c’era l’uomo moderno? (1)

Se te vuoi sapere che fine ha fatto l’uomo moderno, quello che si affaccia al nuovo millenio, tanto per capirci, devi cercare in due direzioni. Verso quella occidentale europea, dove proprio in questo istante ci si chiede: adesso come la mettiamo? Ovvero rileggere VERSO DAMASCO di August Strindberg, dove l’uomo non sa, non decide, non ricorda, assiste al baratro entro cui si agita innegabilmente ogni rapporto precedente infranto. Il protagonista non sa, non ricorda, non decide, rinnega moglie, figlia (dalla quale verrà umiliato e deriso) , e poi tradizione, genitori, religione e futuro. Lo scrittore, protagonista di VERSO DAMASCO è uno che, letteralmente, ha perso la bussola, che si agita in un universo cimiteriale di simboli infranti, di certezze dismesse, soffoca in un ciarpame di valori che non dettano più regole ne’ comportamenti. Scrive l’editore ADELPHI al proposito: Le astrazioni più rarefatte e la più greve fanghiglia autobiografica tendono continuamente a mescolarsi: dietro trasparenti schermi allegorici è facile riconoscere in vari personaggi di Verso Damasco figure decisive per la vita di Strindberg, quali per esempio le due mogli abbandonate e, in altri, altrettanti Doppi dell’autore stesso, carichi tutti di quelle tensioni feroci, di quei rancori e livori che per la prima volta con lui apparivano bruscamente sulla scena. Il rapporto dilaniante con la donna, le oscillazioni fra la blasfemia e la fede, il sogno demiurgico dell’alchimista, la lotta accanita contro le Potenze e la loro persecuzione – Torniamo a noi. L’uomo in divenire risulta assente. Manca all’appello. Nascono Freud il quale si affannerà a frugare nell’inconscio, e LA COSCIENZA DI ZENO e IL GIOVANE TORLESS di Robert Musil, l’anticipatore di uomini deviati. Ovvero l’uomo dimissionario, l’antieroe, svuotato di ogni certezza, vittima di se stesso e di un vuoto interiore esteriore annichilente. È successo tutto in cinquant’anni, almeno per l’occidente europeo. Baudelaire blandisce e coltiva la malinconia, Leopardi, in anticipo sui tempi, si era smarrito davanti all’infinito e Foscolo ci diceva: vagar mi fai coi miei pensieri sull’orme che vanno al nulla eterno. Ma il deserto di Strindberg assume toni apocalittici, totalizzanti. Tornando al Leopardi, assalito da sovrumani silenzi e da mi sovvien l’eterno, già, mi chiedo, ma quale eterno?

Quello di Dio no, dal quale l’uomo sta prendendo le distanze. Cosa dice l’uomo medievale di stupefacente modernità? Impersonato dal cavaliere crociato che gioca a scacchi con la morte, di Ingmar Bergman nel suo SETTIMO SIGILLO, Due svedesi ce la dicono tutta sugli smarrimenti umani, che evidentemente non hanno mai fine. Sull’essere e il suo divenire. L’uomo moderno che avverte la prossimità di un futuro solerte e spaventosamente ignoto e che induce a pensare il giovane Torless mentre pensa di essere “perfettamente solo sotto quella volta immobile e muta, un punto minucolo e vivo, sotto un immenso cadavere trasparente”. Ma è solo un ragazzo chiuso in un collegio! L’uomo a cavallo fra Ottocento e Novecento è una creatura smarrita e confusa, oppresso da dilemmi pesanti come macigni. Mi viene in mente la tremenda utopia del figlio di una coppia di anziani genitori che lo piangeranno sulla sua tomba. «Un nichilista è un uomo che non si inchina dinnanzi a nessuna autorità, che non presta fede a nessun principio, da qualsiasi rispetto tale principio sia circondato.» Dritto dritto verso: l’insensatezza, l’assurdo, il vuoto che caratterizzano la condizione dell’uomo moderno, oltre che sulla «solitudine di fronte alla morte» in un mondo che è diventato completamente estraneo oppure ostile. L’esistenzialismo in tavola. Siamo già da venti anni nel nuovo millenio. Intanto il mondo va a fuoco due volte. Il gran Gabriele trionfa, si erge e cade, potevamo diventare come lui, come

Nietzsche o come Julius Evola: ultrauomini, ma qualcosa è andato storto e allora ecco il cavaliere crociato di Bergman che chiede: Dio, perché te ne stai zitto?! E quella figlia di buona donna della morte che gli risponde: Ma non ti basta il suo silenzio? No, non basta, ci vuole l’uomo nuovo ma questi latita. E sicuramente i due vecchi nei bidoni della spazzatura di FINALE DI PARTITA di Samuel Beckett non possono essere più eloquenti di come sono e nemmeno i personaggi dell’Ulisse di James Augustine Aloysius Joyce che, sotto certo aspetti, sono dei romantici decadenti nullafacenti, al termine del percorso, ai quali piacciono fegatini, salsicce, rognone e un po’ di sesso per tenere lo spirito e lo stomaco occupati.

Dopo gli spuntini consumati nell’Ulisse di Joyce e dopo la dannazione cosmica e senza alcuna speranza di FINALE DI PARTITA mi è venuta una gran fame, occorrerà un altro post per riprendere l’argomento. A dopo.

c’era l’uomo?

Il teatro ha la funzione di divulgare, esaltare e chiarire il patrimonio mitico e religioso, i grandi e cruciali momenti della storia patria, le irrisolte e piú inquietanti passioni dell’animo umano. Scrive Luigi Lunari nel maggio 1989, presentando le tragedie di Eschilo, edito da UNIVERSALE LETTERARIA SANSONI.
Da AGAMENNONE leggo le parole del soldato di vedetta che scruta l’arrivo di Agamennone:
Qui, sul tetto degli Atridi, accovacciato per terra e con la testa sollevata tra i gomiti a guisa di cane, ho imparato a conoscere le adunate notturne degli astri che brillano padroni luminosi del cielo, …E anche ora aspetto il segnale della fiaccola, il raggio del fuoco che rechi la notizia, che gridi la presa della cittá. Cosí vuole di una donna il maschio cuore impaziente. …Ben venga alla fine la liberazione da questa fatica, risplenda una volta fra le tenebre la buona novella del fuoco…Voglio danzare io stesso il proemio dell’inno…Possa io dunque, al suo ritorno, prendere e baciare la mano del mio signore….
Dal CORIFEO:
Il decimo anno è questo da quando il grande aversario di Priamo, Menelao re con lui Agamennone, duplice trono e duplice scettro avuti in onore da Zeus, saldo giogo di Atridi, da questa terra uno stuolo di mille navi argive levarono, esercito vendicatore. ….

E nel QUINTO EPISODIO della tragedia:
EGISTO Bada, anche domani io ti posso punire.
CORIFEO No, se un dio guidi a queste case Oreste.
EGISTO Si sa bene che le speranze sono il cibo degli esuli.
CORIFEO E tu fai pure, ingrassati di delitti, insudicia Giustizia, puoi farlo.
EGISTO Mi pagherai cara questa tua demenza, ricordati.
CORIFEO Ardito sei e tronfio come un gallo davanti alla gallina.
CLITENNESTRA Non badare a questi vani latrati. Io e tu, padroni ormai di questa reggia, ristabiliremo l’ordine come si deve.

da LE COEFORE
Zeu, Zeu, vieni a vedere quello che qui accade! Vedi la prole dell’aquila fatta priva del padre….

DOPO TREMILADUECENTOVENTI ANNI:

da VERSO DAMASCO
Lo sconosciuto dice: Ci sono momenti i cui mi sembra di portare in me il peccato e il dolore e il sudiciume e la vergogna del mondo intero, ore in cui credo che perfino la cattiva azione , perfino il delitto, siamo punizioni che ci vengono inflitte! Lo sai, sono stato malato, tempo fa avevo la febbre, e fra l’altro, fra le tante cose che mi succedevano, mi sognai una croce senza crocefisso. Quando interrogai un domenicano sul significato quello rispose: Tu non puoi credere che lui soffra per te e allora soffrici tu, per te!
LA SIGNORA dice: Ed è perció che le coscienze cominciano a farsi tanto pesanti quando non c’è nessuno che ci aiuti a sopportare.

Da FINALE DI PARTITA di Samuel Beckett dice HAAM, cieco e costretto sulla carrozzella: Un giorno sarai cieco. Come me. Sarai seduto in un qualche luogo, un piccolo pieno perduto nel vuoto, per sempre nel buio. Come me…Ho fatto male a sedermi, ma visto che mi sono seduto resteró seduto …Quando riaprirai gli occhi il muro non ci sará piú. Intorno a te ci sará il vuoto infinito, tutti i morti di tutti i tempi non basterebbero risuscitando, a colmarlo, e sarai come un sassolino in mezzo alla steppa….Ma riflettete, riflettete, ormai siete al mondo, non c’e piú rimedio….La fine è nel principio eppure, eppure si continua…piantare le unghie nelle crepe e trascinarmi avanti a forza di polsi. Sarebbe la fine e io mi chiederei che cosa mai l’ha fatta arrivare e io mi chiederei …perché ha tanto tardato. Se riesco a tacere, e a restare tranquillo, mi saró liberato del suono e del movimento

Sono passate alcune migliaia di anni da quando la sentinella sul monte scrutava l’oscuritá cercando un segnale che annunciasse il ritorno di Agamennone in patria. Quello che nel frattempo è successo sino ad oggi non si puó dire confortante. Perché? Ti ho fatto qualche esempio prendendo a prestito dal teatro tre giganti che mi servono nell’occasione: Eschilo, Strindberg e Beckett. Le loro opere mettono in scena l’uomo e le sue vicende e cosí facendo (qui il tempo gioca un ruolo fondamentale) qualcosa cambia dentro l’uomo, mentre le vicende, si puó dire rimangono uguali a se stesse, come l’aria che si respira. È l’uomo che è cambiato nel profondo. Dalla tragedia greca grondante sangue e destino, in AGAMENNONE, allo stupore per la disgregazione in essere e ancora in divenire di ogni relazione sociale, parentale, religiosa, in VERSO DAMASCO, sino alla méta ultima, ovvero la celebrazione e messa in scena della vuotezza dell’esistere con quella frase sintetica e senza speranza che la sottende: Siamo in vita. Ormai non c’ è piú rimedio.

in FINALE DI PARTITA. Cos’è accaduto? Tutto, ovvero l’impensabile: L’uomo si è squagliato. Non c’ è piú. Al suo posto ci sono due orride creature bianche e senza gambe, collocate in due bidoni della spazzatura, e due dialoganti che si scambiano parole senza senza senso, descrivendo il nulla e mettendo in scena la fine del significato stesso della parola, in FINALE DI PARTITA. Ovvero siamo partiti da gesta epiche, da conquiste di cittá, gesta titaniche e febbri eroiche, e da personaggi correlati con gli dei per finire allo sfacelo di relitti psico fisici, relegati in una stanza perché fuori non c’è piú nulla e il deserto incombe. Sentimenti forti e barbari hanno lasciato il passo alla dissoluzione di significato, relazione e dell’uomo stesso. La vedetta esulta perché il re sta tornando vittorioso. Dolore, gioia, tradimento, vendetta e omicidio si attestano in Eschilo: tinte forti dell’uomo che vive, dibattendosi fra amore, odio, delitto e vaticinio. Le tinte forti colorano un costante fiume di sangue e i personaggi rappresentano un mondo inevitabile, tuttavia coerente con la natura umana primeva piú autentica. Per migliaia di anni accade inevitabilmente. Cosí da far sperare a qualche speranza di miglioramento? Ti chiederai. Macché! Si è tentato, quello sí. Duemiladiciannove anni fa è stata messa una pezza per rattoppare l’esistenza dell’uomo con l’idea, il patimeno della croce e la redenzione. E il Dio d’amore ha tenuto banco assai bene, che la luce divina fosse bastante a rivelare veritá e sentieri da percorrere è stata fino a ieri una solida evidenza. Poi alcune cose son cambiate, l’idea di Dio si è suicidata. Dai sentimenti e dalle pulsioni di morte-vita sino all’uomo smarrito e in disarmo di Verso Damasco, e oltre, sino alla negazione di ogni speranza, sino alla negativitá assoluta in FINALE DI PARTITA, dove Dio non viene neppur preso in considerazione. La vedetta che deve annunciare l’arrivo di Agamennone scruta con ansia nel buio, essa stessa parte della natura dell’uomo di allora, in FINALE DI PARTITA nessuno fa parte di nulla, essendo il nulla sovrano, anche qui c’è qualcuno che scruta, come la vedetta, lo fa con un cannocchiale salendo su una scaletta e sa giá che dalla finestrella col suo cannocchiale, non scorgerá che il nulla, il deserto esteso fuori dalla stanza, non scorgerá nessun evento come l’arrivo del re ma il grigiore di una natura senza maree, senza vita…Non piú vita, né desiderio, ma l’orrido finale non sense che si trascina, in cui si è giá estinto l’uomo. E te mi vieni a raccontare l’ottimistica novella che il mondo è in costante progressivo miglioramento. Che bisogna darsi da fare e il…progresso, ossia il senso del nulla attuale, sará servito in tavola. C’è da mettere qualche puntino sulle vocali I, non ti pare? Occorre prendere fiato, non c’è piú sangue, ovvero nemmeno tragedia, (ci sarebbe almeno qualcosa con la tragedia.) Ormai siamo in vita, non c’è piú speranza. Il tragico leitmotiv incombe. Per una lettura approfondita di Beckett ti rimando ad Adorno, auguri se ci capisci qualcosa.

Il linguaggio nega se stesso e il parlarsi si rivela un inganno, perché gli individui non possono comunicare conversando, (la comunicazione annuncia che non è piú possibile alcuna comunicazione, scrive Paolo Bertinetti, introducendo l’opera. FINALE DI PARTITA. Fuori di qui è la morte dice Hamm, non ci sono piú maree, non ci sono piú onde, …tutto è zero. L’incubo vissuto dai personaggi: un banale quotidiano, ovvero il nostro mondo di sempre, quello in cui gli uomini sono condannati a vivere. Beckett pensa che il peccato sia quello di essere venuti al mondo e la cui vita di patimenti è espiazione, l’espiazione di tale colpa, improntata ad una negativitá assoluta…In un mondo preoccupato unicamente del denaro e del successo a qualunque costo, desideroso soltanto di essere confermato nelle proprie volgari ed egoistiche certezze, la negazione beckettiana ci costringe in qualche modo a ripartire da zero, a ripensare alla mancanza di senso- del mondo in cui viviamo alla luce della sua laica spiritualitá, continua Paolo Bertinetti. Fammi dire che FINALE DI PARTITA è una tragedia senza sangue in cui il senso impazzito ha dissolto ogni legame col presente e coi personaggi che brancolano nel buio. Un punto d’arrivo che parte da molto lontano, dalla vedetta in attesa del re Agamennone, e che giunge sino al presente, esausto e svuotato, sino ai due tragici pupazzi viventi e senza gambe, rinchiusi in bidoni della spazzatura. Ogni allusione ai vecchi di oggi, languenti nei cronicari è puramente casuale. O no?

I miei insopprimibili indizi di scrittura