” on the road alla cui radice c’erano insofferenza alle regole, protesta, desiderio di cultura (?) alternativa, semplice curiosità. Il fenomeno lo descrive bene HIPPIE TRAIL un blog esaustivo con dati alla mano, dal sapore vagamente nostalgico condotto da Luca Santinon. Quel poco che rimane di quella festosa (ma non sempre e non per tutti) kermesse è proprio solo un po’ di nostalgia e le macerie dell’utopia irrealizzata.

sulla via dell’Oriente…in comitiva

Quella migrazione conduceva verso luoghi mitici (o mitizzati?) verso il fascinoso Oriente che continua e continuerà a rimanere per la mente occidentale insondabile. Il blog Hippie trail cita Baudelaire, Hesse, Kerouac, Maugham e alcune delle loro opere pertinenti al viaggio, con quel magico procedere a braccio sulla strada nel cuore dell’avventura, nel grembo dell’Oriente, perseguendo il diverso dal consueto. Io citerei allargando la rosa dei padri “spirituali” illustri e inconsapevoli anche Goethe, Stendhal, Gozzano col suo magnetico Verso la cuna del mondo, e da ultimo l’esploratore Paolo Novaresio, tutti innamorati di quell’andare a zonzo non esclusivamente diretto verso Oriente. Pagode, moschee, caravanserraglio, brochette, yogurt di capra duri come il muro, infradito e poi barbe e capelli incolti oltre a poderose fumate di hashish e di altri cibi psichedelici. C’entravano Timothy Leary, i contestatori del sistema, gli antagonisti della guerra in Vietnam, gli insofferenti verso modi di vita codificati e frustranti. L’intero Occidente dei giovani di allora aspirava alla pace universale, a genuine quanto fallaci utopie, volenterosi nel dire NO  a ogni guerra e sopruso. Mettete dei fiori nei vostri cannoni, ricordate la canzonetta? Era quasi doveroso ribellarsi, battendo le strade che portavano a Istanbul, Kabul, Goa, Kathmandu. Genuino direi quel desiderio di altrove, tuttavia fallimentare, soprattutto se visto col senno di poi.  Lo smarrito viaggiatore raggiungeva anche Varanasi, alzi la mano chi c’è stato. …pochini a quanto pare. Il Manikarnika Ghat offre una visione per menti e stomaci forti.

sulla strada per Kabul con la Citroën verde acqua

Oppure i recessi di Kathmandu dove l’eco degli hippies che l’affollavano aleggiava ancora quando l’ho visitata, prima del rovinoso terremoto. A Kathmandu ho incontrato un superstite, uno degli ultimi hippies che vagava ancora col suo gilet variopinto e i pantaloni a sbuffo, un po’ spaesato e anche patetico perché i suoi simili avevano dato forfait da un pezzo. Nella locanda  di legno che li aveva ospitati aleggiava ancora l’acre odore stantio delle loro fumate e il menù, comprendente torte ai funghetti, ovviamente allucinogeni, era unto e bisunto. Ho dovuto spiegare a lungo al taverniere che non ero un hippie ritardatario. Cos’è rimasto del lungo periodo che rimava con utopia, giovinezza, contestazione globale e rifiuto del sistema di vivere tradizionale? Nulla, vi ripeto o se dispiace troppo la negazione, la nostalgia verso un’epoca irripetibile e ingenua. The way we were di un’intera generazione. La quale ha preferito cullarsi con quei trastulli on the road che battere altre strade meno eclatanti ma certo più impegnative e illuminanti. Dice bene il blog Hippie trail: quel sogno a occhi aperti e a gambe levate è finito bruscamente con la rivoluzione khomeinista e delittuosamente con l’abbattimento del gigantesco Buddha in pietra in Afghanistan. Perdita gravissima per tutte le culture e fedi.

la foto d’obbligo per non dimenticare

Se di rivoluzione ancora vogliamo parlare oggi occorre battere altre strade, indagare altri orizzonti, assai  meno rutilanti ma ugualmente affascinanti. Leggere, approfondire, confrontare e, solo eventualmente, infine scegliere. Di cosa parlo? Di pagine illuminanti e suggestive. Ci sono testi “proibiti” ancora oggi dalla presunta intellighenzia nostrana, testi autenticamente rivoluzionari che parlano di ultramondo, di forze nude, di sedi olimpiche, di uomini illuminati, e Tradizione (non quelle casalinga della nonna), di analisi e critiche all’attuale sistema occidentale capitalista e a quello comunista, opere che frugano nelle origini dell’Occidente e dell’Oriente mettendoli a confronto, individuando radici sorprendentemente comuni. Testi che parlano anche dei motivi del disagio e rifiuto giovanile di allora e della mancanza di valori di riferimento di quegli anni e di oggi. Li ha scritti il filosofo Julius Evola, un autore per certi versi profeta dell’oggi, ancora relegato ai margini del nostro sapere, perché ritenuto assai scomodo e censurabile per il suo passato. 
A proposito: ho parlato di hippie trail con cognizione di causa. “Scusi, lei dove va?” mi ha chiesto la portinaia di casa al mio arrivo quarantasei anni fa. Non mi aveva riconosciuto, avendo io perso sette chili in ventotto giorni. Ero appena rientrato da Kabul con Jimmy il malese sulla sua Citroen verde acqua e facevo fatica a reggermi in piedi.

sei andato in Tibet?

Ti ricordi quando portavano la parola e l’evangelo del Cristo in capo al mondo, patendo umiliazioni, difficoltà, soprusi? Non hanno avuto troppo successo visto che si sono trovati dinanzi la diffidenza e poi l’aperta ostilità dei religiosi di Lhasa. Ciò che colpisce in quest’autentico viaggio nel tempo è la franchezza, lo sguardo privo di supponenza, la modestia, lo spirito di osservazione del vero reporter,  la paziente quanto indefessa opera per tentare di diffondere il cattolicesimo, senza tuttavia tentare di imporlo o di prevaricare. Perché il libro VIAGGIO AL TIBET edito da IL POLIFILO è importante? (la casa editrice ha cessato l’attività, e i suoi libri sino distribuiti da Ca. Libri) Perché gli occhi del cappuccino padre Cassiano Beligatti sanno cogliere l’essenziale e ci portano alle soglie di un mondo in cui la spiritualità e la divinità ordinano e presiedono il mondo. Noi profani e improvvisati viaggiatori non possiamo che avvertire un’eco seppur consistente di quel mondo, ancora oggi peraltro molto sentito. Anche mysticreader si è recato in quei luoghi, ma non ha raggiunto la meta finale Lhasa.

Ci siamo andati assai più comodamente, atterrando sulla coda di un monsone, all’aeroporto di Katmandu. E non abbiamo animo di chiamare la nostra: avventura, se paragonata con quella di padre Beligatti. Trecento anni fa i monaci cappuccini, e oggi noi. Cos’è cambiato nella magica valle di Katmandu? Tutto e niente. L’uomo moderno ha il privilegio di entrare e uscire da quel mondo misterioso, una volta, narra la leggenda, abitato da giganteschi serpenti, in cui tutto parla di pace, armonia, tolleranza. L’atmosfera che immediatamente avvolge il viaggiatore è preludio a percorsi dello spirito che possono segnare l’esistenza o più semplicemente rendersi indimenticabili. quei luoghi, per ciò che abbiamo visto e avvertito, curiosando fra templi, statue di pietra e divinità di ogni sorta aleggia una spiritualità diffusa, percepibile, autentica e condivisa dalla gente. Il medioevo asiatico lì è ancora di casa. Massimo Cufino scrive al proposito:

Kathmandu – La Valle Senza Tempo

Girovagando tra villaggi rinchiusi da gigantesche montagne, dove religioni e costumi differenti convivono in una magica atmosfera di pace. In un piccolo cortile di una palazzina, decine di sguardi sono rivolte verso una finestra aperta al primo piano dell’edificio: scrutano attentamente cercando di catturare un qualsiasi movimento proveniente da una stanza che dà sul cortile stesso. Un silenzio quasi irreale avvolge il palazzo: tutti sono in attesa che una figura femminile mostri loro le proprie sembianze. Si tratta di una donna davvero particolare: infatti, questa attesa è rivolta addirittura verso una dea, la dea Kumari…

 Torniamo a VIAGGIO AL TIBET e al suo autore. Di padre Beligatti e della sua vita si hanno scarse notizie. Nacque e morì a Macerata (1708-1785)  e nel 1725 vestì l’abito religioso. Nel 1738 partì per la missione in Tibet e vi rimase due anni, quindi passò in Nepal e nel Bengala. Compose opere atte a istruire i missionari del Tibet e del Mogol. Operoso e modesto, così leggiamo, autore delle Memorie istoriche, di un Alphabetum Tibetanum e di due grammatiche, lingua indostana, l’altra dell’idioma sanscrito in caratteri malabarici, diverse altre sue opere si conservano nella Biblioteca Comunale di Macerata…. Autore di fondamentali opere storiche, etnografiche e linguistiche riguardanti usi e costumi e le religioni dei territori che lo videro missionario, opere solo in parte note, altre ancora inedite, delle quali alcune conservate nella Biblioteca comunale Mozzi Borgetti di Macerata.Dal 2001 gli è stata intitolata la Biblioteca storica Cassiano Beligatti dei frati Cappuccini di Macerata, specializzata nelle sezioni “Francescanesimo” e “Marche”, costituitasi sui resti della biblioteca dell’antico convento Cappuccino maceratese, organizzata proprio dal Beligatti.

Nell’indimenticabile reportage di VIAGGIO AL TIBET edito da IL POLIFILO riportiamo, senza commentarli, alcuni brani di quell’esperienza umana e spirituale unica e probabilmente irripetibile:
Pagina 18…Provvisti dell’occorrente i missionari partirono, e dopo un lungo e difficile viaggio arrivarono a Lhasa nel gennaio del 1741. Fu lor fatta buona accoglienza, specialmente dal re, e, dopo aver appresa la lingua del paese, si dettero a predicare, ma con frutti piuttosto scarsi. Ben presto poi i religiosi tibetani cominciarono a veder di malocchio il favore che i missionari godevano presso il re. Nacque fermento che andò man mano crescendo finché un bel giorno parecchie centinaia, di preti buddhisti, raccoltisi dai vari conventi di Lhasa e dei dintorni, invasero il palazzo reale, e rimproverarono al re il suo contegno. Questi, atterrito, temendo di fare la fine dei suoi tre predecessori, uccisi appunto per odio dei lama, dichiarò ipso facto i padri decaduti dalla sua grazia; impose loro di non predicare nel Tibet se non ai mercanti venuti di fuori…
pagina 23…I missionari …si posero in cammino alla spicciolata per raccogliersi poi tutti al porto di Lorient, che doveva essere il luogo d’imbarco…il viaggio attraverso la Francia. Compiuto sempre a piedi, fu assai molesto e malagevole; i frati patirono spesso la fame, e dovettero perlopiù adattarsi a dormire nelle stalle, perché ben di rado i conventi li ospitavano, ma con mille pretesti li mandavano altrove, ed essi erano sempre scherniti, insultati e fatti segno a mille scherzi grossolani…… 

A pagina 31…Traversato il fiume Bagmati entrarono in Nepal, e valicata un’alta montagna trovarono il fiume Kakokù, che dovettero passare a guado 9 volte, e viaggiando in mezzo a foreste di pini e d’ippocastani, dopo essere passati per il castello di Kuà (?) giunsero il 6 febbraio a Bahagdaon, capitale del regno del medesimo nome, dove da qualche tempo i cappuccini avevano un ospizio. Furono bene accolti dal re e trattati con somma famigliarità, e il Beligatti s’intrattiene a parlare delle prove ricevute della benevolenza regale…. 
pagina 33…La città di Bhagdaon numera 12.000 famiglie. Le genti sono cortesi e affabili: la religione dominante è quella dei brahmani…La città di Kathmandu conta 18.000 famiglie, e la città di Patan ne conta 24.000…. I buoni frati approfittandosi delle favorevoli disposizioni del re pensarono bene di far qualche cosa per la conversione di quelle genti, e si dettero a comporre e a tradurre un libro destinato all’uopo. Condotta a termine quest’opera, la regalarono al re, e questi la fece esaminare ai suoi brahmani, i quali dopo aver discusso ben bene finirono col dichiarare che non era il caso di abbandonare la religione dei maggiori. Allora il re, dice il Beligatti, per non far cader del tutto a vuoto le nostre fatiche, propose un espediente….A pagina 48 Il satu non è altro che la farina dell’orzo mondo alquanto abbrustolito prima di macinarlo nelle macchinette a mano. La carne è molto abbondante nel Tibet avendo quantità di montoni voltati, e macellando ancora lo yak, specie di bove selvatico; ma fuori dei benestanti non ne fanno grand’uso, per mancanza di legna per cuocerla, la qual mancanza sia stata la cagione dell’uso ch’anno gli tibetani di mangiare la carne cruda…
Pagina 73: Il giorno del Santo Natale, avemmo la consolazione di dire una messa per ciascuno…che ci recò singolare consolazione. Questo stesso giorno il padre prefetto volle regalarci una pozione, che sogliono fare i religiosi del Tibet nei tempi più freddi, qual pozione chiamano condè; è composta di decozione di tè, di birra, di zucchero, latte, e un poco di butirro insieme lungamente bollito; lo bevemmo più per compiacere il buon vecchio, che per inclinazione, ma sia lui che la più parte di noi, ne trovammo l’utile di scaricare gli nostri stomachi delle flemme ammassatevi nel viaggio. Dopo il mezzogiorno fummo rammaricati per un accidente che accorse. I mulattieri lasciarono alla campagna tutte le loro bestie, quali entrarono a pascolare in un prato riserbato, per lo che furono tutte confiscate….A pagina 76…Due giorni prima che noi arrivassimo al lago, la lamessa era partita per Lhasa. I tibetani hanno per questa lamessa la stessa venerazione che hanno per il Gran Lama, credendola informata da uno spirito di Cianciub….Quando esce va sempre sotto baldacchino e è preceduta da due incensieri fermati sopra due muli ne quali i religiosi bruciano continuamente profumi. Vive celibe facendo voto di castità; ciononostante circa 5 anni prima del nostro arrivo sortì da essa una lamessina, quale per quante diligenze che usarono, pure non poterono impedire che non si rendesse pubblica, notizia che raffreddò un poco la venerazione….