c’era il guerriero immobile?

Dopo aver caricato su un carrettino prosciutto e formaggio acquistati dai contadini romani, una pattuglia tedesca lo blocca senza troppo riguardo (1943 o 1944). Infuriato, si mette a strillare, poi telefona al colonnello delle SS Eugen Dollmann, protestando. Verrà accompagnato a casa in auto con tante scuse, prosciutto e formaggio non gli verranno sequestrati.
Braccato dagli agenti della Military Police delle forze Alleate (6-7 giugno 1944) trascina per Roma una valigia di cartone piena di preziosi appunti e testi, riuscendo a sfuggire alla cattura. Spaventa Federico Fellini che lo va a trovare in incognito, (anni ‘60) raccontandogli del suo grave incidente mentre “trafficava con l’occulto.”
Né solo saggio, né racconto aneddotico e nemmeno esclusivamente cronaca. Di questi generi
Un filosofo in guerra edito da Mursia ha ereditato e sintetizzato il meglio: avvincente, incalzante, a tratti un giallo poliziesco, dal ritmo sostenuto. Il “detective” Gianfranco de Turris racconta un brano della storia d’Italia, narrando con passione, puntiglio, dovizia di documenti, informazioni di prima mano e di autentiche scoperte. Il periodo: quello tra i più spinosi e controversi del nostro Paese. Dal ‘39 al ‘45, quando l’Italia cambiò volto.
Nel volume molte le cose di rilievo: gli incontri segreti, i depistaggi, i complotti e le misteriose scomparse di uomini e di casse con preziosi archivi ed elenchi di nomi (1945). Forse inabissati di proposito nel Garda, forse nei meandri del Vaticano, o magari stipati negli armadi del PCI. Al riguardo c’entra anche un sacerdote, che, innamoratosi di una bellissima donna, esponente del PCI, per lei lasciò la tonaca ma poi, pentito, abbandonò la femmina per chiudersi in un convento. Ma chi è il filosofo in guerra? Il barone “nero” Julius Evola, al cui proposito Aldo di Ricaldone sugli Annali del Monferrato scrisse: “Il barone Evola coi suoi testi sottolinea con una delle più brillanti sintesi della storia umana il crollo del mondo Tradizionale di fronte allo sguaiato, ipocrita materialismo a favore delle masse, con la decadenza della genuina cultura e dei valori ideali e spirituali.”
L’opera di
Gianfranco de Turris qui si fa trama, vissuto speciale, avvincente racconto, sedimentato in una scrittura tesa e asciutta come ci ha abituato il suo stile. Un filosofo in Guerra fa pensare a quei giorni, alle sorti dell’Italia, a ciò che sarebbe potuto essere e non è stato. Costringe a riflettere, a confrontarsi e infine a prendere posizione, indirizzando l’attenzione anche verso scritti di altri autori come Finis Italiae, di Sergio Romano, ex ambasciatore, che parla del dopo disastro bellico. Questo è un altro pregio de Un filosofo in Guerra: sollecita interesse, invita ad approfondire e a interrogare altre fonti.
Il protagonista indiscusso dell’opera, pittore dadaista, filosofo, esoterista, orientalista, e, secondo molti, profeta, Julius Evola, alias Carlo de Bracorens ovvero un fantasma che si aggira ancora nei meandri della cultura italica (o nei suoi rimasugli.)
Un articolo di Luca Gallesi su Barbadillo precisa i contorni dell’opera accennando anche a qualcuno che di recente, turbato all’udire ancora il nome Evola, ha gridato allo scandalo e alla vergogna.

Nel libro: numerosi gli incontri del barone, fra questi quello con Mussolini, subito dopo la sua liberazione, nel Quartier Generale di Rastenburg (20 luglio 1944); scriverà  al proposito Evola: «Aveva ancora indosso gli abiti borghesi sgualciti che portava al momento della sua liberazione al Gran Sasso: ricordo le scarpe pesanti e sporche e una cravatta tutta attorcigliata. Aveva una certa speciale luce, un’esaltazione febbrile negli occhi».

Mussolini salvato e subito ricattato da Hitler “marrano con lo scettro di pagliaccio feroce” secondo la definizione di Gabriele  D’annunzio.
Scrive de Turris: “Questo testo mi ha dato l’impressione di essere una specie di “fabbrica di San Pietro” mai conclusa: specie nell’ultimo periodo, sino alla vigilia della consegna all’editore, è stato riletto più volte con continui ripensamenti, correzioni, tagli e aggiunte, ritocchi, controlli di molti particolari in origine solo accennati e dati per scontati, tentativi di essere sempre più chiaro ed esatto per evitare equivoci e fraintendimenti altrui (anche voluti…), convinto che la precisione dei riferimenti e anche di singole parole in questi casi sia fondamentale. Se alla fine ci sia riuscito lo decideranno i lettori.” E più avanti: “Non avevo ancora capito la lezione della…Storia, di quanto sempre si nasconde nelle sue complicate pieghe! Incredibilmente, infatti, lo sottolineo ancora, notizie, testimonianze, informazioni, documenti e libri prima non noti sono continuati a balzare fuori nei modi più inaspettati e anche curiosi, addirittura casuali. Ed è quindi da supporre che continueranno a farlo, come se, ancora oggi nella vita di Julius Evola ci sia sempre da scoprire qualcosa, tanto è stata complessa e avventurosa su tutti i piani.” 

Ignoriamo se de Turris sia consapevole di aver rivoluzionato il modo di fare saggistica: aggiungendo cioè al piede di ogni capitolo una formidabile messe di note, riferimenti, rimandi a libri e a documenti, spesso di lunghezza equivalente al capitolo stesso.

Quello di cui non siamo affatto sicuri è che alla quarta edizione (tradotta per gli Stati Uniti e la Russia) riveduta e ampliata con documenti e immagini non se ne aggiungano altre. Il «guerriero immobile», come lo ha definito un suo biografo francese potrebbe riservarci ancora molte altre sorprese…dall’al di là. 

Dalla quarta di copertina del libro: “Una trama che non ha niente da invidiare a una spy story, tra servizi segreti, false identità, attività e viaggi misteriosi, ferite del corpo e dell’anima.Tra l’agosto 1943 e la fine della guerra, Julius Evola si muove in un’Europa al collasso: da Berlino al Quartier Generale di Hitler, poi a Roma, come agente dietro le linee; dopo l’arrivo degli americani è a Verona e quindi a Vienna dove, sotto falso nome, studia archivi massonici e viene ferito durante un bombardamento nel gennaio 1945, restando paralizzato.”

Nelle immagini: Mussolini a Rastenburg, nel Quartier Generale di Hitler, Julius Evola e Gianfranco de Turris a colloquio.

Robert Musil andava a scuola in collegio?

Maria Luisa Valeri il 13/02/2012 19:19:59 scrive: 
Il delicato e difficile passaggio dall’adolescenza all’età adulta è il leitmotiv di quest’affascinante opera di Musil, che però sa magistralmente tratteggiare anche anche il quadro di un’epoca, che sfocerà nella tragedia nazista. IMPERDIBILE CAPOLAVORO

Paolo 02/02/2010 10:17:29  scrive:  
In anni di freudismo imperante, l’analisi esasperata della psicologia quasi “necessariamente” malata dei giovani allievi di un collegio militare austriaco. Uno dei punti di forza dell’opera è sempre stata considerata la profezia nazista che si prefigura nel tranquillo sadico fanatismo dei raggelanti Reiting e Beinberg di cui Törless subisce il fascino nonostante ne veda la malvagità quando tormentano, quasi fosse un insetto indifeso intrappolato sotto un bicchiere, il fragile e femmineo Basini. In realtà l’ambiente del collegio rimane sullo sfondo e non se ne vede (forse si intuisce, ma con il senno di poi) la tensione a formare insensibili replicanti da utilizzare come macchine da guerra, è piuttosto la concezione darwinistica dell’esistenza (forse che ora non è così?) ad imporre una spietata e cinica legge del più forte. L’ossessione per lo scavo psicologico rende la lettura francamente faticosa e non può sfuggire il campiacimento intelletualistico di un autore ventiseienne.

Le recensioni di Maria Luisa e di Paolo si riferiscono all’opera Il giovane Törless di Robert Musil, un classico del primo Novecento. Luogo: collegio militare austriaco durante l’epoca di Francesco Giuseppe. Problematica: messa un discussione di tutti i valori, nessuno escluso. Protagonisti: due bulli sadici e delinquenziali, che non si sa cosa potranno fare da grandi. Una vittima alquanto femminea e un mezzo bullo di buona famiglia (Törless) che, prima si invischia, e poi si sottrae faticosamente alla tresca lasciando alle sue spalle l’adolescenza, ma senza troppii rimorsi per l’accaduto. La vicenda: la vittima, accusata di furto non viene denunciata dai compagni, i quali lo terranno in pugno degradandolo fisicamente e moralmente. Pederastia, omosessualità esplicita, per necessità, visto che nel collegio c’erano solo maschi. La vicenda appare attualissima, se pensi al bullismo che tanto spazio si è ritagliato oggi nella nostra vita. Tornando all’opera. Ecco qualche stralcio che ci può far comprendere di quanto tortuoso cammino in mezzo ad ambiguità, doppiezza ed episodi di sadismo, i personaggi han dovuto compiere per raggiungere l’età adulta.

Possiamo denunciarlo, picchiarlo, torturarlo a morte, se ci fa piacere. Non immaginare che un uomo simile debba avere un significato….mi sembra una creazione accidentale, …Voglio dire: un significato l’avrà anche lui, ma vago, vaghissimo, come un verme o una pietra sulla strada, di cui non sappiamo se li lasceremo stare o li calpesteremo...Più oltre: …E Törless sentì d’essere perfettamente solo sotto quella volta immobile e muta, un punto minuscolo e vivo, sotto un immenso cadavere trasparente.Quando qualcuno, cui aveva raccontato la storia della sua adolescenza, gli chiese se non provava vergogna, a volte di quei ricordi, Törless, con un sorriso rispose: Non nego, certo che si trattò di un episodio degradante. E con questo? Pass . Ma qualcosa era rimasto per sempre: una piccola dose di veleno, per togliere all’anima una salute troppo tranquilla e sicura, dandogliene un’altra più sottile, acuta e comprensiva. E, verso l’epilogo una scena assai poco edificante: …Risate oscene, battute sconce divampano fuori della massa. …Un altro ragazzo contro cui era andato a urtare, lo ributta indietro, tra scherzoso e arrabbiato. Un terzo lo spinge ancora avanti. Ed ecco, Basini, nudo, la bocca spalancata dal terrore, vorticare per l’aula come una palla, tra le risa, le grida insultanti, i colpi di tutti…cade sulle ginocchia che cominciano a sanguinare, e finalmente, coperto di polvere e sangue, gli occhi vitrei, pieni di terrore animale, crolla sul pavimento, mentre il silenzio si ristabilisce improvviso e tutti gli si accalcano intorno, a guardarlo…Alzi la mano chi non è stato vitima o spettatore di episodi di bullismo, anche se non così cruento. In una certa misura e sotto certi aspetti, soprattutto durante la scuola, saper difendersi e prendere le distanze dal bullismo aiuta a capire come sarà il mondo dopo. Entro certi limiti, si intende; a scuola ricordo ancora certo miei forzuti compagni che usavano la loro forza per esprimersi o per farsi valere, la maggior parte di noi li snobbava, li sopportava, non riuscivamo a farne un dramma. Davano fastidio e basta. Da sempre c è il bullismo, secondo me, ma nell’opera di Musil è reiterato nel tempo, con umiliazioni, ricatto, scherno, minacce e torture. Non e più bullismo che, secondo me, è inestirpabile, ma violenza vera, con tappe via via crescenti verso il crimine. La vittima è un oggetto da esperimento, sul quale sfogare istinti sadici e libidine, anche in questo modo si comincia a esercitare il potere. I due carnefici assaporano sotto la buccia il gusto dell’odio, son tipi da riformatorio, insomma. Nel crepuscolo di quelle scene, nell’attesa di nuove torture e umiliazioni, protetti dal severo ambiente del collegio si alleva un mostro non ancora consapevole. Il desiderio di sopraffare con violenza, umiliazione e ricatto sono alla base della psicologia nazista. Non ci sarà da attendere molti anni prima che quei semi diventino virgulti e poi che la malapianta cresca dando frutti avvelenati, che tutti conosciamo e che si chiama dittatura.