c’erano (e ci sono tuttora) i simboli?

Il rischio c’è ed è quello di divagare, perdendoci in un mare di ricerche e spiegazioni sul suo significato e rilevanza. Ovvero il simbolo. Si sono scomodati sociologi e filosofi per descriverlo e tutti lo hanno fatto con le dovute cautele, perché coi simboli non si scherza. Pare che i simboli siano nati con noi, siano una cosa davvero seria, con cui non si possa celiare. I simboli, il simbolo, ovvero il segno che ti suggerisce qualcosa, te ne ricordi? Ma certo! dirai te! Che discorsi! Navighiamo in un mare di simboli. Ne siamo sopraffatti!

Una marea, soprattutto oggi, andiamo avanti a forza di simboli, dirai, perché simbolo significa sintesi e con tutto quello che hai da fare! certo che mi ricordo, dirai, ieri ne ho visti una vagonata, ero alla stazione dei treni, e volevo vedere se si poteva andare di domenica mattina ad Asti, partendo da Milano. Il tempo che ci va ad attraversare mezza Europa. Incollato al tabellone giallo ci sono stato mezz’ora: prima o seconda classe, treno per pendolari, viaggia solo il lunedì e il venerdì, treno merci, soppresso per carenza di viaggiatori, carrozze di prima classe in testa al treno, tuto espresso attraverso simboli. Prendi la figurina che indica l’ubicazione delle toilet in primis, è un simbolo che solo nella foresta, in mare aperto e nell’artico non si trova, io ne ho trovato uno in un’oasi, alle soglie del Sahara. C’era solo una T disegnata su un pezzo di legno sbilenco, e basta. Indispensabile comunque per non fartela addosso. Ovvero come soddisfare necessità primarie e improrogabili, e poi naturalmente i tasti di una tastiera con freccette sinistra destra sopra sotto e il più e il meno, quanto tempo ci abbiamo impiegato a pensare che avevamo bisogno di un simbolo, per sintetizzare, per indicare, per dire: freddo caldo, divieto, via libera, si fuma o no. Proibito, tanto meglio per la salute. Il simbolo che ti ordina di metterti il casco in testa per possibile caduta di gravi. Pericolo! Accesso vietato, caduta massi, stai alla larga o ti becchi la scossa e poi la multa. Curva pericolosa, sei sulla strada, i simboli ti invitano, sollecitano, vietano, mettono in guardia e sempre comunicano. I simboli abbondano, ce ne sono da intasare il lavandino. Fatti per comunicare un pericolo, per metterti in guardia, per indicare come risolvere necessità, per non rovinare una maglia cche non sopporta l’acqua e la centrifuga.

Per cercare di capirci qualcosa in più oltre alla apparente banalità, ecco quello che l’enciclopedia universale, alias Wikipedia, che a sua volta è un simbolo di come oggi si organizzano e si fruiscono informazione e cultura; scrive alla voce simbolo: Il simbolo è un elemento della comunicazione, che esprime contenuti di significato ideale dei quali esso diventa il significante. Tale elemento, sia esso un segno, gesto, oggetto o altra entità, è in grado di evocare alla mente dell’osservatore un concetto diverso da ciò che il simbolo è fisicamente, grazie a una convenzione prestabilita.  Sostengono autori, come Hobbes e altri nel seguito della filosofia inglese come Peirce, e i positivisti e neopositivisti della “logica simbolica“, che il simbolo, nella sua funzione di “stare al posto di” possa scambiarsi con il segno. Charles W. Morris (1901–1979) per esempio, afferma che il simbolo è un segno che ha un aspetto di convenzionalità maggiore rispetto ai segnali poiché chi esprime il simbolo lo usa come alternativa al segno con cui s’identifica. I simboli sono inoltre differenti dai segnali, poiché questi ultimi hanno un puro valore informativo e non evocativo. I simboli si differenziano anche dai marchi, che hanno un valore solamente soggettivo e che vengono usati per indicare un’origine fattuale. Il simbolo può essere di due tipi: convenzionale, in virtù di una convenzione sociale; analogico, capace di evocare una relazione tra un oggetto concreto e un’immagine mentale. Se, come sostiene René Alleau, una società senza simboli non può evitare di cadere al livello delle società infraumane, poiché la funzione simbolica è un modo di stabilire una relazione tra il sensibile e il sovrasensibile, sulla interpretazione dei simboli e sul loro impiego da sempre gli uomini sono divisi. Tale atteggiamento è spesso dovuto al fatto che spesso l’uomo tenta di trovare un significato ad un simbolo anche se questo non ne ha; E, se proprio vogliamo saperne ancora sul simbolo: Lo studio del rapporto tra forme simboliche e funzionamento della società ha assunto rilievo centrale fin dai lavori di É. Durkheim, il quale sosteneva il carattere acquisito, e dunque sociale, delle stesse categorie logiche che sottostanno alla classificazione della realtà. Creando le categorie di pensabilità del sociale, i sistemi di credenze avevano dunque una funzione strutturante la realtà sociale e, acquisendo valenze religiose, cementante la coerenza di un sistema sociale.  Roba seria, insomma, il simbolo. Per scrivere questo post ho ficcato il naso un po’ qua un po’ là, evitando paroloni e letture alquanto complesse, perché sapevo che non era cosa facile accalappiare il significato del simbolo

I filosofi, poi, ci hanno sguazzato a interpretarlo. Te la faccio adesso una domanda di cui però sono certo di conoscere la risposta: E la risposta che ti anticipo io è: NO, senza simboli la vita come la conosciamo oggi o fino a qualche millennio fa non è possibile, o diventa davvero grama se non può trasmettere informazione, se non comunica, perché  simbolo significa comunicazione indirizzata a chi pensi ti possa capire. Come questa placca, destinata agli alieni, appiccicata al Pioneer 10.

Senza simbolo riesci a vivere? No, non riesci. A un altro te stesso o a un alieno che in qualche modo vuoi avvisare o mettere in guardia. Simbolo uguale a manifestazione della vita, dunque, se non c’è simbolo non c’è vita. Meglio non esagerare. Guarda bene lo schermo del tuo computer e capirai l’evoluzione che ha fatto il simbolo: dalla croce del Cristo ai simboli odierni di spam e di cestino, ne abbiamo fatta di strada. Che ne dici?

Sul mio schermo di computer, un giorno che era stato colpito da malefici virus, erano comparsi repellenti scarafaggi vaganti, davvero evocativi! più reali e repellenti di quelli veri, più simbolo di così si muore.

trionfava la psiche?

La minaccia incombe. Sarebbe arduo infilarlo in tasca come un pocket book, visto che 8oo pagine sono un malloppo assai simile a un mattone. Dopo essere penetrati nei meandri di questa miniera fatta di informazioni sotto forma di libro me ne sono uscito un po’ stordito ma più ricco, quasi affascinato dall’accattivante racconto. Galimberti percorre qualche millennio della storia del pensiero occidentale. Lo fa in modo conciso, attraverso confronti e analisi, facendo parlare i protagonisti, le tesi, per giungere infine alla situazione attuale, inquinata da una grave minaccia, in un panorama odierno niente affatto consolante, e ne vedremo in seguito i motivi.

Ci sono libri labirinto, libri inutili e libri menzogna, libri sfinge e libri come questo che non puoi eludere, che ti costringono a riflettere, che impegnano e inquietano e che vorresti avere letto venti anni prima. Compagni di percorso, strumenti al servizio della conoscenza. In un libro come questo, che tenta e riesce ad abbracciare più di due millenni non c’è angolo di sapere che non sia frugato e sondato e messo in relazione con altri. Raccontata così la filosofia assume le vesti di un’avventura continua, di un rifacimento inesausto di tesi, idee, interpretazioni. Aristotele che dice la sua, Platone anche, gli rispondono a migliaia di anni luce di distanza Kant, Heghel, Nietzsche e Marx. (davvero un peccato che non ci sia Julius Evola, non se ne capisce il motivo). Il Prometeo incatenato che viene punito sull’orrida rupe per aver regalato agli uomini cieche speranze. La verità ontologica ed escatologica nella loro luce più vera, attraverso i movimenti del pensiero, della storia e delle idee così ben concatenati dai sintetici capitoletti di Umberto Galimberti da sembrare un romanzo in cui, principale ma non unico protagonista è l’uomo, attraverso un continuum dialettico in cui emerge l’essere alieno e non conforme a natura, costretto a dominare quest’ultima per continuare a esistere.

A pagina 161 così leggo: “…L’uomo è organicamente l’essere manchevole (Herder); egli sarebbe inadatto alla vita in ogni ambiente naturale e così deve crearsi una seconda natura, un mondo di rimpiazzo …che possa cooperare con il suo deficiente equipaggiamento organico…Si può anche dire che è costretto biologicamente al dominio sulla natura (Gehlen).”  Nel libro miniera i capitoli scorrono come sorsi d’acqua fresca. È una fitta matassa che si dipana delineando la nostra storia. Scrive Galimberti: “se nel dominio della natura si esprime il dominio della tecnica, allora la tecnica è all’origine della vicenda umana…come condizione”. Ci sono frasi che vorremmo mandare a memoria.

Sorta di antidoto cui ricorrere per sopravvivere in questa landa ostica e nebulosa che si chiama esistenza odierna. Un esempio a pagina 253 con: ” Il risvolto negativo della tecnica, la sua capacità di incatenare…l’uomo  nell’illusione di liberarlo, risiede nella sua autonomia, nel suo operare indipendentemente  dal retto consiglio e dal buon uso della saggezza…Ciò non significa che la tecnica sia priva di ragione, ma semplicemente che la tecnica dispone solo di una ragione strumentale che controlla l’idoneità di un mezzo a un fine, senza pronunciarsi sulla scelta dei fini….”.

Così entriamo nel vivo del libro, nell’argomento eccellente che inquieta, ovvero, nel cuore del problema da cui scaturiscono verità sulla saggezza, sulla storia, sulla politica e sul contrasto insanabile fra mito e religione e ancora sulla tecnica che è ragione calcolante e che segna la differenza fra l’animale e l’uomo. Ottocento pagine per parlare di tecnica? A nostro avviso potevano essere molte di più e tutte interessanti e tese a indagare quello che è successo in oltre duemila anni di storia. Perché si parla di tecnica? Semplice. In quella parola apparentemente innocua si celano potenzialità di sviluppo e influenza angoscianti. Chi pensa di governare e di guidare la tecnica è illuso o sprovveduto, dice il libro, illustrando l’immenso potere sull’uomo, ormai succube del suo mezzo (fine?) L’opera di Galimberti costruisce così un unicum a cui concorrono più voci, talvolta antitetiche, tutte importanti e vere. Il libro ha una capacità chiarificatrice sorprendente; un tomo da consultare spesso e da tenere sottomano.

Dal mito, alla religione al disagio esistenziale, sino all’uomo che pensa di poter fare a meno del divino. Dal feticismo della merce al sentimento oceanico, dall’esistenza inautentica alla macchina in cui vive uno spirito immortale, dal modo di essere nel mondo allo sviluppo a finalistico, al disagio della civiltà. A pagina 715 così conclude Galimberti: “Il fatto che la tecnica non sia ancora totalitaria, il fatto che quattro quinti dell’umanità viva di prodotti tecnici, ma non ancora di mentalità tecnica non deve confortarci perché il passo decisivo verso l’assoluto tecnico, verso la macchina mondiale l’abbiamo già fatto….occorre evitare segni quel punto assolutamente nuovo nella storia, e forse irreversibile, dove la domanda non è più: Che cosa possiamo fare noi con la tecnica? Ma: Che cosa la tecnica può fare di noi?” Inquietante, non ti pare? Galimberti è riuscito a organizzare un dibattito a più voci, una conferenza distribuita nel tempo e nello spazio di gran vivacità e interesse.

I maestri del pensiero occidentale si sono dati convegno nel suo saggio. Provate a darci un’occhiata. Ci sono davvero tutti, o quasi. O mancano, forse, alcuni recenti studiosi reputati scomodi e non meritevoli di attenzione? Quelli che sono stati posti all’indice dal corso degli eventi, sconfitti (per ora) dall’avvento delle ideologie moderne. Può darsi che questi autori non abbiano scritto nulla che riguardasse la tecnica. Può darsi. Ma non ne sono convinto, Julius Evola docet.