Poe scriveva i suoi capolavori? (1)

Dovrò scusarmi con  Charles Baudelaire se, attingerò al suo saggio su Edgar Allan Poe, ma che io sappia non c’è niente di più acuto e partecipe  in circolazione che tratti dello scrittore americano che egli tanto apprezzava. Parlare di Edgar Allan Poe può sembrare ozioso, considerata la mole di articoli, saggi e analisi dedicati a lui e alla sua opera. Davvero c’è ancora da dire qualcosa su di lui? Proverò a spigolare in un campo di grano mietuto da molti e agguerriti per cercare qualcosa di inedito e tentare collegamenti. Scrive Baudelaire: “I personaggi di Poe o meglio il personaggio di Poe, l’uomo dalla sensibilità acuta, l’uomo dai nervi a pezzi, l’uomo che con volontà caparbia e paziente sfida le difficoltà,  l’uomo che fissa con uno sguardo gelido  come una spada  gli oggetti che si ingigantiscono man mano che egli lo osserva è Poe stesso. I personaggi femminili, luminosi e malati, che muoiono di strani mali  e parlano con voci musicali, sono ancora lui; o per lo meno con le loro strane aspirazioni, con la loro cultura, la loro inguaribile melanconia, partecipano intimamente dell’indole del loro creatore…” Riprendo l’idea aggiungendo: Poe non solo è quello che scrive Baudelaire ma qualcosa di più radicale: egli è anche paesaggio, è trapasso incessante fra vita e morte, nel senso che si può ritornare dalla morte come nel racconto LIGEIA; tra cadaveri lividi e prossini alla decomposizione descriti peraltro senza indugio o compiacimento, aggiungendo quindi credibilità all’orrido, ed è ambiente-simbolo di spazi interiori, in cui abbondano spessi drappi funerei e violacei, direi anche che Poe è la frotta di topi dalle labbra gelide che lo mordono e la stessa cricca di inquisitori che lo vuole morto, ne IL POZZO E IL PENDOLO, lo scrittore è identificabile in quella cella schifosa e viscida che modifica la sua geometria, ovvero la sua mente cangiante, nello stesso racconto, è poi l’assassino che sfonda la testa con un’ascia alla povera moglie derelitta e anche il gatto nero che trionfa di quel crimine ne IL GATTO NERO,

senza che ci sia una conseguente presa d’atto e di coscienza nel colpevole, una sua sia pur minima manifestazione di pentimento e disperazione o desiderio di redenzione per il misfatto, è poi anche Ligeia e lady Rowena Trevanion nell’orribile macabro riflusso morte vita di un cadavere e anche ne IL RITRATTO OVALE è la fanciulla di rara bellezza, gaia e leggiadra del dipinto, e anche il marito di lei, il pittore assassino, inconsapevole (?) quando dipingendola le toglie la vita. Oso dire che non c’è nulla di esterno a Poe ma di assolutamente e manifestamente interiore, intrinseco alla sua singolare natura. Personaggi, ambienti, animali non sono all’esterno del suo essere ma al suo interno, egli li vede non con gli occhi ma li percepisce con tutto se stesso, attraverso lo sguardo interiore, che non necessita di occhi per vedere, per questo egli non deve cercare, al massimo sognare ad occhi aperti, e aprire la porta agli ospiti che affollano la sua psiche. In questo non c’è invenzione nell’opera di Poe ma la mia eretica affermazione gli va a merito onorando il suo genio contenente mondi degenerescenti, il riferimento all’opera di Evola lo farò più oltre e in modo puntuale. Poe è l’invenzione di se stesso, o meglio la trasposizione analitico scientifica artistica del suo io. Tutto ciò traspare anche dal suo viso, che lascia perplessi denunciando complessità nel temperamento e personalità singolari. Ti fissa in modo indefinibile, fanciullesco eppure profondo, la faccia asimmetrica, un sopracciglio più basso dell’altro. I baffi disallineati. L’espressione assorta e depressa, come di chi ha in animo di chiedere conforto; è Il grande malinconico, alcolizzato per necessità, e anche qui Baudelaire ci viene in aiuto: “…..Il suo profilo forse non offriva una vista piacevole…aveva grandi occhi tetri e insieme luminosi, di un colore indefinibile e tenebroso che tirava al viola; il naso nobile e solido; la bocca sottile triste, anche se leggermente sorridente…l’espressione un po’ distratta con un impercettibile  velo di malinconia…” Io  aggiungo, col rispetto dovuto al genio, che non affiderei in custodia nemmeno temporanea a uno come lui, non dico un bambino, ma nemmeno un gatto.

Al pari di Vincent Van Gogh che tentava di esorcizzare i suoi demoni dipingendo soli e stelle interiori, Poe non ci prova nemmeno, accetta i suoi demoni, perché essi sono parte di lui, li subisce, li coltiva, ne illustra  la suggestione, il magnetismo, l’orrore; dà loro il benvenuto senza tentare tuttavia di scacciarli o dominarli come faceva Van Gogh. Sa che non ci sarebbe speranza. Non c’è tentativo di riscatto nei suoi personaggi, ma l’accettazione supina di una realtà ineludibile. Non riabilitazione, né happy end, per chi ha le stimmate del genio e del folle, né per lui né per i protagonisti dei suoi racconti. Sia lui, sia Vincent Van Gogh, sia Friedrich Nietzsche, con ovviamente diverse inclinazioni ed esiti camminano su  sentieri paralleli, diretti a una meta comune: l’orlo dell’abisso, lo scrutano, lo valutano, lo patiscono l’abisso e la gran voragine della consapevolezza non si sottrae alla loro spietata e lucida indagine; i tre sono accomunati da una fine miserevole e tragica che non mi pare frutto di coincidenza. Loro hanno visto e, “bruciati” dalla consapevolezza, pagheranno. I tre hanno sondato l’abisso esteriore e interiore e da esso sono stati inghiottiti. Poe sa di non potersi salvare, non desidera del resto la piatta normalità del vivere dei comuni mortali. Genio, dicevo, ed ecco a questo proposito un riferimento puntuale dello stesso Poe (da “Eleonora”, 1841): “…Discendo da una famiglia famosa per il vigore della fantasia e l’ardore della passione. Gli uomini mi hanno chiamato pazzo. Ma non è stato ancora risolto il dilemma se la pazzia sia o non sia l’intelligenza più eccelsa, se molto di quello che è glorioso, se tutto ciò che è profondo, non scaturisca dal male del pensiero, dagli stati della mente esaltata a spese dell’intelletto comune. Coloro che sognano ad occhi aperti sanno molte cose che sfuggono a quelli che sognano soltanto di notte. Nelle loro grigie visioni balugina nei loro occhi l’eternità, e tremano svegliandosi, al pensiero di essere stati sull’orlo del gran segreto…E senza bussola e senza timone, si addentrano nell’oceano immenso della “luce ineffabile”…”

I prossimi post saranno dedicati al signore delle tenebre, la sua testimonianza appare troppo importante