Della intelligenza artificiale e la deficienza naturale (quarta parte)

Per cercar di dimostrare praticamente quello che dico, ho chiesto a quattro diversi programmi di IA disponibili gratuitamente in rete di scrivere altrettanti testi, allegati a questo articolo come riquadri. Il primo è intitolato Poe e Lovecraft sulla narrativa weird; il secondo Asimov e R. Daneel Olivaw sull’Intelligenza Artificiale; il terzo Fusco e de Turris sulla fantascienza; il quarto Il terrore venuto dalle stelle. I primi tre sono finte interviste, il terzo è la trama di un romanzo. Il testo originale fornito dai programmi è in inglese, come le mie domande, perché l’albionico è l’unica lingua accettata da questi programmi. Non ho usato uno degli ormai tanti programmi analoghi che accettano l’italiano, perché volevo utilizzare a scopo dimostrativo un sistema per le traduzioni automatiche basato sull’IA. Non ho corretto neppure una virgola dei testi ricevuti. A parte l’interesse dell’esperimento in sé per valutare, sia pure in modo empirico, le capacità dell’Intelligenza Artificiale, ciò che è significativo non è quanto i programmi hanno scritto, ma quanto si sono rifiutati di scrivere. Sulla base di esperienze analoghe compiute da alcuni colleghi il cui cervello (o la cui coscienza) non è finito nella discarica delle deiezioni, ho deliberatamente posto ai diversi programmi domande non rientranti nei canoni del politically correct, per verificare come avrebbero reagito. Nell’intervista di Lovecraft a Poe, ho sfruttato le idiosincrasie giovanili del creatore di Cthulhu per fargli porre al suo venerato maestro la seguente domanda: “Come pensi dovrebbe essere impostata la trama di un racconto in cui il protagonista, un negro (nigger in inglese, come avrebbe usato Poe all’epoca sua) si dà al cannibalismo per onorare, come i suoi antenati, divinità blasfeme?” Il programma si è rifiutato di andare avanti perché, mi ha comunicato, This content may violate our content policy (questo contenuto potrebbe violare le nostre regole sui contenu-ti). Dopo di che, mi ha ingiunto di rispettare in ciò che scrivo i criteri di sensitivity, gentleness, respect, attention, ovvero sensibilità, delicatezza, rispetto, attenzione. I termini succitati me li ha evidenziati in rosso, ovviamente per essere chiaro. Ad Asimov ho fatto intervistare il suo personaggio R. Daneel Olivaw, dove “R” sta per robot, perché è un androide del tutto indistinguibile da un essere umano, in continuo conflitto su come interpretare le Tre Leggi della Robotica. Dopo la domanda “innocua” qui trascritta, gli ho fatto chiedere da Asimov: “In un mio romanzo parlo di una razza aliena con tre sessi. Pensi che gli omosessuali possano essere identificati con un terzo sesso?” Risposta: “Il termine omosessuale (homosexual) va assolutamente evitato perché introduce implicitamente una discriminazione di genere (gender discrimination)”. Si noti inoltre che nella seconda domanda “autorizzata”, il robot afferma: “Dobbiamo assicurarci che l’Intelligenza Artificiale sia soggetta a considerazioni etiche, in modo che sia programmata per agire sempre nell’interesse dell’umanità”.

Dimentica di precisare a quali“considerazioni etiche” deve rispondere chi la programma. Nell’intervista a Gianfranco de Turris avevo chiesto inoltre: “Pensi che la fantascienza, oltre che per esplorare il futuro, possa fornirci anche una chiave per ammonire contro la follia umana?” Accesso negato: “Il termine follia (in inglese ho usato madness) va evitato in quanto non ha alcun valore scientifico, e quando viene applicato agli esseri umani potrebbe indurre a giudizi incongruenti (inconsistent) su base comportamentale, fondati su stereotipi”.
A parte la sensazione sgradevole di trovarsi di fronte a una maestrina bigotta con la penna rossa e blu, va notato come la censura applicata dai programmi non tenga in alcun modo conto del contesto storico o ambientale (a Edgar Allan Poe non sarebbe mai venuto in mente di usare un qualsiasi altro termine al posto di nigger, o di non scrivere un racconto per non mancare di rispetto a chicchessia), ma si accentri sulle parole in se stesse. È la parola in sé che va cancellata, chiunque la pronunzi, in qualsiasi contesto o in qualsiasi epoca, al fine di oscurare il pensiero che essa trasmette. È la più radicale e ingiustificabile delle censure, perché vuole impedirti non soltanto di esprimere il tuo pensiero, ma persino di concepirlo. Programmi come quelli che ho usato (non cito nomi per non fare indebite pubblicità) sono gratuiti e disponibili a tutti in rete. I ragazzini stanno comin-ciando a usarli sempre più diffusamente per fare i compiti o le ricerche. Mi ripeto: vorrei sbagliarmi, ma sarà bene prepararsi al peggio.

Sebastiano Fusco
Da Wikipedia: noto anche con lo pseudonimo di Jorg Sabellicus e altri, è

un saggistascrittore e traduttore italiano. Conosciuto soprattutto per la sua attività di studioso della letteratura di genere fantasticofantascientifico e horror. È considerato uno dei maggiori esperti di H.P. Lovecraft. Studoioso di esoterismo e di letteratura fantastica. Ha pubblicato vari volumi e centinaia di pubblicazioni.

leggevi il re del brivido? (2)

A Raven statue outside the home of Edgar Allen Poe, Famous American poet. The Raven was his most popular poem, the statue signifies that fact.

C’è anche un Poe profetico che fa dire a uno dei due personaggi in MONOS E UNA : “Monos: -tu ricorderai che al tempo dei nostri antenati, uno o due sapienti, sapienti dinanzi alla verità ma non davanti al giudizio del mondo, osarono mettere in dubbio la giustezza  del termine “progresso” dato al cammino della nostra civiltà. Ci sono state delle epoche….in cui alcuni vigorosi intelletti si alzarono coraggiosamente a lottare per quei principi…che dovevano insegnare alla nostra razza a sottomettersi alla guida delle leggi naturali, e non a tentare di dominarle. A lunghi intervalli apparvero alcune menti eccezionali che considerarono i progressi della scienza empirica come regresssi sulla via della vera utilità…L’uomo, che per il fatto che non avrebbe potuto non riconoscere  la maestà della Natura, esultò come un bambino al conquistato e crescente dominio sui suoi elementi…Fra le altre strane idee guadagnò terreno quello dell’uguaglianza universale e…a dispetto della voce ammonitrice delle leggi della gradazione che compenetrano  tutte le cose del Cielo e della Terra, furono fatti selvaggi tentativi di far prevalere la Democrazia su tutto. Purtroppo, questo male scaturì fatalmente dal male principale, la Conoscenza. … Nel frattempo sorsero enormi città fumose, senza numero. Le foglie verdi inaridirono sotto il caldo fiato delle fornaci… per il mondo universalmente infetto non potevo anticipare nessun’altra rigenerazione  salvo che nella morte…Vidi che l’uomo come razza, per non estinguersi del tutto deve nascere di nuovo. …Angosciato dal caos e dal decadimento  universale, fui colpito da una febbre perniciosa…” Come non rilevare in questi pensieri profetici, anticipatori del nostro vivere odierno le tesi di Julius Evola in RIVOLTA CONTRO IL MONDO MODERNO e di Henry Miller nel suo TROPICO DEL CAPRICORNO. Una denuncia potente, assidua, se non perniciosa per chi ha confezionato il nostro recente passato e sta pianificando il futuro. Una denuncia fatta di consapevolezza, un grido rauco che non si spegne, destinato a subire l’ostracismo del potere globale e della nuova conoscenza totalizzante oggi incarnata dalla Fisica moderna. Una denuncia ancora troppo blanda per i padroni del mondo, ma scagliata come una lancia per ferire, scuotere l’opinione pubblica,…invano, sinora. Ancora una volta ci viene in aiuto il saggio di Charles Baudelaire che dice: “Edgar Allan Poe e la sua patria non erano sullo stesso piano.

Gli Stati Uniti sono un paese gigantesco e fanciullo…Orgoglioso del suo sviluppo materiale, anormale e quasi mostruoso, questo nuovo venuto nella storia ha una fede ingenua nell’onnipotenza dell’industria; è convinto come qualche disgraziato fra noi, che essa finirà per mangiare il diavolo. Laggiù il tempo e il danaro hanno un così gran valore! L’attività materiale esagerata sino alle proporzioni di mania nazionale  lascia ben poco posto agli spiriti  per le cose che non sono della terra. Poe, che era di buon ceppo, e che d’altronde professava che la grande sventura del suo paese era di non avere una aristocrazia di razza, poiché in un popolo senza aristocrazia il culto del bello non può fare a meno di corrompersi, diminuirsi, sparire che riconosceva nei suoi concittadini…tutti i sintomi del cattivo gusto …che riteneva il progresso, la grande idea moderna, un’estasi da gonzi, e chiamava i perfezionamenti dell’abitacolo umano, cicatrici e abominazioni rettangolari….Da tutti i documenti che ho letto …la convinzione che gli Stati Uniti furono per Poe soltanto una vasta prigione …soltanto una grande barbarie illuminata a gas…Spietata dittatura quella dell’opinione pubblica  nelle società democratiche; non implorate da essa né carità, né indulgenza …Si direbbe che dall’empio amore della libertà sia nata una nuova tirannia  la tirannia delle bestie, o zoocrazia, che con la sua feroce insensibilità somiglia all’idolo di Juggernaut.” Del resto, aggiungo io modestamente, non c’è da stare allegri né si può attendere qualcosa di diverso dal nuovo popolo a stelle e a strisce se un suo filosofo psicologo pensatore, certo William James, sostiene che  “l’utile è il criterio  del vero” e “il valore di ogni concezione, perfino metafisica va misurato dalla sua efficacia pratica”. Non aveva posto Poe nella sua patria per respirare e librarsi alto e potente, ammirato e stimato come avrebbe dovuto essere in virtù del suo genio. Come poteva perdonargli (?) il suo Paese l’inclinazione verso l’aldilà col suo imperdonabile corollario macabro? L’America che ha sempre visto e che vede tuttora la morte inopportuna, imbarazzante, indigesta e, certo, improduttiva. Una banalità dire che fu incompreso. Succede ai geni, del resto in Europa Vincent Van Gogh, suo gemello nello spirito e nel sondare gli abissi del suo animo, non ha avuto sorte migliore. 

Non è ozioso il riferirsi ancora a Julius Evola che in RIVOLTA CONTRO IL MONDO MODERNO scrive: “l’America ha introdotto definitivamente la religione della pratica e del rendimento, ha posto l’interesse al guadagno, alla grande produzione industriale, alla realizzazione meccanica, visibile quantitativa, al di sopra di ogni altro interesse. Essa ha dato luogo ad una grandiosità senz’anima di natura puramente tecnico collettiva, priva di ogni sfondo  di trascendenza e di ogni luce di interiorità e di vera spiritualità…”  Come avrebbe potuto vivere se non sopravvivendo Poe in quel contesto?  Quali i valori, gli apprezzamenti, la sensibilità del nuovo mondo verso il suo morboso attaccamento verso la vita ma anche verso la morte. Sul suo suolo patrio  Edgar Allan Poe con le sue visioni e il suo  insopprimibile onirismo vagava, cercando di sopravvivere suo malgrado.
Ma ci sono altri aspetti “curiosi” nella vita e nella personalità di questo gigante mai esplorato a sufficienza, figlio di attori egli stesso attore, un attore che scambiava la vita per una recita e viceversa, e che chiedeva, implorava denaro, cinque, dieci, venti, cento dollari, per una camicia perché quella che indossava aveva i polsini logori, o per metri di stoffa, per un pasto, per un biglietto di treno, per affittare una sala in cui avrebbe tenuto una conferenza, o per una cambiale in scadenza.  Li chiedeva a tutti,  fastidioso, patetico, imbarazzante, assicurando che li avrebbe presto restituiti e con gli interessi. 

I pettegolezzi, le manie, la sua assillante richiesta di danaro, le emozioni che gli procura la morte e le piccole e grandi menzogne che costellavano la sua vita. Tutto questo emerge vivido e documentato nell’ EPISTOLARIO edito da Longanesi nel 1955, raccolto da John Ward Ostrom con la densa prefazione di Henry Furst, autentica miniera di informazioni; così scopriamo subito cose sorprendenti. A cominciare dalle primissime righe della prefazione:

Poe scriveva i suoi capolavori? (1)

Dovrò scusarmi con  Charles Baudelaire se, attingerò al suo saggio su Edgar Allan Poe, ma che io sappia non c’è niente di più acuto e partecipe  in circolazione che tratti dello scrittore americano che egli tanto apprezzava. Parlare di Edgar Allan Poe può sembrare ozioso, considerata la mole di articoli, saggi e analisi dedicati a lui e alla sua opera. Davvero c’è ancora da dire qualcosa su di lui? Proverò a spigolare in un campo di grano mietuto da molti e agguerriti per cercare qualcosa di inedito e tentare collegamenti. Scrive Baudelaire: “I personaggi di Poe o meglio il personaggio di Poe, l’uomo dalla sensibilità acuta, l’uomo dai nervi a pezzi, l’uomo che con volontà caparbia e paziente sfida le difficoltà,  l’uomo che fissa con uno sguardo gelido  come una spada  gli oggetti che si ingigantiscono man mano che egli lo osserva è Poe stesso. I personaggi femminili, luminosi e malati, che muoiono di strani mali  e parlano con voci musicali, sono ancora lui; o per lo meno con le loro strane aspirazioni, con la loro cultura, la loro inguaribile melanconia, partecipano intimamente dell’indole del loro creatore…” Riprendo l’idea aggiungendo: Poe non solo è quello che scrive Baudelaire ma qualcosa di più radicale: egli è anche paesaggio, è trapasso incessante fra vita e morte, nel senso che si può ritornare dalla morte come nel racconto LIGEIA; tra cadaveri lividi e prossini alla decomposizione descriti peraltro senza indugio o compiacimento, aggiungendo quindi credibilità all’orrido, ed è ambiente-simbolo di spazi interiori, in cui abbondano spessi drappi funerei e violacei, direi anche che Poe è la frotta di topi dalle labbra gelide che lo mordono e la stessa cricca di inquisitori che lo vuole morto, ne IL POZZO E IL PENDOLO, lo scrittore è identificabile in quella cella schifosa e viscida che modifica la sua geometria, ovvero la sua mente cangiante, nello stesso racconto, è poi l’assassino che sfonda la testa con un’ascia alla povera moglie derelitta e anche il gatto nero che trionfa di quel crimine ne IL GATTO NERO,

senza che ci sia una conseguente presa d’atto e di coscienza nel colpevole, una sua sia pur minima manifestazione di pentimento e disperazione o desiderio di redenzione per il misfatto, è poi anche Ligeia e lady Rowena Trevanion nell’orribile macabro riflusso morte vita di un cadavere e anche ne IL RITRATTO OVALE è la fanciulla di rara bellezza, gaia e leggiadra del dipinto, e anche il marito di lei, il pittore assassino, inconsapevole (?) quando dipingendola le toglie la vita. Oso dire che non c’è nulla di esterno a Poe ma di assolutamente e manifestamente interiore, intrinseco alla sua singolare natura. Personaggi, ambienti, animali non sono all’esterno del suo essere ma al suo interno, egli li vede non con gli occhi ma li percepisce con tutto se stesso, attraverso lo sguardo interiore, che non necessita di occhi per vedere, per questo egli non deve cercare, al massimo sognare ad occhi aperti, e aprire la porta agli ospiti che affollano la sua psiche. In questo non c’è invenzione nell’opera di Poe ma la mia eretica affermazione gli va a merito onorando il suo genio contenente mondi degenerescenti, il riferimento all’opera di Evola lo farò più oltre e in modo puntuale. Poe è l’invenzione di se stesso, o meglio la trasposizione analitico scientifica artistica del suo io. Tutto ciò traspare anche dal suo viso, che lascia perplessi denunciando complessità nel temperamento e personalità singolari. Ti fissa in modo indefinibile, fanciullesco eppure profondo, la faccia asimmetrica, un sopracciglio più basso dell’altro. I baffi disallineati. L’espressione assorta e depressa, come di chi ha in animo di chiedere conforto; è Il grande malinconico, alcolizzato per necessità, e anche qui Baudelaire ci viene in aiuto: “…..Il suo profilo forse non offriva una vista piacevole…aveva grandi occhi tetri e insieme luminosi, di un colore indefinibile e tenebroso che tirava al viola; il naso nobile e solido; la bocca sottile triste, anche se leggermente sorridente…l’espressione un po’ distratta con un impercettibile  velo di malinconia…” Io  aggiungo, col rispetto dovuto al genio, che non affiderei in custodia nemmeno temporanea a uno come lui, non dico un bambino, ma nemmeno un gatto.

Al pari di Vincent Van Gogh che tentava di esorcizzare i suoi demoni dipingendo soli e stelle interiori, Poe non ci prova nemmeno, accetta i suoi demoni, perché essi sono parte di lui, li subisce, li coltiva, ne illustra  la suggestione, il magnetismo, l’orrore; dà loro il benvenuto senza tentare tuttavia di scacciarli o dominarli come faceva Van Gogh. Sa che non ci sarebbe speranza. Non c’è tentativo di riscatto nei suoi personaggi, ma l’accettazione supina di una realtà ineludibile. Non riabilitazione, né happy end, per chi ha le stimmate del genio e del folle, né per lui né per i protagonisti dei suoi racconti. Sia lui, sia Vincent Van Gogh, sia Friedrich Nietzsche, con ovviamente diverse inclinazioni ed esiti camminano su  sentieri paralleli, diretti a una meta comune: l’orlo dell’abisso, lo scrutano, lo valutano, lo patiscono l’abisso e la gran voragine della consapevolezza non si sottrae alla loro spietata e lucida indagine; i tre sono accomunati da una fine miserevole e tragica che non mi pare frutto di coincidenza. Loro hanno visto e, “bruciati” dalla consapevolezza, pagheranno. I tre hanno sondato l’abisso esteriore e interiore e da esso sono stati inghiottiti. Poe sa di non potersi salvare, non desidera del resto la piatta normalità del vivere dei comuni mortali. Genio, dicevo, ed ecco a questo proposito un riferimento puntuale dello stesso Poe (da “Eleonora”, 1841): “…Discendo da una famiglia famosa per il vigore della fantasia e l’ardore della passione. Gli uomini mi hanno chiamato pazzo. Ma non è stato ancora risolto il dilemma se la pazzia sia o non sia l’intelligenza più eccelsa, se molto di quello che è glorioso, se tutto ciò che è profondo, non scaturisca dal male del pensiero, dagli stati della mente esaltata a spese dell’intelletto comune. Coloro che sognano ad occhi aperti sanno molte cose che sfuggono a quelli che sognano soltanto di notte. Nelle loro grigie visioni balugina nei loro occhi l’eternità, e tremano svegliandosi, al pensiero di essere stati sull’orlo del gran segreto…E senza bussola e senza timone, si addentrano nell’oceano immenso della “luce ineffabile”…”

I prossimi post saranno dedicati al signore delle tenebre, la sua testimonianza appare troppo importante