il Profeta parlava?

Ho letto con molto interesse e profitto la raccolta dei detti del Profeta di Sir Abdullah Suhrawardy. Sono fra i tesori dell’umanità, non soltanto di quella musulmana.  Io credo alle verità di tutte le grandi religioni del mondo. Non ci sarà pace durevole sulla terra fino a quando non impareremo non solo a tollerare, ma anche ad avere riguardo per le fedi diverse dalla nostra.”

Era il 24 marzo del 1938 quando a Calcutta il Mahatma Gandhi scrisse queste parole. Parole che sono parte della prefazione di un libro a cura di Abdullahal-Mamun al-Suhrawardy della NEWTON COMPTON EDITORI tradotto da Omar Camiletti. Cos’ha di speciale il libretto? Nulla che non sia già stato riportato, e a cui io ho ben poco da aggiungere. La finalità esplicita dell’opera è forse la cosa più ragguardevole (di circa 40 pagine) le intenzioni infatti trapelano chiarissime e confortanti. A cominciare dalla nota del curatore inglese, J.L. Cranmer  Byng. Il quale scrive: “L’obiettivo del curatore di questa serie è quello di contribuire a far luce sui grandi ideali e le elevate filosofie del pensiero orientale aiutando lo spirito di eguaglianza che non è disprezzata né temuta fra i popoli di differente fede ed etnia. A volte risalire alla fonte diretta dei testi aiuta a capire meglio ciò che si pensa di conoscere (malamente) per sentito dire. Il saluto dei musulmani è As salam-aleikum che vuol dire: La pace sia con te.  La parola Islam significa: assoluta sottomissione alla volontà di Dio che ricorda l’espressione cristiana Sia fatta la Tua volontà. Egli ha stabilito per voi, nella religione, la stessa via che aveva raccomandato a Noè, quella che riveliamo a te, o Muhammad, e che imponemmo ad Abramo, a Mosè e a Gesù: Assolvete al culto e non fatene motivo di divisione (Corano, XLII,13) I musulmani credono in una catena di profeti ispirati e di maestri che pensavano le stesse verità rivelate all’alba della coscienza religiosa dell’uomo. Essi credono nelle rivelazioni divine di tutti primi profeti e che il Corano è l’ultima di tutte le rivelazioni. Ogni epoca ha avuto la sua Scrittura (Corano, XIII, 38). Il Corano non fa distinzione fra nessuno dei profeti (Corano, II, 136) e i musulmani usano per tutti loro lo stesso termine di rispetto Sayedana Hazrat (Mio signore e maestro). A pagina 25 della corposa introduzione leggiamo: I musulmani credono che gli ebrei abbiano commesso l’errore di negare la missione di Cristo, e che i cristiani abbiano sbagliato nell’oltrepassare i limiti delle lodi al Profeta Gesù, arrivando a deificare il Cristo…

E più oltre: Soltanto quando la libertà e soprattutto il suo diritto al culto come credente sono messi in pericolo, l’Islam può prendere le armi per difendersi, e le mantiene per autodifesa. Ma l’Islam non interferisce mai con i dogmi di qualsiasi fede o etica. Non inventò mai la tortura, né strangolò coscienze o sterminò eresie.” Concludiamo, prima che l’argomento mi prenda la mano, e che sollevi un coro di obiezioni, con le parole di Pierre Crabites, un giudice americano dei tribunali misti del Cairo: Muhammad fu probabilmente il più grande campione dei diritti delle donne che il mondo abbia mai conosciuto.

Secondo Bertram Thomas: La sua umanità abbracciava tutto, mai smise di perorare la causa della donna contro i maltrattamenti dei suoi contemporanei. Un libretto prezioso che aiuta a comprendere qualcosa sulla fede in Allah e il vicino di casa. Non ti pare?

Ai miei attuali vicini di casa che sono etiopi musulmani e vivono proprio attaccati al mio orto ho detto che stavo leggendo il Corano, mi han chiesto se ne volevo una copia in inglese e poi, la moglie, dal viso lasciato scoperto dal velo mi ha detto che Corano e Bibbia hanno diversi punti in comune, poi mi ha portato il solito caffè annacquato e due fette del loro pane; quando mi chiamano è perché vado a tagliare l’erba del loro prato.

c’era la grande foresta?

La Grande Foresta

C’è un libro che non mi stanco di rileggere, è La Grande Foresta. Ogni volta le sue pagine suggeriscono un fascino diverso, nuove avvincenti emozioni, mondi scomparsi, inghiottiti dal progresso febbrile e dai singulti di una nazione neonata.

Parliamo del rito della caccia, simile a un’iniziazione sacrale, il gusto del sangue versato dal gigantesco Ben, del silenzio, dell’attesa, della paura e della fatica. Quel libro l’ha scritto un gigante della letteratura. Il grande William Faulkner.  Spiega Mario Materassi, nella bella edizione di Adelphi  che LA GRANDE FORESTA, magistralmente tradotto da Roberto Serra, è un capolavoro poco conosciuto.  Frettolosamente catalogato dalla critica come storia di caccia, così scrissero Michael Millagate, Malcom Cowley, Martin Pedersen. La morte di un orso e l’agonia di un cane, entrambe speciali, entrambe simboli di una terra mitica, destinata a essere inghiottita da pionieri ruggenti di scrittura protestante che bevevano whisky bollito e che trascinavano nella foresta infestata la moglie gravida.

Il selvaggio Algonchino e Choctaw e Natchez. Mille spagnoli e poi francesi e inglesi, poi ancora spagnoli e ancora inglesi. Definitivamente.Vengono alla memoria le carabine arrugginite e i negri pieni di sonno, i tronchi morti della foresta, l’uomo che mangiava formiche e ancora l’orso mitico, il vecchio Ben, al di fuori di ogni regola e che viveva col piombo in corpo di cento pallottole e poi l’indiano Chickasaw col cuore di un cavallo e la mente di un bambino, con occhi piccoli e duri come bottoni e poi cacciatori, abili nel sopravvivere, e i cani e l’orso e il cervo messi fianco a fianco, trascinati dalla foresta. Nella ricca terra alluvionale nera e profonda che faceva crescere il cotone più alto della testa di un uomo a cavallo. Un’unica rete commerciale avrebbe presto venato come una ragnatela il subcontinente abbracciato dal Mississipi, cancellando per sempre la foresta.

Un finto libro sulla caccia che invece scava nella geografia, nel mito di una natura ancestrale, prossima a dissolversi. È un racconto senza trame dichiarate ma con una solida ossatura e una trama interiore precisa e incalzante. Ho trovato LA GRANDE FORESTA ogni volta diverso, suggestivo, profondo, in quella prosa modernamente piana, ripetitiva quanto mai, e anticipatrice di Faulkner. Mi piace pensare che il fascino ipnotico e intriso di analitico rigore narrativo farà guadagnare nuovi lettori al libro. A volte certi capolavori, come questo, non se ne conosce il motivo, giacciono inesplorati, lontani dal clamore pubblicitario e dalla gogna o enfasi della critica letteraria, per rilasciare molto tempo dopo un fascino e una crudezza fuori del comune. È il caso de LA GRANDE FORESTA. Sorta di denuncia radicale, attualissima, e condanna senza remissione contro la furia cieca e devastatrice del progresso che sopprimerà creature uniche come il cane, l’orso primordiale e il loro ambiente. Decisamente attuale, non ti pare?


Il mio insopprimibile desiderio di scrivere su Amazon.