Abbiamo perso ogni traccia (non mi ricordo infatti dove si trovi questo capolavoro, probabilmente il frammento di un affresco) perciò vogliate scusare l’ignoranza
Ha gli occhi socchiusi, diretti verso il basso e pare che ti guardino. L’espressione rassegnata, dolente, ma composta. Il naso è lungo e stretto, la bocca non esprime alcun dolore, né tantomeno l’agonia della morte. Una sofferenza che assomiglia a un dono.
Cristo martire. L’artista ci tramanda quell’antica emozione intatta, mai sopita, quella tragedia immane mai dimenticata, il mistero assoluto che fa bene all’uomo moderno perché lo allontana dalla sua idea di insulsa onnipotenza, consegnandoci l’idea di un Dio vivente, simbolo, sofferente per noi, disponibile a farsi capire, osservare, ed eventualmente amare. Fenomeno divino e umano insieme. Un Cristo morente o che è già morto, che dona se stesso nel valore assoluto del sacrificio. Ancora. Presente.
Affiora su un pezzo di intonaco, con le braccia esili, le stelline sbiadite del cielo, i raggi opachi della sua prima corona di gloria e della seconda corona di spine.
È come se riposasse dopo tanto patimento, ineffabile, come se dopo tanta sofferenza ci offrisse la sua umiltà, il suo rassegnato dolore. Non ti stanchi di frugare la sua malinconia, le linee gentili eppure severe del volto. Il capo dimesso che scivola verso l’ascella. Il petto magro e le braccia tese verso l’atrocità dei chiodi. Lo guardo ogni giorno, è sulla scrivania del computer.
Aspetto una parola da padre Angelo, nostro amico, su questa figura meravigliosa e ineffabile.
padre Angelo Zelio Belloni
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