I fori delle pallottole sul muro ci sono ancora. 1165 proiettili sparati ad altezza d’uomo. Dieci minuti di fuoco continuo fino ad esaurimento colpi. Quattrocento i morti ufficiali, fra cui numerose donne, vecchi e bambini, milleduecento i feriti; è convinzione diffusa che gli uccisi fossero centinaia di più. “Dovremmo chiedere scusa.” Un poco avvilente che uno solo, lo dica, anche se si tratta del sindaco di Londra, Khan, pachistano di origine, che, armato di buona volontà, si reca sul luogo dell’eccidio dicendo “Sorry.” Quel giorno di aprile del 1919 la volontà era obbedienza cieca all’ordine e alla volontà di massacrare per far rispettare la legge marziale. Sky News, 6-12-2017: “London Mayor Sadiq Khan urges British Government to apologise for the 1919 Amritsar massacre. Sadiq Khan says it is time the UK apologised as the centenary for the shooting by British troops on unarmed protesters nears.” Ma UK non fa nessun apologise. Era il 13 aprile 1919 quando avvenne il misfatto. “David Cameron è stato il primo primo ministro britannico a visitare un memoriale per il massacro di Amritsar nel Punjab, nel febbraio 2013. Ha descritto il delitto come “profondamente vergognoso”, ma si è fermato prima di chiedere scusa. Theresa May ha definito una “cicatrice vergognosa nella storia delle relazioni anglo-indiane”, nulla più. Il 05-08-2019 Clementina Udine su Lo Spiegone: “A cento anni dal tragico evento l’India è ancora in attesa di scuse formali da parte dell’Inghilterra. Come fatto notare da molti in occasione dell’enorme fiaccolata che ha ricordato il 13 aprile di quest’anno le vittime della strage, il centesimo anniversario avrebbe potuto rappresentare il momento ideale per presentare le dovute scuse. Ma la premier inglese Theresa May ha solamente espresso dispiacere per l’accaduto, definendo l’evento un “esempio doloroso del passato inglese in India”. il massacro di Amritsar: chi, cosa, come e perché. Era Il 13 aprile 1919 quando il generale di brigata pro tempore dell’esercito inglese Reginald Dyer, in attesa della smobilitazione e veterano della prima guerra mondiale, ordinò ai suoi 90 uomini, parte inglesi parte gurka, di far fuoco su civili inermi. La folla si era riunita nel piccolo parco di Jallianwala Bagh per celebrare l’inizio della primavera; contemporaneo un comizio di protesta pacifica contro l’arresto immotivato di due leader nazionalisti.Una provocazione secondo i Brits, in quanto violava la legge marziale instaurata un mese prima; la legge vietava qualsiasi assembramento con più di quattro persone. A marzo era stato varato il Rowlatt Act, che consentiva di incarcerare in modo arbitrario i dissidenti, senza bisogno di processo. Il Partito del Congresso aveva organizzato numerose manifestazioni pacifiche di dissenso. Comunque scontri violenti ci furono e ripetuti attentati contro funzionari britannici e le sedi amministrative; per questo motivo in alcune regioni entrò in vigore la legge marziale, riducendo le già scarse concessioni fatte agli indiani che avevano acceso le speranze di maggiore autonomia dalla fine della prima guerra mondiale. il generale non ritenne necessario esplodere colpi di avvertimento per disperdere la folla, ma ordinò di sparare ad altezza uomo fino a esaurimento delle munizioni. Che fossero presenti donne e bambini, al generale non interessava e nemmeno portare soccorso ai feriti alla fine dell’esecuzione. Potevano esserci molti più uccisi ma le autoblindo con le mitragliatrici non riuscirono ad entrare nell’area perché troppo larghe per le strette vie d’accesso al giardino.
Gli articoli di Lorenzo Ferrara molti dei quali inediti, come questo brano, coprivano un vasto range di argomenti. Cronaca, attualita politica, Storia erano fonte di continua “ispirazione”. Dai libri coglieva l’essenziale, come in questo caso: Pag 44 La sua crescente arroganza, in parte come difesa contro i suoi sentimenti di abbandono e come antidoto alla sua mancanza di autostima, è servita da copertura protettiva per le sue sempre più profonde insicurezze.
Pag 198 La sua vita attuale è simile a quella di quando aveva tre anni: incapace di crescere, imparare o evolversi, di regolare le sue emozioni, moderare le sue risposte o assorbire e sintetizzare informazioni. Le sue insicurezze hanno creato in lui un buco nero di bisogno che richiede costantemente la luce dei complimenti che scompare non appena li assorbe. Niente è mai abbastanza. Non è semplicemente debole, il suo ego è una cosa fragile che deve essere rafforzata in ogni momento perché sa nell’intimo che non è niente di quello che afferma di essere. Sa di non essere mai stato amato. Non sa nulla di politica, educazione civica o semplice decenza umana; è completamente impreparato a risolvere i suoi problemi. Sembra che ci sia un numero infinito di persone disposte a unirsi alla claque che lo protegge dalle sue inadeguatezze mentre perpetua la sua fiducia in se stesso.
Pag. 211 Il paese ora soffre della stessa positività tossica che mio nonno ha utilizzato specificatamente per soffocare la moglie malata, tormentare il figlio morente e danneggiare, oltre la guarigione, la psiche del suo figlio preferito.” Hai certamente capito di chi sta parlando il libro. L’autrice è Mary Trump, psicologa clinica con un dottorato di ricerca e insegnante di corsi di specializzazione in psicologia dello sviluppo e del trauma. È l’unica nipote di Donald Trump e in passato si è espressa contro lo zio. How my family created the world’s most dangerous man recita il sottotitolo, di Mary L. Trump Oggi Donald regge gli Stati Uniti, democraticamente eletto, oltre ad alzare dazi, fa pappa e ciccia con BIBI the butcher, prolungando la tragica messa in scena di Gaza, per edificare, si dice, un Tigullio medio orientale. Del resto la pulizia (etnica) della zona, con annessa deportazione, l’aveva già pronosticata suo genero, ignoriamo se incoraggiato dalla moglie Ivanka Trump, neo ebrea per vocazione. Donald trova il tempo di bamboleggiare col criminale russo, e prendersela con due icone sacralizzate del pop rock, definendo Bruce Springsteen ‘Questa prugna secca di un rocker’. The Guardian Ben Beaumont-Thomas, 16 maggio 2025. Donald lo attacca dopo i discorsi infuocati di Springsteen che aveva detto di lui cose poco carine, quali: “traditore”, “presidente inadatto” a capo di “un governo canaglia”, e di una “amministrazione corrotta, incompetente e traditrice”. Beh Bruce ci va giù duro e Donald risponde per le rime, definendo Springsteen sulla sua piattaforma Truth Social, “non un ragazzo di talento, altamente sopravvalutato, ma solo uno JERK invadente e odioso”.
Mentre “Trump che detesta chi non lo ama, lancia un nuovo attacco a Taylor Swift The Independent, Inga Parkel, 16 maggio 2025, sostenendo che la soubrette non è più sexy da quando lui ha detto di odiarla. La superstar pop si è trovata dalla parte sbagliata per aver appoggiato Kamala Harris. Donald ha condotto anche altri attacchi contro di lei sostenendo che la superstar “non è più alla moda”, scrivendo dal suo account Truth Social: “Qualcuno ha notato che, da quando ho detto ‘IO ODIO TAYLOR SWIFT’, lei non è più ‘hot?’” dice il sornione Donald con le maniche rimboccate, prima di una seduta di golf. Mentre Harry The british prince se ne sta zitto per via del permesso di soggiorno in bilico che Donald aveva già minacciato di ostacolare per via dell’uso confesso di stupefacenti da parte del principe. Per la serie “ve la do io l’America!”
La seconda parte dell’articolo di Lorenzo Ferrara continua con altre “perle”: Pag 130: “Alle nostre spalle Luxor sarebbe ammirevole lo spettacolo del tempio eterno, se proprio al suo lato, non sorgesse, alto due volte tanto, l’impudente Winter palace, il mostruoso albergo costruito l’anno scorso per turisti dal gusto sottile. Chi sa i cinocefali che hanno deposto questa sozzura sul sacro suolo d’Egitto, s’immaginano forse di aver eguagliato il merito dell’artista che sta restaurando i santuari di Tebe.”
Pag 151: “La cateratta è completamente scomparsa ad Assuan: quella esperta tutrice che è Albione ha giustamente pensato che era meglio sacrificare questo futile spettacolo, e per accrescere la produzione del suolo, ha deciso di imbrigliare le acque del Nilo, con uno sbarramento artificiale: opera di solida ingegneria che (dice il programma of pleasure trips ”affords an interest of very different nature and degree.” (sic). Cook & Son industriali non privi di senso poetico si sono tuttavia incaricati di eternarne il ricordo, dando il nome di un albergo di cinquecento camere. Il Cataract Hotel , ecco un nome ancora pieno di fascino, non vi pare?”
Pag 161: “Chiosco di File. I battellieri ci colgono di sorpresa e emettono il nuovo grido imparato dagli intelligenti e sensibili turisti: “Hip hip hip Hurra!” Mi sento profondamente urtato dalla profanazione volgare e imbecille di questo grido, tipica espressione della gioia britannica, cosi fuori luogo in questo momento in cui mi sento serrare il cuore al pensiero del vandalismo utilitario che ha per sempre distrutto quest’opera mirabile,”
Pag 162: “L’inondazione di File ha aumentato di 75 milioni di sterline il reddito dei terreni circostanti. Incoraggiati da questo successo, l’anno venturo gli inglesi alzeranno di altri sei metri la diga sul Nilo; il santuario di Iside sara cosi completamente sommerso e altrettanto accadrà alla maggior parte dei templi della Nubia, mentre il paese sarà infettato dalle febbri palustri. Ma ciò non ha alcuna importanza, poiché si potranno rendere più produttive le piantagioni di cotone inglesi. Un esempio fra i tanti della sua prosa straordinaria.
Pag 128: “E questo sole, sempre questo sole, che sembra voglia irridere Tebe con l’ironia della propria durata, per noi impossibile da calcolare e da concepire! In nessun altro luogo si soffre come in questo, per la tremenda certezza che tutta la nostra piccola miserabile effervescenza umana non è che una specie di impalpabile muffa formatasi attorno ad un atomo emanato da questa sinistra sfera di fuoco, e che anche il sole, giunto alla fine del suo ciclo, null’altro sarà stato se non un’effimera meteora, una furtiva scintilla sprigionatasi dalla immensità degli spazi, nel corso di una di quelle innumerevoli trasformazioni cosmiche che avvengono in tempi senza fine e senza principio.” Ignoro se Pierre Loti conoscesse i rudimenti della Fisica Quantistica.
Non è per tornare sul tema ritrito dei rottami dell’impero coloniale britannico, ma è difficile scovare nel mondo un luogo in cui i Brits non abbiano lasciato il segno e combinato marachelle. Cattivi ricordi di soprusi e sopraffazioni su popolazioni e siti (in questo caso archeologici.) Pierre Loti (autore poco noto, che meriterebbe invece molta attenzione) indaga, annota e svela, situazioni, fatti e ambienti esperiti in prima persona, e lo fa con una penna di impronta “romantica” spesso pungente e critica, sempre altamente suggestiva. Ecco qualche esempio della sua scrittura, da IL NILO E LA SFINGE: Pag 58: “La donna ci sembra un poco matura. Deve essere tuttavia ancora appetibile per l’asinaio, che la sorregge a due mani, a posteriori, con una sollecitudine commovente e localizzata. Quante cose buffe e strane hanno visto gli asinelli del Nilo, alla periferia del Cairo, di notte. Questa signora appartiene alla categoria delle ardite esploratrici che malgrado la loro alta respectability at home, non si peritano, quando giungono sulle rive del Nilo, di completare la cura del sole e del vento asciutto con un poco di “beduinoterapia.”
Pag 87: “vi è sempre per consentire l’approdo ai battelli un enorme pontone nero che deturpa il paesaggio con la sua presenza e con la sua iscrizione reclamistica: Thos Cook & Son (Egipt limited). Inoltre la ferrovia lungo il fiume per trasportare dal Delta fino al Sudan le orde degli invasori europei.
Pag 88: “A un tratto rumori di macchine, e nell’aria sino ad ora tanto pura, infette spirali nere: sono i moderni battelli a tre piani per turisti, che fanno tanto fracasso quando fendono il fiume, e sono perlopiù sovraccarichi di fannulloni, di snob o di imbecilli. Povero, povero Nilo. Quale decadenza! Dopo venti secoli di sonno sdegnoso, essere oggi costretto a portare a spasso le caserme galleggianti dell’Agenzia Cook, ad alimentare le fabbriche di zucchero, a sfinirsi per nutrire con il proprio limo la materia prima occorrente per le cotonate inglesi!
Pag 102: “Lungo la riva del Nilo, sorge una prodigiosa foresta di pietra. In epoche di inconcepibile magnificenza, questa fioritura di colonne è sorta alta e serrata per la volontà di Amenofi e del grande Ramsete e viene fatto di pensare alla bellezza che, fino a ieri doveva spirare da questo tempio che dominava con il suo superbo splendore, le solitudini immense di questo paese votato da secoli all’abbandono e al silenzio. Invece sotto i colonnati profanati, circola una massa confusa di turisti muniti di Baedeker, e per colmo di derisione, anche qui si è inseguiti dal tonfare dei motori, poiché i battelli dell’Agenzia Cook, sono attraccati a pochi passi di distanza.“
“Il Nilo e la sfinge”, scritto fra il 1907 e il 1909, è un’appassionata raccolta d’impressioni d’Egitto: l’autore non si limita a descrivere ciò che vede, ma cerca di penetrarne il senso, di afferrare il significato dei monumenti, degli istituti, dei costumi e dei simboli, di comprendere il fine dell’antica arte egizia, espressione grandiosa di un prepotente anelito di fede, di un irresistibile bisogno di eternità. Lo spettacolo dei monumenti contaminati dal dilagare della nuova civiltà meccanica, o addirittura ad essa sacrificati, lo fa soffrire profondamente, suscitandogli espressioni di sdegno e di scherno.” Dalla presentazione su Amazon
Attento al costume e alle sue aberrazioni, Lorenzo Ferrara, ha vagato per Londra cogliendo alcuni aspetti, secondo lui degni di nota.
“E poi dicono peste e corna degli Inglesi! Che sarebbero anche un popolo di ipocriti sconsacrati e senza rispetto per il divino. Tutte fandonie! Ecco le prove che testimoniano l’amore dei Brits per il sacro. Pensa che hanno di nuovo tappezzato, e sarebbe la seconda volta in pochi mesi, le stazioni del tube di Londra con manifesti della Madonna. E come li chiameresti se non devoti a Maria? Impiegando la modella della prima volta, si intende, che verrà presto santificata. Ma con l’espressione ancora più dolce e tenera e…assorta. E, soprattutto, con la birra stappata fra le mani. Non lo chiami commistione fra sacro e profano? Ignoro se i buontemponi del birrificio useranno la modella che interpreta così bene l’essenza divina di Maria vergine, mostrandola, provocante, in guêpière, reggicalze e tacchi alti. C’è da aspettarselo. Il contrasto rende. Trattasi di evoluzione naturale. Sta di fatto che la Madonna con la birra ruba la scena, attira, commuove, irrita e fa pensare. Ella ci suggerisce paradisi artificiali, terreni, dove fiumi di birra scorrono, ma quelli del birrificio dicono che la bevanda è senza alcol. Bando alla celia e veniamo al sodo. Di bacchettoni baciapile cattolici che in Italia fanno di Cristo un brand lucrativo, è pieno il creato, io non sono fra questi ma, comunque cristiano, per inclinazione e scelta -un po’ come il vituperato Pasolini quando parlava, ispirato, di cattedrali, croci e statue del Cristo-, dico allora senza indugio che usare la Madonna urta, mette a disagio, infine irrita. Ovvero la blasfemia dietro l’angolo, l’oltraggio nascosto da nobili motivi sociali: -bevi la nostra birra che non prendi la ciucca-.
Capisco che è solo pubblicità, ma perché non hanno scelto un altro soggetto? Che so?, una delle loro tante regine inglesi o Enrico VIII in giarrettiere e spadino, mentre ordina di far secca un’altra moglie. Dirai: ma gli Inglesi sono capaci di farlo. Business is business. Ancora non si è vista la Madonna che tracanna dalla bottiglia. C’è tutto il tempo per vederla. Esagero? Forse. In fondo è solo promozione pubblicitaria, mica è sconcia l’immagine di Maria, tutt’altro, suggerisce soltanto e ammalia, tanto la modella interpreta bene il ruolo, colta da improvvisa ispirazione. Io, che sono sensibile al fascino femminile, mi confondo due volte. Per l’altissima creatura, simbolo di cristianità non c’è pace, e perché la modella è davvero brava e bella. Chi le impedirà di mostrarsi ancora sotto altre vesti, per promuovere l’uso di anticalcare o preservativi, magari ammiccando in déshabillé? Tanto si tratta solo di pubblicità, ripeterebbero gli Albionici. Non intendiamo offendere nessuno, tantomeno i credenti. Per ora Cristo non lo hanno coinvolto, si vede che per loro è inarrivabile.
Interpellato sull’argomento, un responsabile pubblicitario del birrificio mi fa cortesemente notare che avrei preso un abbaglio, non si tratterebbe della Madonna quella ritratta nel tube, ma di una monaca. Ma te ci credi? Cambierebbe qualcosa? Quanti come me son cascati nell’inganno -voluto-? Ma poi Madonna o suora non fanno sempre parte della stessa famiglia?
Se volete comunque venire a Londra per una gita ve lo do io l’indirizzo giusto: Victoria & Albert museum, sala del Barocco. Lì c’è la Virgin of Sorrow, capolavoro di José Mora, Il mezzobusto di enorme suggestione incarna il dolore sedimentato di Maria per il figlio morto, e, da sola, merita un viaggio.
Lucky Saint, a religious-themed alcohol-free beer, had a good Dry January. It credits a compelling out-of-home campaign showing nuns giving in to temptation. By Hannah Bowler, Senior Reporter New alcohol-free beer brand Lucky Saint has leaned into its religious name for a series of out-of-home ads encouraging people to switch to its 0.5% lager for Dry January rather than stop drinking completely. Rankin Creative captured imagery for the campaign, which also features still-life photography from Sun Lee, while Megan Taylor headed up creative from Lucky Saint’s side. E così sia.
Lorenzo Ferrara scriveva anche dei libri che lo avevano piu’ colpito, eccone alcuni su cui si era soffermato. L’articolo fa parte, cosi diceva lui, di una serie che sarebbe stata pubblicata in un secondo volume.
“Ci prendono a paragone, ma evitano di vantarsi dell’origine della loro capitale, Londinium, edificata dai Romani. Volevano fare tutto da soli, così è stato. Gli rimane il vallo di Adriano, le terme di Bath, mattoni sparsi ovunque targati Roma. Della Romanità non sanno che farsene, rimangono di un’altra pasta. Il loro interesse si traduce in ammirazione, lo dimostrano le pubblicazioni a getto continuo su Cesari, imperatori, re, Roma repubblicana e imperiale e il suo declino. Cercano contatti col loro ex impero, forse per nobilitarlo. Qualche esempio. Lo storico che va per la maggiore, Tom Holland in un’intervista di Melanie McDonogh, sciorina una prospettiva intrigante sugli imperatori di Roma, parlando del suo ultimo libro, Pax:
“Quando si parla della Roma degli imperatori, non c’è nulla di equivalente a quel tipo di autocrazia in Occidente. L’identificazione con Roma è, in parte, perché i romani erano qui. Ma in effetti la loro cultura è lontana da noi. L’atteggiamento nei confronti della violenza, del sesso, era tutto diverso”.
Edward Gibbon, che scrisse Declino e caduta dell’Impero Romano, vedeva i romani come ricchi, sofisticati, colti, cioè in pace. In effetti l’estensione della pace romana – globale e la sua durata sorprendente. Pax parla di come Roma è riuscita a creare questa pace mondiale gestendo un impero fatto di diversità: dalla Scozia all’Egitto all’Arabia. Ovviamente ci furono ribellioni, ma la pace deve essere difesa dalla spada. La Diversità dell’Impero Romano deve avere qualche parallelo con la nostra società,” suggerisce lo storico.“Erano convinti che la loro via fosse la migliore. In generale, non esiste il concetto che l’identità romana sia basata sulla razza. Né tantomeno basato sul colore. C’era un senso di civiltà, che faceva barriera contro la barbarie. È da notare che durante l’intera occupazione della Gran Bretagna non ci fu nessun senatore britannico.”
Su Financial Times del primo ottobre 2023, Martin Wolf: “In Caesar’s shadow: “I democratici sono condannati a scivolare nell’autocrazia? Può l’antichità insegnarci come gestire i despoti? Martin Wolf, su due libri sugli uomini forti che vogliono avere tutto. I due libri sono Big Caesars and Little Caesars di Ferdinand Mount e Emperor of Rome di Mary Beard. Entrambi gettano luce sull’autocrazia, un sistema di governo che la democrazia odierna pensava di essersi lasciato alle spalle per sempre, e la cui essenza è esposta nella magistrale analisi di Beard del mondo dei primi imperatori romani, che sarebbero poi rinati come zar, Kaisers e imperatori della storia europea.
Il punto saliente di Mount è un avvertimento: “Dobbiamo fare del nostro meglio per fermare in tempo il possibile Cesare. Stare attenti ai suoi difetti: il suo implacabile egoismo, la sua mancanza di scrupoli, la sua sconsiderata brutalità, il suo sfarzo scadente. Mentre su Evening Standard, 26 settembre Melanie Mc Donagh: “La repubblica romana era più ammirevole dell’impero romano in termini di etica e costituzione: un buon equilibrio tra plebe, classe media e i “grandi”. Tutta quell’austera virtù romana, e l’eroico Coclite sul ponte Sublicio: questo è repubblicano!”
Quasi c’azzecca Melanie Mc Donagh a individuare la vera grandezza di Roma, che non si identifica tanto con l’Impero ma con la forza primigenia e della Repubblica e con la fierezza del cittadino romano, consapevole di far parte di un’entità al di là della quale c’erano barbarie e caos. Ma non ci siamo ancora. Ad autori e giornalisti albionici, attratti dalla grandezza di Roma, difettano gli strumenti per scavare più a fondo. Qualcosa che non riguarda solo fatti, persone e politica.
Ugo Foscolo verrà infatti ricevuto a braccia aperte dal Gothapolitico e culturale inglese; nei salotti più esclusividella capitale come in casa Holland faranno a garaper ospitarlo e qui incontra gente del calibro del primo ministro Castlereagh, il duca di Wellington, nel ritratto, vincitore di Napoleone e lo scrittore Walter Scott,l’unico a detestarlo cordialmente, sbilanciandosi adire del poeta: “brutto come una scimmia e che se parla sembra un maiale.” Che c’entrasse l’invidia verso il nostro grande poeta?Ma gli Inglesi non condividevano il giudizio, anzi amavano il babbuino italiano, pronto a perdere le staffe per niente, a urlare, sbracciarsi recitando come sul palcoscenico, perché sapeva che tutto gli perdonavano, soprattutto le conquiste femminili.Litiga per lettera anche con Byron, e sfida ungiornalista a duello, sparando il suo primo colpo inaria e non sul malcapitato tapino che lo avevaappena mancato. Tutto faceva brodo per alimentarela sua fama di originale e fuori dagli schemi a ogni costo. Perdonano lesue intemperanze gli Inglesi perché italiano e quindi passionale e focoso oltremisura, riconoscendotuttavia la sua grandezza di poeta.
“Com’era nel primo Ottocento la metropoli che ha fagocitato il mondo?!” Dovresti scorrere le pagine di un libriccino introvabile per saperlo: “Viaggio a Londra di anonimo.” pubblicato da Il Polifilo. Annotava Lorenzo Ferrara.“Alzi la mano chi non conosce l’“officina delmondo”. Scrive. “E chi non è stato colpito dalla mescolanza di razze, tradizioni, stili e costumi provenienti da ogni dove. Vivendoci da tanti anni Londinium non finisce di stupire. Secondario l’abbigliamento bizzarro, esibizionista o provocante, dark o heavy metal, c’è chi si acconcia come per impersonare Mohicani, Marziani, pagliacci o il Nulla.”
Per amore o per convenienza: “Da Londra è partita una colonizzazione “culturale” globale senza precedenti. La sua cifra identificativa nel mondo: l’accoglienza e la promozione delle diversità, che assomigliano piuttosto a un diktat auto imposto, ovvero va bene qualsiasi stile di vita, per necessità, convenienza o manifesto opportunismo, perché gli affari lo impongono. Londra è la vera Babele dei tempi moderni.” Era il 1834, e c’è da crederlo.
Svanito nel nulla. Non una traccia. Lo conoscevo quel tanto che basta per rimpiangere la sua compagnia. Lorenzo Ferrara da mesi si è come dissolto. Conservo diversi suoi scritti che mi affidava chiedendo di dargli un parere, fra una esternazione e l’altra, ai quali, tuttavia, non badava troppo. Diversi inediti, altri brani pubblicati. Li rileggo nella speranza di trovarvi il bandolo della sua sparizione-enigma e di rivederlo presto, ma temo sia vano auspicio. Qui la prima delle sue annotazioni sui libri gia’ pubblicati e altri in via di pubblicazione trasformate in post.
Lorenzo Ferrara mi parlava spesso del suo decennale soggiorno in Gran Bretagna che lui, come molti, chiamava Perfida Albione. “Sprovvisto della maestria poetica di Ugo Foscolo, al quale i Brits tutto perdonavano, dovrei tacere.” scriveva. “Riconoscente per la presunta ospitalità goduta tempo addietro in terra inglese. E invece…Tra invasioni e cacciate di intrusi la vera storiadei Brits comincia con Hastings e prosegue con leimprese del femminicida Enrico VIII, il quale dovette pensare: Tutti questi matrimoni e divorzi micostano un patrimonio, a me servono denaro e unerede, se divento io la Chiesa mi becco un sacco diquattrini divertendomi anche con un po’ di femmine.Gli Inglesi sono meritevoli per come trattano lastoria loro e altrui, basta visitare il British Museum, custode insuperato di reperti di popoli stanziati ovunque nel mondo, (anche se il suo direttore ha dovuto dare le dimissioni per certi trafugamenti imperdonabili). Se vuoi ammirare la succursale di Atene vai al piano terra, ci sono, per adesso, i marmi strappati da lord Elgin al Partenone e che nemmeno Melina Mercouri è riuscita a farsi restituire con l’aiuto del Boris Johnson formato studente. Se un popolo non ha “quella Storia”oppure è troppo recente, come la loro, la prende inprestito da altri.” Questo l’esordio delle sue memorie-esperienza raccolte in un volume. Indicazioni, ironia, indagini e confronti in presa diretta in casa degli ex padroni del mondo. Aveva intenzione di dare alle stampe un secondo volume. Dovrei frugare fra appunti e inediti che mi ha affidato per trovarlo.
Per comprendere cosa c’è alla base dell’Italia post bellica e cos’è accaduto all’italica stirpe in questi ultimi 80 anni ci vorrebbe un trattato di Fisica Quantistica, e di Psicopatologia sociale, forse non basterebbero, ma stando coi piedi per terra, e desideroso di saperne di più, riporto un capitolo tratto da Albione la perfida, Solfanelli edizioni, che ospita in prima battuta l’analisi schietta e limpida di Sergio Romano, ex ambasciatore, scrittore, giornalista, analista politico, con un palmares di onorificenze da urlo).
“Questioni in sospeso Spinosa e irrisolta, la questione del come abbiamo digerito o rimosso la sconfitta della seconda guerra mondiale rimane sottopelle. L’argomento parrebbe obsoleto ma non è così. Ce lo dice lo stesso dopoguerra e ce lo ricordano gli Inglesi. I nostri ultimi ottanta anni riguardano anche loro, essi si interrogano su questioni nostrane senza capirci molto. Sergio Romano su Finis Italiae, All’insegna del pesce d’oro, mette a nudo alcune “peculiarità” italiche scrivendo: “(…) In Italia dopo la seconda guerra mondiale, non vi sono stati né desiderio di rivalsa né processi alla nazione. Dopo la caduta del fascismo e l’armistizio la grande maggioranza del paese si è ritirata nell’attendismo e si è limitata a guardare dalla finestra il resto del dramma misurando diplomaticamente e prudentemente il proprio consenso alle forze in campo. Dopo la sconfitta della Germania e del suo satellite fascista ha stretto un patto tacito con l’antifascismo trionfante…I politici antifascisti potevano proclamare diessere stati ingiustamente e violentemente espropriati del potere, gli italiani potevano sostenere d’essere stati oppressi e asserviti da una dittatura aliena. Era una menzogna, naturalmente, ma presentava molti vantaggi, fra cui quello di permettere all’Italia di finire nel campo dei vincitori.” (in linea teorica perché poi non è stato così, come qui vedremo). “Se il fascismo era davvero, come essi avevano sostenuto per meglio vincere la guerra, una sorta di incarnazione satanica… nessuna potenza vincitrice era tenuta a interrogarsi sulle cause della seconda guerra mondiale e sulle proprie responsabilità dopo la fine della prima. Promuovendo il fascismo al rango di “male assoluto” gli alleati permisero agli italiani di sbarazzarsi del loro passato con una menzogna e di mettere la guerra sulle spalle di un uomo, Mussolini. Se gli italiani non avevano perduta la guerra non era necessario intentare un processo alla nazione per individuare gli errori materiali e morali che avevano portato il paese alla disfatta. In realtà tutti sapevano che le cose erano andate diversamente, che il consenso aveva accompagnato Mussolini sino alla fine degli anni Trenta e che si era gradualmente dissolto soltanto dopo i bombardamenti e le prime sconfitte. Una menzogna – “non abbiamo perso la guerra” divenne così l’ideologia fondante della Repubblica democratica”. Amen.
Se lasci “fermentare” le cocenti parole di Sergio Romano ti accorgi che ci sarebbe moltissimo da commentare e analizzare, ma occorrerebbe spogliarsi di ogni faziosità o appartenenza. Temo al proposito che sarebbe più facile eliminare concrezioni calcaree centenarie che manco il Viakal riuscirebbe a rimuovere. Venendo agli Albionici, essi versano sale sulle nostre ferite. Tony Barber, European comment editor su Financial Times del 27 ottobre 2022: (…) l’Italia si è scagionata dai crimini commessi sotto il Duce. Descrivere Giorgia Meloni… e Fratelli d’Italia come diretti discendenti di Mussolini e dei fascisti è fuorviante. Hanno conquistato il potere in elezioni libere e competitive; non uccidono né usano la violenza di massa contro i loro oppositori; non intendono creare una dittatura a partito unico; e non hanno intenzione di invadere paesi stranieri e costruire un impero italiano nel Mediterraneo e nell’Africa orientale. I libri, Mussolini in Myth and Memory di Paul Corner e Blood and Power di John Foot, raccontano perché l’estrema destra sta cavalcando l’onda oggi. Una spiegazione: sebbene Mussolini non sia stato ufficialmente riabilitato, molti italiani guardano al suo governo con tolleranza e ammirazione. Tendenza non limitata ai politici di destra, perché? Corner, professore emerito all’Università di Siena e autore di libri sul fascismo si chiede: “Come mai un uomo giustiziato da italiani, il cui corpo è stato appeso al cavalletto di una pompa di benzina per pubblica esecrazione, è diventato una figura a cui si guarda con un certo riguardo, persino nostalgia?” Corner sostiene che, nella memoria collettiva italiana, alcuni aspetti apparentemente benigni del fascismo sono stati “salvati” e altri – come la violenza di stato, la repressione delle libertà, la polizia segreta, le atrocità coloniali e la costante marcia verso la guerra – opportunamente dimenticati, vile la complicità dell’establishment politico e della monarchia. Di qui l’esonero di colpa o responsabilità.
Vittime, non carnefici, dunque. Corner considera la polemica sorta per l’affermazione dello storico Renzo De Felice secondo cui il fascismo aveva beneficiato del “consenso di Massa” almeno dal 1929 al 1934. Per gli italiani moderni, questo non ha indotto “costernazione e ricerca interiore sul modello tedesco ma una sorta di autoassoluzione nazionale”. Come mai? Perché gli italiani si considerano brava gente – buoni e rispettabili. Incapaci di sostenere un regime malvagio, e quindi la dittatura di Mussolini non avrebbe potuto essere così grave. Come Corner, Foot, professore di storia italiana moderna all’Università di Bristol, sottolinea che la violenza è stata il tema dell’ascesa della dittatura fascista. “essa è stata costruita su un cumulo di cadaveri, teste spaccate, vittime traumatizzate della violenza, libri bruciati, cooperative e sedi sindacali distrutte”. Il problema, descritto da Corner e Foot, è che molti italiani hanno un’immagine gravemente distorta della storia del loro paese nel XX Secolo, è difficile trovare paesi che abbiano una corretta comprensione del loro passato, delle loro “verruche” (cosi la traduzione) e di tutto il resto. La piena conoscenza di sé è dolorosa e forse impossibile da raggiungere. Ma c’è un prezzo da pagare per questo in termini di qualità della democrazia e della vita pubblica”. Ecco ciò che pensano i Brits di noi.
Agli amici inglesi dico: se democrazia fa rima con trasparenza, e se noi dobbiamo pagare un prezzo per migliorare la qualità della democrazia cosa aspettano a farlo anche loro? Di scheletri nel loro armadio ne hanno diversi. Quando i Brits prenderanno atto dei loro crimini distribuiti equamente nel mondo? Sai quante verruche abbiamo da curare tra noi e loro?! Ma ora conviene smorzare i toni. Dov’eravamo rimasti?
Nel cataclisma succeduto alla fine della seconda guerra mondiale si annidano i semi di una pianta velenosa e antica: l’inconciliabilità di fatti, opinioni, uomini e inclinazioni, tipiche del nostro modo di essere, fenomeno prettamente italico; è questo il periodo che Gianfranco de Turris indaga nella sua ultima fatica, recensita da Giovanni Sessa su Barbadillo: Dialoghi sgradevoli , Idrovolante edizioni. I lemmi correlati al termine sgradevole, nel titolo, secondo l’Enciclopedia Treccani riportano: spiacevole, disgustoso, nauseabondo, nauseante, repellente, ributtante, ripugnante, rivoltante, schifoso, stomachevole, vomitevole. Mi fermo qui. Per chi ha avuto amici o parenti torturati o accoppati dalla polizia segreta fascista o dal terrorista rosso di Prima Linea i sinonimi valgono un niente. Sono state vendette, delitto e crimine e il crimine non ha sinonimi se non quello di tragedia incancellabile a futura memoria. In tutte le vicende succedute dal 1945 in poi non emerge alcuna volontà di ricordare per capire e per non ripetere la tragedia nazionale, non c’è stato, come dice Sergio Romano, alcun ravvedimento, alcuna necessità o volontà di dialogo o confronto chiarificatore, si è preferito emulare gli struzzi. il Male assoluto, cioè il Fascismo, aveva scelto noi, non il contrario, come alibi traballa non poco. Tutti assolti dunque, ma così si sconfessa la storia.
Come fai a rinnegare le immagini d’epoca di piazze strabocchevoli inneggianti al Duce? I fotomontaggi sono venuti dopo. Il libro di de Turris, appena uscito, parla di questi conflitti irrisolti, rovistando in armadi che custodiscono nomi, fatti, sconvenienze, interessi e voltafaccia. Dialoghi sgradevoli è assimilabile a una serrata partita di tennis condotta in forma di dialogo tra Simplicio e il ben informato e polemico Filarete, un volo d’uccello radente che rispolvera antichi e nuovi dilemmi politici, dissidi, faziosità incendiarie e contrasti irrisolti fino alle tragedie ricorrenti.
Consentimi una digressione personale. Avevo un amico, spirito bizzarro, provocatorio ma verace e sincero. Non nascondeva affatto le sue frequentazioni in ambiente nobiliare e monarchico e contestava, sarcastico, i compagni di classe, contestatori del ‘68. Viveva in una casa in collina nel torinese, in cui infissa al muro c’era una lapide, alla memoria di una partigiana, Eleonora Gazzignato che lui spolverava. Dall’animo socialista era convinto che capitalisti e imprenditori britannici dell ‘800-’900, se non avessero imposto turni inumani a giovani e donne, che per questo si ammalavano gravemente, Marx non avrebbe avuto quel successo che ha avuto. Il mio amico incarnava, senza saperlo, l’inconciliabilità dei fenomeni della storia, infatti teneva sul comodino Rivolta contro il mondo moderno di Julius. Evola, che consultava assiduamente e alcuni brani sottolineati di Gabriele D’annunzio, uno dei quali recitava: “Liberiamoci dell’Occidente che non ci ama e non ci vuole. Separiamoci dall’Occidente degenerato, divenuto una immensa banca giudea in servizio della spietata plutocrazia transatlantica”. Ma non divaghiamo. L’autore non risparmia nessuno e l’ultimo libro è una carrellata impietosa sul chi come dove e perché del dopoguerra, che pare non finisca mai. La sua narrazione non fa sconti e mette in luce anche il ruolo non secondario di una stampa a dir poco faziosa che si sente investita di Verità assoluta.
Alcuni stralci aiutano a capire il contenuto del volume: Pag 107: “Filarete – Della guerra… Perduta, e non certo vinta come da decenni ci si vorrebbe far credere. Nonostante il cambiamento di campo dell’8 settembre – una resa incondizionata e non un vero armistizio – nonostante il Regno del Sud alleato degli angloamericani, nonostante il sacrificio di sangue dei militari del Sud aggregati alle armate alleate, non ci venne fatto alcuno sconto: sconfitti eravamo e sconfitti siamo rimasti, il Trattato di Pace di Parigi ci ha considerato tali privandoci delle colonie, di ampi lembi di territorio nazionale, condannandoci alle riparazioni di guerra, alla perdita della flotta. Ti sembra che siamo stati trattati da alleati-vincitori?”
Pag 122: “Filarete – Dunque, il 4 settembre 1993, in vista dei 50 anni del cosiddetto “armistizio” il generale Luigi Poli, presidente dell’Associazione nazionale combattenti della guerra di liberazione, e Giulio Cesco Baghino, presidente dell’Unione combattenti della RSI, inviarono un messaggio al capo dello Stato, il cattolicissimo Oscar Luigi Scalfaro, chiedendo di essere ricevuti “per simbolicamente dare il via alla pacificazione e parificazione fra tutti gli italiani che in quei tragici giorni impugnarono le armi per la Patria, a prescindere dalla parte in cui si schierarono”. Non se ne fece nulla di pubblico per gli strilli degli antifascisti in s.p.e. Ma i militari con le stellette e con il gladio, come li definì Poli, un atto di riconciliazione lo fecero lo stesso. Qualche coraggioso disse: “Un’Italia pacificata e parificata per la ricostruzione: a 50 anni dalla guerra civile, cessino le discriminazioni fra italiani, si ricrei la concordia nazionale, si mettano al bando i fomentatori di odio tra i figli di una stessa patria. La data dell’8 settembre può rappresentare l’occasione del riscatto della nazione se il presidente della Repubblica saprà dar seguito all’appello rivoltogli dal generale Poli e dall’on. Baghino a nome dei caduti e dei combattenti di 50 anni fa dell’una o dell’altra parte”. Simplicio – Nobili e alate parole, ma senza seguito. Chi le pronunciò? Filarete – Effettivamente senza seguito… È una dichiarazione all’Ansa di Gianfranco Fini, segretario del MSI.”
Se delitti e infamie politiche dell’Italia del Duecento e Trecento. così ben tratteggiate da Dante Alighieri, fra Guelfi e Ghibellini, fra bianchi e neri, fra papato e impero, e tra lega e impero, si fossero trasferiti paro paro, radicandosi nei nostri giorni, per scandire nuovi tragici contrasti, nuove contrapposizioni? Ovvero impedendoci di realizzare la parte migliore di noi, vietando di stimare e promuovere la nostra unicità, il valore e le virtù italiche? Se insomma quegli antichi dissidi si fossero trasformati in una cifra ontologica, in connotato ineliminabile, perdurante, descrivendo un’inclinazione tutta e solo italiana alla rissa, all’isteria, al sopruso, alla vendetta, all’incapacità di farsi vera nazione. -Sei di destra?- -NO,- -sei di sinistra?- -NO…sono “solo” italiano.- Scritti come quelli di Sergio Romano e di Gianfranco de Turris e, in fin dei conti anche quelli degli studiosi inglesi, sono sale sulle piaghe ma anche stimolo per tentare una vera, definitiva riconciliazione patria e cercare una via d’uscita. Spetta alla nostra generazione farlo, prima che il velo d’ignavia e indifferenza scenda, irreparabile, ad annebbiare ancora di più quegli eventi.