c’era la donna angelicata?

Dovreste farlo anche te. I benefici non sono cosa da poco. L’età che avanza, il mondo del lavoro che ti mette da parte perché non servi più. Per cui il tempo a disposizione aumenta dopo aver aiutato a sbrigare faccende domestiche. Però devi possedere una punta di masochismo per fare certe cose. Quali? Leggere Dante ad esempio, senza maestri aggiunti o canti interpretati da Gassman e Benigni. Dico la Divina Commedia a costo di apparire bizzarro o fuori dal tempo. Dico Dante perché se vuoi capire l’Italia di oggi con le sue magagne e i suoi poteri “occulti” deve partire da quelle pagine e sorbirti le accuse gridate che Dante lancia anche contro la Chiesa, definita corrotta e meretrice. Strano che l’avessero lasciato vivo allora. Che il divino poeta ce l’avesse con Bonifacio VIII lo sanno anche gli scolari delle medie, e con i frati gaudenti e con le alte gerarchie del papato e con la corruzione e il malcostume civile e morale del mondo che mal vive, comprese le donne fiorentine succintamente vestite. Il suo grido rimane tuttavia e ovviamente inascoltato, mi sembra normale, come inascoltato risulterà quello di Tolstoy dopo aver scritto il suo SEBASTOPOLI, ma quella è una’altra storia, pare insomma che sette secoli siano passati invano. Siamo di fronte a un uomo medievale (bella scoperta dirai te) nelle idee, nelle concezioni del mondo, ma proiettato in un futuro che, buon per lui, non conoscerà. La sua modestia, il suo castigarsi di fronte a Beatrice cela a fatica una smisurata presunzione (a ragione ) di se stesso, la sua opera travalica i secoli per proporsi attuale e accusatoria verso questo lembo di terra un tempo privilegiato da natura, dei e sorte e oggi popolato da piccoli uomini. Le sue pagine parlano estesamente anche della donna e del suo ruolo nella società. Vai a leggere cosa scrive a proposito di Beatrice quando la incontra in Purgatorio. Lei lo sgrida mica poco, lo striglia per bene, facendolo vergognare di sé, dicendo che si è lasciato traviare da attrazioni esclusivamente mondane, lo umilia, lo confonde, irritata e offesa. Ti tolgo un po’ di fatica nella ricerca e dal canto XXX del Purgatorio riporto:

Alcun tempo il sostenni col mio volto: 
mostrando li occhi giovanetti a lui, 
meco il menava in dritta parte vòlto.                             123

Sì tosto come in su la soglia fui 
di mia seconda etade e mutai vita, 
questi si tolse a me, e diessi altrui.                              126

Quando di carne a spirto era salita 
e bellezza e virtù cresciuta m’era, 
fu’ io a lui men cara e men gradita;                               129

e volse i passi suoi per via non vera, 
imagini di ben seguendo false, 
che nulla promession rendono intera.                         132

Né l’impetrare ispirazion mi valse, 
con le quali e in sogno e altrimenti 
lo rivocai; sì poco a lui ne calse!                                    135

Tanto giù cadde, che tutti argomenti 
a la salute sua eran già corti, 
fuor che mostrarli le perdute genti. 

Altroché donna angelicata! E lui per i suoi rimproveri addirittura sviene. Perché uno dotato come lui si stava perdendo seguendo l’effimero terreno. Donna angelicata, certo, una che in Paradiso aveva diverse aderenze, una semisanta della cui bellezza terrena Dante si era innamorato, e lei lo sgriderà anche per questo. Lei è la donna che non c’è, lei è la donna “superiore” che a tutti gli effetti dà parecchi punti all’altro sesso, e siamo nel Medioevo, con buona pace di chi pensa che la donna sia ontologicamente inferiore al’uomo e che “naturalmente” gli sia subordinata. Beatrice viaggia a qualche palmo sopra il livello in cui razzola l’uomo. Lei è la creatura che confonde e redarguisce il suo amante dicendogli che la vera bellezza, e la vera virtù non risiede nell’avvenenza corruttibile del corpo ma nelle sfere celesti dove eterna regna la luce di Dio. Perdona la facile battuta: Beatrice non conosceva la Fisica quantistica e gli indicatori che dicono che l’universo intero morirà per collasso termico. Tutto porta a credere che il vero bene non è nella natura degenerescente terrena con grande scorno di sostiene che Dio è morto. Leggere un gigante della letteratura come lui ti fa scoprire cose così lontane, così vicine ad oggi. Se ti dicessi che Dante è geniale regista di un filmdell’orrido direi cosa ovvia, vai a leggerti un canto dell’inferno in cui gli uomini diventano rettili e i rettili si contraggono per ritornare uomini, in un processo che ti immagini perfettamente visualizzato al computer.

Quasi commuove il suo granitico credere in Cristo e in Dio e fa riflettere che a due secoli dalla sua scomparsa Hans Holbein il Giovane dipinge quel Cristo morto, livido cadavere di un uomo, simbolo profetico di quella che nel cuore degli umani sarebbe stata la sua sorte nei secoli a venire. Obbliga a riflettere il viaggio di Dante nell’ultramondo medievale confrontandolo coi brandelli del Cristianesimo che fanno dire a Nietzsche: Dio è morto.

c’era la Madonna?

Non la Madonna Marie Louise Ciccone, diva canterina e del palcoscenico, ma l’altra, proprio lei, la Madonna, quella originale (stavamo per dire in carne ed ossa). Ovvero la madre del figlio di Dio, quella che, un po’ dubbiosa, direi anche sospettosa, ma niente affatto intimorita, nel dipinto di Antonello da Messina mette la mano avanti per dire all’angelo che le aveva appena annunciato la sua futura maternità: Come hai detto, scusa? Puoi ripetere? Ho capito bene? Voglio vederci chiaro in questa faccenda, come farebbe una vera donna. Oppure un’altra Madonna donna, quella fatta morire dal Caravaggio che aveva preso per modello il corpo di una donna, livido e gonfio, annegata nel fiume.

“Nè puttane né madonne ma solo donne” gridavano in piazza le femministe anni ’70. Le donne di allora volevano essere “solo” donne. Il peso ereditato dal passato di essere anche divinizzate e la condanna di essere per qualcuno anche donne di malaffare, se lo volevano proprio togliere di dosso. Per diventare appunto esclusivamente donne e per essere considerate, finalmente ed esclusivamente, per il loro valore di essere “solo” essere umano. Ma erano altri tempi, la contestazione del sistema, di impronta rossa, a torto o a ragione dilagava in piazza. Io invece voglio chiederti se ti ricordi della Madonna come simbolo e di alcuni suoi significati ineludibili, e ancora oggi, a mio avviso, immutati. Non è una domanda oziosa, ma significativa; di quella figura dolente, non esclusivamente mistica ma anche, prepotentemente, umana il cui immenso dolore non è ascrivibile esclusivamente all’escatologia, resta qualcosa? Resta tutto, arrischio io, se uno non si ferma al chiacchiericcio della incultura moderna o alle iconoclastie del nostro recente passato. Te l’hanno illustrata per bene la figurina dolce e mesta che fugge con quel buonuomo di San Giuseppe sull’asinello, (ma lui non ha mai fatto testo) durante l’ora obbligatoria di catechismo, qualche decennio fa, ma son certo che ti sei scordato quasi tutto di lei, salvo poi rinverdire la memoria quando ti fan vedere la Pietà  di Michelangelo, in TV in qualche occasione. Mica si sono inventati i simboli per niente e fra i simboli primeggia appunto lei, la Madonna, fra i simboli primi per importanza, degli ultimi duemila anni. Vorrei chiederti se ricordi, anche a frammenti, il componimento Donna de Paradiso del mitico Jacopone da Todi. Una lauda drammatica che dovrebbero avertela insegnata a scuola (a fatica, aggiungo io). Intanto la Madonna è sola, quasi sempre la Madonna è sola a piangere il suo dolore per la morte annunciata o avvenuta del figlio. Hai mai visto l’afflizione di San Giuseppe? In Jacopone da Todi c’è un urlo, è il suo, della Madonna madre, moglie, figlia, e donna, un grido prepotente, che squote, suggerendo lo strazio di una madre donna in primis, che sta perdendo il figlio e poi c’è la sua confessione che dice di voler giacere in una fossa comune abbracciata a lui, al padre, figlio e marito. Potente, dico io, senza dover ricorrere a Freud, ovviamente, straziante, e non riscontrabile in altri componimenti religiosi, l’urlo di una madre donna che è anche la Madonna, una madonna invadente che urla, strepita, chiede il motivo di tanto odio nei confronti del figlio, si strappa i capelli “disturbando” con i suoi strazi l’agonia stessa del Figlio Redentore. Mi vengono alla mente certi reportage TV che mostrano donne arabe straziate dal dolore per i figli morti ammazzati in guerra o sotto un bombardamento. Madonne anche loro a piangere il figlio martoriato? Ti ricordi della Madonna, allora? Un’attrice tragica, dico io.

Non la Madonna figlia del cielo, mesta, umile, addolorata, divinizzata, distante dalla dimensione esclusivamente umana, né la sontuosa regina del cielo di Carlo Crivelli, o di Cosmè Tura ma una donna straziata dal dolore che gli aguzzini del figlio e una legge ingiusta hanno condannato. Io ti dico che la Madonna c’è ancora, mi prendo questa responsabilità, vive nelle donne, vive come simbolo di altissimo, potente e umanissimo significato, e di matrice tragica. Vive nell’ombra la Madonna, visto che va di moda dire che Cristo è morto. Ma il simbolo rimane e Lei lo rappresenta. Potente, ineffabile. Il dolore di una madre che perde il figlio in modo ingiusto, violento, improvviso, al di là del significato esclusivamente religioso. Se vuoi rappresentare al massimo grado il dolore di una madre devi far riferimento a lei, alla Madonna, anche se non sei cristiano, eccetera, prova a pensarci. Nel suo dolore più esclusivo, nella consapevolezza della tragedia che incombe e che sarà per lei, infinita.

Ogni volta che passo al Victoria e Albert Museum facco visita alla Madonna di José de Mora, mi soffermo davanti alla bacheca di cristallo che la protegge, un busto che ogni volta mi incanta per l’afflato divino che inspira ma anche per la compostezza di un dolore prettamente umano e inconsolabile, che scava l’animo della donna raffigurata e lo riflette comunicandolo allo spettatore. Vorrei rispondere, se possibile alle femministe degli anni ’70, penso siano ancora tante in circolazione. Capisco quello che volevano dire, ma perché defraudare la donna di una simbologia acquisita nel tempo cioè rinnegare ispirazioni e sentimenti che solo lei può incarnare e rappresentare in quanto nata femmina: il massimo dell’angoscia “sopportabile” in un essere umano non è proprio quello di una madre che ha perso il figlio o che ingiustamente lo sta per perdere? E poi, senza riferirsi esclusivamente al “dolore” non c’erano una volta le dee madri? Ma questo è un altro discorso in cui la Madonna c’entra davvero poco.

Il Cristo in croce l’abbiamo scaricato da Internet

Abbiamo perso ogni traccia (non mi ricordo infatti dove si trovi questo capolavoro, probabilmente il frammento di un affresco) perciò vogliate scusare l’ignoranza

volto_del_cristo_grandeHa gli occhi socchiusi, diretti verso il basso e pare che ti guardino. L’espressione rassegnata, dolente, ma composta. Il naso è lungo e stretto, la bocca non esprime alcun dolore, né tantomeno l’agonia della morte. Una sofferenza che assomiglia a un dono.
Cristo martire. L’artista ci tramanda quell’antica emozione intatta, mai sopita, quella tragedia immane mai dimenticata, il mistero assoluto che fa bene all’uomo moderno perché lo allontana dalla sua idea di insulsa onnipotenza, consegnandoci l’idea di un Dio vivente, simbolo, sofferente per noi, disponibile a farsi capire, osservare, ed eventualmente amare. Fenomeno divino e umano insieme. Un Cristo morente o che è già morto, che dona se stesso nel valore assoluto del sacrificio. Ancora. Presente.
Affiora su un pezzo di intonaco, con le braccia esili, le stelline sbiadite del cielo, i raggi opachi della sua prima corona di gloria e della seconda corona di spine.
È come se riposasse dopo tanto patimento, ineffabile, come se dopo tanta sofferenza ci offrisse la sua umiltà, il suo rassegnato dolore. Non ti stanchi di frugare la sua malinconia, le linee gentili eppure severe del volto. Il capo dimesso che scivola verso l’ascella. Il petto magro e le braccia tese verso l’atrocità dei chiodi. Lo guardo ogni giorno, è sulla scrivania del computer.

Aspetto una parola da padre Angelo, nostro amico, su questa figura meravigliosa e ineffabile.

padre Angelo Zelio Belloni
AIUTO BAMBINI TERZO MONDO FACEBOOK