Paolo Novaresio è amico mio di lunga data, anche se non ho avuto modo di frequentarlo un granché. In ogni modo è stato compagno di avventura in un viaggio che ancora ricordo: alle sorgenti del Nilo, e poi costeggiando il grande fiume sino a Kartoum in Sudan. Roba mica da ridere. Qui ci sono dei suoi scritti che ci dicono qualcosa di importante sull’Africa
Estratto dei testi e delle immagini dal volume: UN IMMENSO OCEANO DI SABBIA – PAESAGGIO E AMBIENTE
di Paolo Novaresio e Gianni Guadalupi e da altri libri dello stesso autore
Un’immensa distesa di sabbie, pietraie, pianure desolate in cui lo sguardo si consuma nel nulla. Temperature impietose, che balzano dai cinquanta gradi d’estate ai meno dieci d’inverno. Una terra tormentata, battuta da venti implacabili e tempeste di polvere in grado di inghiottire interi eserciti. Montagne misteriose e nude, ruderi di catastrofi geologiche anteriori alla memoria dell’uomo.
Un deserto, il re dei deserti, che fino a poche migliaia di anni fa era una prateria, irrigata da fiumi possenti e laghi grandi quanto il Mar Caspio. E’ il Sahara, la negazione della vita, dove la pioggia non cade mai e l’acqua é un miraggio riflesso dal cielo. Luogo di paradossi e miracoli, di animali che hanno imparato a non bere, piante che crescono e muoiono nell’arco di una giornata, pesci nel sottosuolo, lucertole che nuotano nella sabbia. Un paradiso perduto, dove la sopravvivenza é un’arte, una danza in punta di piedi….
UN CUORE ARIDO (Clima)
…L’aspetto attuale del Sahara, la sua iperaridità, estesa ad un territorio così smisurato, ha contribuito in modo notevole alla persistenza dell’idea che la regione sia sempre stata un deserto. Fino alle soglie degli anni Cinquanta, le ricerche sui paleoclimi sahariani erano frammentarie e disorganizzate. Forse non è un caso, che le prime ipotesi di un Sahara umido e irrigato, siano state formulate da scrittori di fantascienza e non da scienziati. Oggi, nonostante permangano molti interrogativi, lo stato delle conoscenze sul remoto passato dell’Africa occidentale é tale da permettere una ricostruzione degli eventi abbastanza prossima alla realtà. Le analisi stratigrafiche e palinologiche (palinologia è la scienza che studia i pollini fossili) indicano che il Sahara ha conosciuto, nelle diverse ere geologiche, un alternarsi continuo di periodi umidi e aridi, nutrito di drastici cambiamenti climatici, dovuti a diversi fattori: deriva dei continenti, avanzare e regredire delle glaciazioni, trasgressioni marine, modificazioni della circolazione nell’atmosfera. Il cosiddetto cimitero dei dinosauri di Gadafouà, in Niger, mostra quanto possano essere ampie le oscillazioni di questo pendolo (anche su periodi assai più brevi): dove oggi si estende il Teneré, 200 milioni di anni fa prosperavano foreste pluviali, un mondo lussureggiante solcato da ampi fiumi e punteggiato da pozze di acqua dolce. …Oggi Gadafoua é una delle zone più squallide del Sahara e le ossa dei grandi rettili biancheggiano in una desolazione minerale. …..
…lharmattan é il vento che fa diventare pazzi, un alito rovente che secca la gola e intorbidisce lo sguardo, come una maledizione biblica. In Mauritania, il vento può imperversare per oltre duecento giorni l’anno: non per nulla il nome della capitale, Nouakchott, significa Buco del Vento. A volte, soprattutto nella tarda primavera, il Sahara é sconvolto da vere e proprie tempeste di sabbia, che possono infuriare con una potenza inaudita. Allora il sole scompare, nascosto da una cortina rossastra, la visibilità si riduce a pochi metri. La vita si ferma, come in preda ad un’angosciosa paralisi. I nomadi temono queste bufere, e i racconti attorno ai fuochi degli accampamenti ripetono una litania di episodi terrificanti: carovane perdute, ecatombe di animali, tende spazzate via e sommerse dalla sabbia con tutti gli occupanti. A sentire Erodoto, nel 525 a.C., il re persiano Cambise condusse le sue armate, forti di migliaia di uomini, alla conquista della leggendaria oasi di Siwa, nel deserto libico. A mezza strada la spedizione fu sorpresa da una tempesta di sabbia di estrema violenza: quando tornò il sereno, l’intero esercito era scomparso, inghiottito per sempre dal Sahara. Incredibile forse, ma non impossibile. Negli anni Quaranta, una bufera di straordinaria intensità investì la zona di El Oued, nel nord dell’Algeria, sterminando oltre 4000 animali. Le litometeore trasportate dal vento possono arrivare molto lontano, fino all’Europa meridionale e oltre. Sono stati registrati casi in cui le nubi di polvere, provenienti dai deserti libici e algerini, hanno raggiunto larco alpino, spolverando di finissima sabbia gialla i ghiacciai dei monti italiani e svizzeri. E quella che gli abitanti del deserto chiamano, con amara ironia, la pioggia del Sahara. Quella vera, di pioggia, é invece un evento estremamente raro e accidentale…..
I SEGRETI DELLE MONTAGNE
Lo zoccolo cristallino che forma l’ossatura del Sahara ha una struttura estremamente rigida, in grado di sopportare sollecitazioni anche violente. I movimenti di sollevamento che formano le montagne, per quanto possenti, riuscirono a incurvare questa piattaforma solo al centro del deserto, generando l’affioramento di ampi rilievi, la base su cui si costruirono i monti dell’Hoggar e del Tibesti. Poi, circa due milioni di anni fa, i massicci sahariani furono sconvolti da una serie di eruzioni vulcaniche di straordinaria intensità: enormi quantità di lava furono proiettate alla superficie, sommergendo le rocce sottostanti e invadendo le vallate. L’aspetto di vaste regioni del Sahara cambiò radicalmente. Al termine della fase eruttiva, le forze dell’erosione entrarono in campo, sgretolando le pareti dei vulcani e portando alla luce i camini interni, costituiti di solido basalto. I picchi e i compatti monoliti, che caratterizzano i paesaggi montuosi sahariani, devono la loro origine a questo processo di rapida solidificazione della lava.
I segni di questi sconvolgimenti sono evidenti in molte zone dell’Hoggar, dove colonne di basalto nero, dalla tipica forma geometrica a canne d’organo, convivono accanto alle forme arrotondate che caratterizzano i pinnacoli di granito. L’assenza di copertura vegetale aumenta la spettacolarità di questi contrasti, soprattutto al tramonto del sole, quando la luce radente esalta le diverse colorazioni delle rocce e invita lo sguardo a posarsi sui particolari. Affascinanti per il viaggiatore occasionale, colpito dalla loro elementare bellezza, le montagne del Sahara forniscono un eccellente materiale di studio per chiunque voglia avvicinarsi alle scienze geologiche: tutto è a portata di mano, dagli effetti più clamorosi del vulcanismo a quelli dell’erosione.
POPOLAMENTO
Il deserto non è sempre stato un luogo disabitato. Dalle brume del passato emergono le tracce di civiltà scomparse, che fiorirono in un Sahara ancor verde. Fu il progressivo avanzare della siccità, a partire da 5.000 anni orsono, a spingere gli antichi abitatori del Sahara a rifugiarsi nelle montagne, dove la vita era ancora possibile. Laggiù, come in un enorme museo all’aperto, oscuri artisti-sciamani lasciarono sulle pareti di arenaria migliaia di pitture e graffiti: danzatori mascherati, epiche scene di caccia all’elefante e al bufalo e aggraziati profili di bovidi pezzati. Poi, il Sahara divenne un luogo in cui l’essere umano é biologicamente perdente e il nomadismo un imperativo categorico. I popoli attuali del deserto, pastori nomadi di dromedari, vacche e capre, sono gli ultimi eroi di questa millenaria epopea.
IL PIU’ GRANDE MUSEO DEL MONDO (arte rupestre)
Le popolazioni scomparse del Sahara hanno lasciato molte testimonianze della loro civiltà. I manufatti litici, le ceramiche, i reperti archeologici, ci raccontano per sommi capi quale era il loro modello sociale, le fonti di sostentamento e il rapporto con l’ambiente. Ma solo l’arte rupestre é in grado di fornire informazioni sul mondo in cui queste genti vivevano e, soprattutto, sulla loro spiritualità. I graffiti e le pitture censiti sono decine di migliaia, diffuse in tutto l’immenso territorio del Sahara. Le pietre scritte sono ovunque, ma le zone di maggiore concentrazione si situano all’interno dei grandi massicci montuosi che occupano il centro del deserto: l’Hoggar, il Tibesti, l’Ennedi, l’Air e il complesso Tassili n’Ajjer-Tadrart Acacus, al confine tra la Libia e l’Algeria meridionali. Stazioni di arte rupestre sono presenti anche nella faglia di Tichitt, in Mauritania; nel Fezzan libico e ancora più a est, nel Jebel Uweinat, dove si intersecano le frontiere di Sudan ed Egitto; negli altopiani della Nubia, fino al Mar Rosso; a sud, nell’Adrar degli Iforhas, in Mali. Le montagne sono senza dubbio i luoghi dove il popolamento é stato più consistente e di più lunga durata: ma le favorevoli condizioni climatiche e le esigenze materiali non bastano a spiegare l’enorme quantità di siti, né il loro condensarsi in punti determinati.
A Jabbaren, nel Tassili n’Ajjer, in un quadrato di seicento metri di lato ci sono oltre 5000 pitture, degli stili più diversi: Henri Lothe, il primo europeo a visitare il sito, paragonò il luogo ad una città virtuale, con piazze, vicoli, strade, archi trionfali.
Jabbaren, come tanti altri, era verosimilmente un luogo sacro e, in quest’ottica, le stesse montagne sahariane appaiono come cattedrali, santuari deputati ad accogliere e trasmettere rituali religiosi e magici. Le immagini ridondano e si succedono, come atti di un cerimoniale più volte ripetuto, che richiama all’essenza più profonda dell’essere umano.
I POPOLI SAHARIANI
…Le attuali popolazioni del Sahara discendono probabilmente da quei ceppi, proto-berberi e neri, che diedero vita alle ultime fasi della civiltà neolitica. I processi migratori, stimolati dal progressivo degrado ambientale, suscitarono un numero impressionante di mescolanze e suddivisioni in gruppi, tribù, confederazioni e famiglie, la cui consistenza numerica poteva cambiare repentinamente. Sicuramente ci furono contatti col mondo mediterraneo e con la Valle del Nilo, come dimostrano le molte affinità culturali e mitologiche. La letteratura dell’antichità classica trabocca di popoli dai nomi fantastici, che occupavano le immensità del Sahara occidentale e centrale, dai monti dell’Atlante fino alle remote regioni ai confini con la savana sudanese: Nasamoni, Getuli, Numidi, Ataranti, Etiopi trogloditi, Autoleli. Molte di queste genti, pur diverse tra loro, condividevano una parentela linguistica e facevano parte di un unico grande gruppo: i Berberi. Il termine deriva dall’arabo berbera, che significa linguaggio incomprensibile, ma potrebbe anche essere una storpiatura del termine latino barbarus, con cui i Greci ed i Romani designavano tutti gli stranieri. Furono però gli Arabi a raggruppare sotto questo nome le popolazioni bianche dell’Africa settentrionale, tramandandolo fino ai giorni nostri.
GLI UOMINI DELLO SPAZIO VUOTO (il nomadismo)
Il termine nomade deriva dalla radice greca nomàs, e indica coloro che errano per mutare pascolo. I nomadi propriamente detti sono quindi pastori, possessori di bestiame, sul quale basano quasi interamente la loro economia. Il sistema produttivo dei nomadi é totalmente diverso da quello degli agricoltori e dei cacciatori-raccoglitori. L’agricoltore é profondamente legato alla terra che coltiva e non può abbandonarla neppure per un breve periodo, pena la perdita del raccolto. E’ necessariamente un sedentario. La caccia e la raccolta, anche se presumono un certo grado di mobilità, si basano sul prelievo diretto dei prodotti offerti dall’ambiente naturale. La sussistenza dei pastori é dovuta invece allo sfruttamento delle risorse vegetali, tramite il bestiame domestico: capre, pecore, vacche e dromedari trasformano l’erba in proteine pregiate, latte e carne, con un rendimento ecologico altissimo. L’impegno richiesto dalla pastorizia è piuttosto limitato, sia in termini di lavoro che di tempo. Per le operazioni necessarie alla cura degli animali, comprese le attività rituali connesse, i nomadi consumano pochissime energie. Il rapporto tra assunzione e spreco di calorie, cioè il bilancio energetico di un gruppo di Tuaregh del Niger meridionale va dai 20 ai 30 punti in positivo. Incredibilmente elevato, se facciamo riferimento ai costi della produzione alimentare nella moderna società industriale, i cui rendimenti scendono a un miserabile valore di 0,3. Inoltre, la pastorizia nomade o seminomade, è lunico modo di utilizzare le regioni aride, che non si prestano all’agricoltura. L’immensa corona di deserti e steppe, che si estende dalla costa atlantica dell’Africa occidentale fino alle terre fertili della Cina, é territorio d’elezione del nomadismo. Senza la presenza dei nomadi quelle regioni sarebbero rimaste vuote, contrade destinate ad essere per sempre disabitate e selvagge.
ABITARE IN SAHARA
Fino all’epoca coloniale, una fitta rete di rotte commerciali, dal Mediterraneo all’Africa Nera, solcava il Sahara. Come un oceano disseccato, il grande deserto era attraversato da flotte di carovane, cariche di oro, avorio, sale, derrate agricole e generi di lusso. Gli specialisti del trasporto erano i nomadi, guerrieri e pastori di cammelli. Grandi città-mercato, ricche e potenti, sorsero sulle due sponde del Sahara. Le oasi divennero i porti intermedi del sistema, nodi di rifornimento e produzione, come isole nel mare. Di questo passato oggi restano città e rocche fortificate, alcune in rovina, altre ancora vitali, come Timbuctù e Agadez. Sopravvivono complesse architetture idrauliche, palmeti e orti strappati alla sabbia col tenace lavoro quotidiano. Carovane del sale incedono lentamente lungo le antiche piste. Persiste l’identità di un territorio carovaniero e pastorale dai confini invisibili, il cui centro é la tenda, emblema della vita nomade.
LE CAPITALI DEL DESERTO
Le città, come atto supremo di sacralizzazione del territorio, implicano l’esclusione dello spazio esterno. Le grandi metropoli del passato, cariche di valenze religiose e simboliche, riproducevano nella loro struttura l’ordine del cosmo, opposto al caos del paesaggio naturale che le circondava. I templi, la disposizione delle strade e delle piazze, le mura difensive, dovevano esprimere l’immagine leggibile di un potere che, dal centro, si irradiava verso le periferie del Paese. Era il rapporto con le regioni circostanti a definire la natura della città: nucleo chiuso, ripiegato su sé stesso oppure, al contrario, porta aperta al contatto con lo straniero e agli influssi provenienti dal di fuori. In Sahara, luogo di nomadismo e di commercio, questa correlazione ebbe effetti particolarmente significativi. I centri urbani che sorsero sulle due sponde del deserto, non potevano che assumere il ruolo di approdi, porti carovanieri in cui si raccoglievano e concentravano le merci provenienti da ogni dove. La città sahariana nacque essenzialmente come mercato. Il potere non si manifestava nella gestione organizzata del territorio, impresa impossibile, ma nel controllo delle vie di comunicazione. Le grandi capitali che sorsero sulla riva settentrionale del Sahara, come Sigilmassa, Tahert, Sedrata , pur cinte da mura fortificate, erano prima di tutto importanti centri mercantili: come mostrano i resti della assai più recente Smara, nell’ex-Sahara Spagnolo, avevano probabilmente intere strade riservate al commercio e quartieri appositi per dare asilo ai viaggiatori di passaggio. Al sud questa vocazione cosmopolita assunse un’evidenza ancor maggiore. Laggiù, ai confini della savana, i dettami dell’Islam si innestarono su una solida base animista: il risultato di questo connubio, conferì una spiccata originalità alle città nate lungo il medio corso del fiume Niger. Lo spazio pastorale
…Agadez deriva dal verbo egdez, visitare, a ricordare il rapporto, stretto ma episodico, delle tribù nomadi dellAir con la loro capitale. Per i Tuaregh del Mali, la regione del Gourma, oltre il corso del Niger è Harabanda, letteralmente al di là delle acque: un altro Paese, in cui gli uomini del deserto sono stranieri. Le aree di nomadizzazione dei diversi clan sono così delimitate da coordinate invisibili, che stabiliscono i diritti d’uso delle risorse idriche e vegetali,tramandati di generazione in generazione. In questa mappa virtuale, alcuni luoghi assumono una valenza particolare: punti di riferimento non solo nello spazio ma anche nel tempo. Frequentati fin dai tempi più antichi, rappresentano per i nomadi un punto fisso d’incontro, attorno al quale l’identità del gruppo si convalida attraverso la rivisitazione del comune passato. L’esigenza di un radicamento sul territorio é più che mai acuta in Sahara, dove il paesaggio non tollera testimonianze durevoli della società umana. L’appropriazione intellettuale e spirituale dell’ambiente diventa allora una necessità imprescindibile. Così a Taouardei, nel Sahara maliano, incisioni rupestri e tombe di antenati mitici certificano la sacralità del sito, che diventa un tempio della memoria collettiva. Una recente missione di studio italiana, ha individuato in Taouardei una serie di elementi che mettono in luce il ruolo, allo stesso tempo simbolico e funzionale, dell’area: accanto ai pozzi permanenti, condizione indispensabile per la presenza dei pastori e dei loro animali, si trovano zone adibite a cimitero e una moschea, nulla più che un cerchio di pietre sulla sabbia. Più lontano, un cumulo di grandi macigni di granito, é identificato come casa degli antenati. Nei pressi, una pesante lastra di roccia é probabilmente servita da litofono. Le pietre sonanti si trovano un po’ ovunque in Africa, dall’Ennedi al Kenya, spesso nelle vicinanze di pitture parietali: sottoposte a percussione, emettono un suono cupo e profondo, simile a quello di un organo. Ancor oggi, nella Tanzania settentrionale, i Sandawe usano come gong naturali i massi granitici sparsi per la pianura. Taouardei é tuttora un nodo vitale della cultura nomade: non a caso proprio qui, nel 1992, iniziarono le trattative tra i capi della ribellione tuaregh e i rappresentati del governo del Mali. In Sahara la storia continua a passare per gli stessi luoghi.
GLOSSARIO
Acheb: vegetazione erbacea effimera, che nasce dopo la pioggia.
Adrar: in berbero, montagna o massiccio montuoso (jebel, in arabo).
Ahal: il cortile dellamore,dove si incontrano i giovani tuaregh per il corteggiamento.
Aklé: ammasso di dune vive, con diversi orientamenti.
Azalai: letteralmente, dividersi per poi reincontrarsi. Nome dato alle carovane del sale di Taoudeni-Timbuctù. In Niger taghlamt.
Barcana: duna mobile a mezzaluna, che si sposta col vento.
Cram-cram: Cenchrus biflorus, graminacea spinosa. In Mauritania, initi.
Djinn: demoni e spiriti del deserto
Drinn: Aristida pungens, graminacea, considerata un buon pascolo. I semi sono commestibili.
Erg: distesa di dune, generalmente stabile. Nel deserto libico si chiamano edeyen o ramla (se di modeste dimensioni).
Foggara: condotta sotterranea che porta, per forza di gravità, l’acqua ad un oasi.
Gara: piccola collina dalla cima tronca.
Ghourd: duna isolata di forma stellare.
Guelta: bacino naturale di acqua tra le rocce, di solito permanente (per i Tuaregh, aguelman)
Guerba: otre per l’acqua in pelle (da cui salvare la ghirba).
Hammada: superficie rocciosa orizzontale, fessurata e cosparsa di pietre.
Kel: struttura di base della società tuaregh (gruppo,tribù).
Ksar: villaggio fortificato, in pietra o terra cruda.
Mehari: dromedario da sella, veloce e resistente.
Oued o Uadi: letto di fiume asciutto. Enneri nel Tibesti, kori nell Air. Dallol sono chiamate in Niger le grandi valli fossili, larghe fino a quindici chilometri.
Reg: immensa pianura, spesso di origine alluvionale,cosparsa di sassolini. In Libia, serir.
Sebkha o Chott: depressione, lago inaridito con affioramenti salini.
Sif: la cresta di una duna, con andamento sinuoso (letteralmente, sciabola).
Tagilmoust: il velo dei Tuaregh, spesso tinto dindaco e lungo dai quattro ai sei metri. Detto anche litham.
Takuba: lo spadone diritto dei guerrieri tuaregh.
Tamashek: la lingua dei Tuaregh.
Tassili: altopiano tabulare. Nel Tibesti, tarso.
Tifinagh: antica scrittura berbera, ancor usata saltuariamente dai Tuaregh.
Paolo Novaresio è nato a Torino il 20 giugno 1954.
A partire dal 1975 viaggia a tempo pieno in Africa, visitando alcune tra le zone più remote del continente: deserti della Mauritania, Hoggar e Tassili in Algeria, Monti dellAir e Teneré (Niger), regione dei Somba (Benin), valle della Haute Kotto (R.Centrafricana), Highlands del Camerun, Angola meridionale, bacino del fiume Congo e Ituri (ex-Zaire), Kordofan settentrionale ed Equatoria (Sudan), Kaokoveld e Bushmanland (Namibia), Delta Interno del Niger (Mali). Ha navigato tratti del Nilo, dell’Aruwimi, del Tana, del Niger e del lago Tanganyka.
Ha collaborato e collabora con riviste e quotidiani, con articoli riguardanti la storia, l’arte e la cultura dei popoli africani (La Stampa, Tutto Scienze, Specchio, Gente Viaggi, Tuttoturismo, Panorama Travel, Scienza e Vita, etc.). Ha collaborato con il Laboratorio di Ecologia Umana coordinato da Alberto Salza presso il dipartimento di Scienze Biologiche, Antropologiche, Archeologiche e Storico-territoriali dell’Università di Torino. Recentemente ha pubblicato i seguenti libri: Uomini verso l’ignoto, sulla storia e metodologia dell’esplorazione, Sahara, Ultima Africa, Africa Flying High e Grandi fiumi del Mondo. È laureato in Storia Contemporanea.
Tra il 1982 e il 1983, a seguito di un viaggio attraverso l’Africa occidentale e centrale, soggiorna per lungo tempo nel nord del Kenya, compiendo studi e ricerche sulle popolazioni nomadi Samburu e Turkana. In seguito si occupa dellorganizzazione di numerose spedizioni scientifiche in Africa Orientale (Valle del Suguta e vulcano Teleki), tra cui il progetto Turkana 1989, volto a studiare il rapporto uomo-ambiente nelle zone aride e la fisiologia dello stress in ambiente ostile, col supporto della Fondazione Sigma-Tau e di vari enti Universitari nazionali e internazionali. Dal 1991 ha concentrato la sua attenzione sull’Africa Australe, viaggiando e soggiornando per lunghi periodi in Botswana, Zimbabwe, Namibia, Mozambico e soprattutto in Sudafrica, dove ha vissuto per cinque anni. Nel 1994, su invito della South African Airways, si è occupato di reperire presso Musei e fondazioni private in Sudafrica documenti e fonti iconografiche inedite, relative alla storia del Paese, intervistando esponenti di rilievo dell’ANC e dei principali partiti politici sudafricani. Si occupa di metodologia dell’esplorazione. L’uomo con la valigia
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