sotto il letto c’erano i Saraceni?

ANNALI DEL MONFERRATO Correva l’anno 889 quando una tempesta…C’è il sole ma fa freddo. Tutta la casa è fredda. Il cane scende di scatto per seguire il moscone che sbatte contro i vetri. Ringhia verso la finestra su cui il moscone si accanisce. Chi tiene il terrier?
A cuccia Gin Gin! Cuccia terrier! Il grande soggiorno è in penombra, c’è odore di braci fredde. Arriva dall’enorme camino su cui grava la pancia della canna fumaria che reca questa scritta: Signur, vardemi da la losna du tron e da cui dla raca d’Ricaldon. Lo stemma annerito dei di Ricaldone è solcato da una sottile crepa. Contigua alla parete che ospita il gigantesco camino la scena di un matrimonio, è un affresco a tutta parete che raffigura l’arrivo della sposa Argentina Spinola che presto si unirà con Teodoro Paleologo. Le due grandi finestre a sesto acuto lasciano intravedere il paesaggio. Oro e rosso, oltre il campo di granoturco. Giallo e marrone su ogni altura, ad eccezione della macchia scura di abeti verso Olivola, ingrigita da una leggera bruma. L’uomo alla scrivania è l’ultimo discendente della famiglia dei conti di Ricaldone. Si chiama Giuseppe Aldo. Nello studio in cui sta leggendo i libri arrivano al soffitto. Tomi di storia, letteratura ed enciclopedie lo sovrastano. Molti hanno il dorso di pelle, altri in stoffa sbiadita azzurra. Fra questi, il titolo di un libro che non abbiamo mai aperto, intitolato Parnassiani e simbolisti. Ogni volta che siamo entrati nello studio l’occhio ci cadeva sopra, senza alcun motivo. Come se dovessimo verificare che le cose continuavano a essere al loro posto. Dossier foderati di tela color vinaccia formano due file distinte, sugli scaffali di mezzo. Racchiuse negli stipi della fila in basso pile di carta trattenute da una fettuccia. Nello studio sottostante, Matilde Izzia, la moglie, ha appena riposto i pennelli. Sta rifinendo il dipinto su cui appare la lotta fra la biscia e il suo cane. Il terrier l’ha raggiunta attraverso la scaletta che mette in collegamento i due piani della casa, per sollecitarle il pasto. L’uomo rimane immobile per lunghi periodi, profondamente assorto, fissa i fogli, riprende e confronta alcune pagine. Immotus nec iners! Lo sguardo è concentrato nella lettura, poi gira il capo verso la cascina dietro cui è sparito il cavallo. Guarda la seggiola che il terrier ha abbandonato, quindi torna con rinnovata intensità al suo lavoro. Talvolta rigira fra le dita il massiccio anello di oro bianco con l’incisione della corona nobiliare. Cosa lo attira in quei documenti? Cosa lo fa apparire così estraniato? Quasi vivesse in un altro tempo, in un’altra dimensione. Tutta la sua attenzione è concentrata nella lettura delle carte, come se fra quelle righe, antichi segreti, fascinose avventure, storie di altri tempi si celassero. Di che si tratta? Proviamo a dare uno sguardo alle prime pagine:

Correva l’anno 889 quando una tempesta nel mar Tirreno, gettava alla deriva una imbarcazione mussulmana. I superstiti prendevano terra nel golfo di Saint Tropez in Provenza senza incontrare ostacoli da parte di elementi cristiani locali. I Saraceni, tornati in Spagna, diffusero la notizia e subito folti ed agguerriti gruppi di loro compatrioti si diressero al provvidenziale porto. Occuparono le montagne circostanti, si nascosero nel folto dei boschi, costruirono rifugi sotterranei, fortificazioni e torri, disposero per la vicina costa posti di segnalazione e di guardia trasformando Saint Tropez in un munito porto capace di raccogliere un’intera flotta. Da questo porto per un secolo circa, le arabe torme agguerrite e veloci, dilagar fin dove Genova splenda, recando distruzione in Liguria, in Provenza, nelle Alpi Occidentali. Le prime scorrerie in Provenza e sulla riviera ligure non incontrarono ostacoli e i Saraceni fatti sicuri occuparono i valichi alpini, risalirono la valle del Rodano sino a Vienna, dilagarono in Piemonte dalle valli di Aosta e del Tanaro stringendo in una morsa inesorabile le terre subalpine. Nel Monferrato si stanziarono nelle caverne del colle di San Germano, ad Ottiglio e dettero nome ad una località: Moleto dal nome del loro capo: muley, che in arabo vuol dire Signore. ..L’imperatore Ottone I inviò un ambasciata presso il Califfo di Cordova Abd er Rhaman III, nel 953 per persuaderlo a richiamare dalle terre cristiane i razziatori arabi ma senza risultato.- Piccole città saccheggiate, castelli distrutti, chiese e conventi ridotti in cenere, devastati e ridotti allo squallore, genti massacrate o soggette a crudeli persecuzioni onde più nessuna sicurezza offrivano le case dalle quali le giovani donne e i bimbi venivano rapiti per essere condotti nei remoti covi e gli uomini strappati e mandati in lontani paesi in schiavitù.- Così si esprimevano i cronisti del tempo e posteriori, spesso esagerati nelle loro descrizioni.

Non che i Saraceni avessero dei riguardi ma le loro gesta sono spesso aumentate, da quei cronisti per solito ecclesiastici, perché saccheggiavano di preferenza le chiese ed i conventi ivi nascondendosi i maggiori tesori. ..Ai Saraceni si aggiungevano abitanti delle zone dove questi si fermavano. Nelle cronache sono chiamati pravi cristiani o mali homines e con i Mussulmani razziavano e saccheggiavano dividendo il bottino. E a pagina 43 delle 1416 pagine degli ANNALI DEL MONFERRATO leggiamo: – Ma la damigella pur gli faceva assai festa tanto che al fine non sapeva Aleramo che fare né che dire; però che amore e bellezza da una parte lo infiammavano tutto e fede e conoscenza dall’altra lo ritraevano d’amare. La fanciulla quando si vide a tale condotta che non faceva più che languire, disse al valletto: – Io non potrò più vere se voi non mi menate in qualche parte ove noi siamo senza pericolo, però ch’io non posso senza voi più durare. Come il donzello intese esclamò: – Che è quel che dite dolce signora? Già noi non potremo andare in nessuna parte che non siamo di subito tagliati a pezzi e morti. Della morte mia non me ne importerebbe: ma non soffra Iddio che la vostra persona abbia sì fatta pena. – Tuttavia la fanciulla tanto seppe dire e fare che Aleramo disperando per una parte che l’imperatore si contentasse mai del loro amore dubitando per un’altra che durando ancora la cosa non si potesse più oltre celare, una notte menò via la fanciulla. E si vestirono per non essere conosciuti di abiti strani e diversi; e su due cavalli, uno bianco, uno rosso fuggirono per foreste e per luoghi selvaggi…. Altre pagine e altre ancora vengono corrette e archiviate quel giorno. Il sole nella fredda e nitida giornata di marzo ha già smorzato tutta la sua forza e la collina di tufo è una massa oscura, minacciosa. Il cane accorre velocemente al richiamo della moglie di Aldo di Ricaldone, che al piano di sotto ha appena riposto pennelli e colori.

La tela a cui sta lavorando raffigura proprio il loro cane e la biscia cui darà battaglia. Nella sala un gran ceppo ha preso a crepitare dentro l’enorme bocca del camino. Questa sera ci sono ospiti. Anche se non siamo riusciti a condividere completamente le sue opinioni, stima e affetto nei suoi confronti rimangono intatti e, invece di affievolirsi, crescono col tempo. Egli difese a oltranza una visione del mondo scomoda per quei tempi, riferendosi costantemente ed esclusivamente ai valori della Tradizione, secondo posizioni che andavano controcorrente. Le oltre tremilacinquecento pagine da lui redatte, relative agli ANNALI DEL MONFERRATO e MONFERRATO TRA PO E TANARO sono la dichiarazione d’amore verso la sua terra, un’avvincente saga di eventi di inestimabile valore lunga otto secoli che regge il confronto coi romanzi più appassionanti (ma con personaggi e vicende autentiche.) Le sue opere oggi sono ambite da eruditi, studenti, ricercatori, dagli amanti della storia, e da chi, più semplicemente, come me, vuole sapere come sono davvero andate le cose. Non occorre infatti essere Monferrini per apprezzare il modo in cui Aldo di Ricaldone tesse il suo incredibile arazzo. IL MONFERRATO. Ma quante regioni così interessanti come questa ci sono in Italia? Domanda superflua e risposta scontata: tutte. Concludo con le ultime frasi di Aldo di Ricaldone, a pagina 26, tratte dagli ANNALI DEL MONFERRATO: Gli Annali sono un messaggio, un invito alle generazioni future perché altri uomini con senso critico, con responsabilità e con intelletto d’amore, attingendo alle fonti elencate, sappiano trarre quelle nozioni per delineare sull’arco dei secoli la favola umana che si chiama Storia e che forma la gloria della nostra Gente e della nostra Terra.

I TESORI DELLA VALLE DI TUFO

tufoI TESORI DELLA VALLE DI TUFO.

Mancavo solo io il sei ottobre al ristorante La Magione di Olivola. Gliel’avevo detto a Lorens: Non vengo, non me la sento, non ho niente da festeggiare, e poi ho perso il lavoro. Questo è il vero motivo della mia assenza. C’era un sacco di gente quella sera, a parlare del mio libro, delle vicende, dei personaggi che lo hanno animato. Lorens mi ha chiesto: ma verrai alle altre presentazioni? … Se mi spieghi come faccio a venire, visto che ho dovuto vendere la macchina, perché non ho più soldi…gli ho risposto. A Olivola è stato presentato il volume I TESORI DELLA VALLE DI TUFO, di Mario Paluan edito dall’editore astigiano Lorenzo Fornaca, dice il comunicato stampa. E prosegue: Il libro ci racconta «il suol d’Aleramo», attraverso gli occhi di una coppia ormai mitica, regnante in un isolato romito tra le colline: lo storico Aldo di Ricaldone (1935-2002) e la pittrice Matilde Izzìa (1931-2005).

Una giornata memorabile, perché, nonostante la pioggia ormai autunnale, è accorso un grande pubblico per il libro dedicato alla memoria della pittrice e dello storico; segno che il loro ricordo è ancora assai vivo tra i monferrini. Ricordiamo che la loro casa, lo splendido Romito, si trova proprio a due passi da Olivola. Alla presenza del sindaco di Olivola, Gianni Grossi, e dell’Assessore alla cultura di Casale Monferrato, Giuliana Bussola, i relatori della giornata dedicata ai coniugi Ricaldone hanno dato via a una serata indimenticabile.

Dopo i saluti del sindaco, l’editore Lorenzo Fornaca ha presentato i relatori ricordando il suo rapporto con i due protagonisti del racconto e l’incontro con l’autore che condurrà all’idea di produrre l’importante volume MONFERRATO SPLENDIDO PATRIMONIO, omaggio all’arte di Matilde Izzia, diventato ormai un classico da collezione.La genesi e gli sviluppi del nuovo racconto, una sorta di vicenda nella vicenda, hanno infine interessato il pubblico, assai partecipe.

 Lo storico Roberto Coaloa ha ricordato Aldo e Matilde, le loro carriere, soprattutto la loro scelta di lavorare appartati, lontani dal clamore delle grandi città. Scelta condivisa in quegli anni da altri artisti e intellettuali, da Aldo Mondino a Enrico Colombotto Rosso.

Sul libro di Paluan, Coaloa si è soffermato sul suo valore letterario, tra romanzo e libro di memorie, “confessioni”, dal sapore ottocentesco: una sorta di manifesto poetico e artistico, di colui che è stato un allievo della grande pittrice, da alcuni paragonata a Matisse, da altri ritenuta superiore al suo maestro Menzio e addirittura a Casorati.

Matilde Izzìa, scomparsa il 17 febbraio 2005, è stata una pittrice geniale, ma poco nota: negli anni ottanta decise di chiudere con le esposizioni, dipingendo solo per se stessa o per pochissime persone. Nacque così la leggenda di un’artista, i cui quadri oggi si possono ammirare al complesso monumentale di Santa Croce a Bosco Marengo (Al).

Per questa ragione, l’ultimo intervento è stato di Gianfranco Cuttica di Revigliasco, professore di storia e direttore del Museo Vasariano di Santa Croce. Sono seguiti, infine, gli interventi di Matilde Mattacchini, amica della pittrice e quello di Claudia Federico.

Elio Botto ha letto poi la presentazione dell’editore oltre alle memorie di Antonio Barbato e di Claudia Federico. In chiusura l’intervento di Roberto Maestri, presidente del Circolo culturale MARCHESI DEL MONFERRATO, che ha messo in risalto l’importanza di opere di questo genere, volte alla valorizzazione di una terra unica al mondo e non ancora conosciuta come merita.         olivolajpg

Fra tanti libri noti di autori importanti e che hanno lasciato il segno nella storia della letteratura, ce n’è anche qualcuno scritto da me. L’ultimo si chiama I TESORI DELLA VALLE DI TUFO.

Manco mi sogno di paragonare i miei lavori con i primi, letti, commentati e condivisi con voi. Quelli sono vere opere d’arte che hanno detto cose importanti e che hanno influito su persone ed eventi. Però qualche cosuccia l’avrei anch’io da dire. Su certi tesori, ad esempio, veri e presunti, che si annidano nella splendida terra del Monferrato e che stiamo portando alla luce con l’amico ed editore Lorenzo Fornaca 

Su alcune vicende che ben conosco e di cui sono stato protagonista ho scritto così un racconto che ha raccolto un bel po’ di recensioni e articoli di giornali tutti lusinghieri e molto positivi. Non mi monto la testa. Lo giuro. E siccome mi piace scrivere libri ma non commentarli o presentarli, lo lascio a fare a un lettore che non conosco e ringrazio, e che anche lui scrive.

Il mio ultimo libro si chiama I TESORI DELLA VALLE DI TUFO e mio figlio Edoardo Simone Paluan, che se ne sta a studiare nanotecnologie a Londra lo ha anche inserito su Amazon, insieme agli altri scritti da me.

Grande Lorens, (lo sconosciuto lettore scrive a Lorenzo Fornaca)
Nonostante sia un periodo in cui ci incontriamo di persona ti scrivo perché tu abbia modo di inoltrare questa mail al bravissimo Mario Paluan.

Ribadisco quindi quanto già ti ho detto a voce: il libro mi ha letteralmente affascinato. Io che sono ligure e che solo in parte posso immedesimarmi nelle magiche atmosfere del Monferrato così mirabilmente descritte da Paluan, ho goduto davvero nel leggere quella vicenda così intensa e particolare.
Attraverso I tesori… ho avuto il privilegio di conoscere due interessantissime persone come Aldo e Matilde, quindi l’opera di divulgazione e (ri)valutazione di questi due personaggi che vi ripromettevate è stata compiuta e centrata in pieno.

Oltre le testimonianze di grande interesse a inizio e fine libro, ho apprezzato in modo particolare la parte centrale scritta da Paluan, quella più romanzesca, che l’autore ha tracciato con straordinaria tecnica narrativa. Io, che come sai, mi diletto di scrivere qualche romanzetto giallo dove la trama poliziesca è solo una scusa per parlare di me e della mia Liguria che tanto amo e cerco, nel mio piccolo, di valorizzare, ho provato una sincera e sana invidia nei confronti di Paluan e della sua penna sopraffina che spero un giorno di poter emulare.

Concludo con l’augurio che il libro abbia il successo che merita ribadendo la soddisfazione per una lettura che mi ha catturato fin dalle prime pagine e che consiglierò, come ho già fatto, a chiunque possa essere interessato alla scoperta di un territorio ricco di storia, gravido di situazioni artistiche di alto livello e di personaggi di grande valore e spessore culturale che sarebbe ingiusto non conoscere o dimenticare.

Maurizio “Pupi” Bracali