affascinati dalla nostra grandezza (trascorsa)

Lorenzo Ferrara scriveva anche dei libri che lo avevano piu’ colpito, eccone alcuni su cui si era soffermato. L’articolo fa parte, cosi diceva lui, di una serie che sarebbe stata pubblicata in un secondo volume.

“Ci prendono a paragone, ma evitano di vantarsi dell’origine della loro capitale, Londinium, edificata dai Romani. Volevano fare tutto da soli, così è stato. Gli rimane il vallo di Adriano, le terme di Bath, mattoni sparsi ovunque targati Roma. Della Romanità non sanno che farsene, rimangono di un’altra pasta. Il loro interesse si traduce in ammirazione, lo dimostrano le pubblicazioni a getto continuo su Cesari, imperatori, re, Roma repubblicana e imperiale e il suo declino. Cercano contatti col loro ex impero, forse per nobilitarlo. Qualche esempio. Lo storico che va per la maggiore, Tom Holland in un’intervista di Melanie McDonogh, sciorina una prospettiva intrigante sugli imperatori di Roma, parlando del suo ultimo libro, Pax:

“Quando si parla della Roma degli imperatori, non c’è nulla di equivalente a quel tipo di autocrazia in Occidente. L’identificazione con Roma è, in parte, perché i romani erano qui. Ma in effetti la loro cultura è lontana da noi. L’atteggiamento nei confronti della violenza, del sesso, era tutto diverso”.

Edward Gibbon, che scrisse Declino e caduta dell’Impero Romano, vedeva i romani come ricchi, sofisticati, colti, cioè in pace. In effetti l’estensione della pace romana – globale e la sua durata sorprendente. Pax parla di come Roma è riuscita a creare questa pace mondiale gestendo un impero fatto di diversità: dalla Scozia all’Egitto all’Arabia. Ovviamente ci furono ribellioni, ma la pace deve essere difesa dalla spada. La Diversità dell’Impero Romano deve avere qualche parallelo con la nostra società,” suggerisce lo storico.“Erano convinti che la loro via fosse la migliore. In generale, non esiste il concetto che l’identità romana sia basata sulla razza. Né tantomeno basato sul colore. C’era un senso di civiltà, che faceva barriera contro la barbarie. È da notare che durante l’intera occupazione della Gran Bretagna non ci fu nessun senatore britannico.”

Su Financial Times del primo ottobre 2023, Martin Wolf: “In Caesar’s shadow: “I democratici sono condannati a scivolare nell’autocrazia? Può l’antichità insegnarci come gestire i despoti? Martin Wolf, su due libri sugli uomini forti che vogliono avere tutto. I due libri sono Big Caesars and Little Caesars di Ferdinand Mount e Emperor of Rome di Mary Beard. Entrambi gettano luce sull’autocrazia, un sistema di governo che la democrazia odierna pensava di essersi lasciato alle spalle per sempre, e la cui essenza è esposta nella magistrale analisi di Beard del mondo dei primi imperatori romani, che sarebbero poi rinati come zar, Kaisers e imperatori della storia europea.

Il punto saliente di Mount è un avvertimento: “Dobbiamo fare del nostro meglio per fermare in tempo il possibile Cesare. Stare attenti ai suoi difetti: il suo implacabile egoismo, la sua mancanza di scrupoli, la sua sconsiderata brutalità, il suo sfarzo scadente. Mentre su Evening Standard, 26 settembre Melanie Mc Donagh: “La repubblica romana era più ammirevole dell’impero romano in termini di etica e costituzione: un buon equilibrio tra plebe, classe media e i “grandi”. Tutta quell’austera virtù romana, e l’eroico Coclite sul ponte Sublicio: questo è repubblicano!”

Quasi c’azzecca Melanie Mc Donagh a individuare la vera grandezza di Roma, che non si identifica tanto con l’Impero ma con la forza primigenia e della Repubblica e con la fierezza del cittadino romano, consapevole di far parte di un’entità al di là della quale c’erano barbarie e caos. Ma non ci siamo ancora. Ad autori e giornalisti albionici, attratti dalla grandezza di Roma, difettano gli strumenti per scavare più a fondo. Qualcosa che non riguarda solo fatti, persone e politica.

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raccolte in un volume:

Catilina insidiava Roma?

Catilina fra noi, dopo più di duemila anni. Una manciata di pagine per il capolavoro di Sallustio che lascia senza fiato. È un preciso avvenimento della Roma antica in cui giganteggiano alcuni illustri protagonisti, nella capitale, perennemente preda di fermenti sociali. Cicerone, Catilina, Catone e Cesare si muovono sull’instabile palcoscenico in un clima drammatico e politicamente precario.

È il 63 avanti Cristo e a confrontarsi in quel periodo arroventato, sono plebei contro potenti, oppressi e diseredati contro signori corrotti e arroganti, l’idea ambiziosa e forse presuntuosa e tuttavia sincera della rivolta risolutrice contro lo stato di diritto, anche se non più integerrimo e ancora l’abuso e la corruttela contro il rigore di una moralità ormai perduta e di cui c’era il ricordo (e il rimpianto?) Dopo più di duemila anni siamo forse al punto di partenza? Poco, infatti, sembra essere cambiato per le classi sociali in conflitto, allora come ora. E ci viene il perfido dubbio che se né la rivoluzione francese, né quella marxista leninista sono riuscite a instaurare una solida, dialettica equità fra le parti sociali, nella seconda in verità si voleva sostituire, abbattendola, un’intera classe sociale, il motivo risiede nell’impossibilità di quell’attuazione; se l’immane rivolgimento di coscienze e aspettative teorizzato e promosso da Marx Engels e Lenin e poi degenerato si è risolto ancora una volta in una fallace rovinosa utopia, allora significa che proprio nulla potrà in futuro davvero risolvere tale conflitto. Sono dubbi legittimi? Conflitto evidentemente insito nella specificità stessa dei rapporti fra le classi e funzionale alla loro stessa natura. Possiamo anche sbagliarci, anche se l’evidenza dice quello. Ma qui il discorso ci porterebbe fuori dal seminato. Esaustiva e avvincente come solo poche prefazioni sanno essere, le pagine di Lidia Storoni Mazzolani vanno subito al cuore del problema:

Catilina and his soldiers drink blood, Bartolomeo Pinelli, 1819, Lucius Sergius Catilina and his soldiers drink the blood, mixed with wine, of a dead slave, print maker: Bartolomeo Pinelli, (mentioned on object), Rome, 1819, paper, etching, h 315 mm – w 422 mm. (Photo by: Sepia Times/Universal Images Group via Getty Images)

Fu un evento grandioso e terribile. Certamente a Roma se ne parlò per anni e forse i contemporanei e, due decenni più tardi, i lettori del breve saggio di Sallustio si posero gli stessi interrogativi che ci poniamo noi dopo duemila anni: Catilina era veramente quel mostro di ferocia e depravazione che hanno descritto Cicerone e Sallustio? Qualora Catilina non fosse stato ripetutamente frustrato nelle sue aspirazioni e fosse riuscito ad attuare legalmente e poco per volta i provvedimenti che lui stesso con tutto l’animo auspicava, specialmente quelli riguardanti situazioni particolarmente inique -come quella dei debitori e i figli dei proscritti di Silla, la sua figura non sarebbe forse passata alla storia come un accorto e attento riformatore, il cui interesse privilegiato era rivolto al bene comune, anziché come un losco e bieco terrorista? Era stato solo a concepire il suo piano rivoluzionario o l’avevano segretamente incoraggiato mandanti autorevoli, Cesare e Crasso, in odio a Pompeo ? La congiura di Catilina è opera che lascia senza respiro, complice la serie di colpi di scena e la trama incalzante degli avvenimenti che si dipanano, rapidi sino al finale. Sul campo di battaglia gli insorti, male equipaggiati e animati da sentimenti di rivalsa e cambiamento sociale, suggestionati dalla figura potente e sinistra di Catilina moriranno da prodi. Un esercito di ribelli che aveva tentato il tutto e per tutto per abbattere il sistema, ingiustizie e iniquità. Saranno tutti uccisi guardando in viso il nemico, cioè lo stato che volevano più giusto, onesto, umano e solidale con le necessità del popolo. Se quello scontro dopo due millenni affascina e turba ancora il lettore è anche perché non è stata ancora fatta piena luce su protagonisti e moventi di allora.

Un bel grattacapo per lo stesso Sallustio che, alla fine, sembra voler rivalutare la figura di Catilina, se non altro sotto il profilo del valore e del coraggio dimostrati. Stesi morti in quel lontano 63 avanti Cristo furono nullatenenti, sognatori, fuorilegge, malfattori e propugnatori di uno stato più giusto. Alla radice di quello scontro ci fu un complotto così vasto da turbare l’intero Senato romano. Velleità rivoluzionarie e sogni di rivalsa furono così soffocati nel sangue, nel nome intoccabile di Roma, di quella città ancora grandissima e potente, ma certamente assai lontana dal mitico rigore morale che aveva ispirato gli esordi. Un grande piccolo libro che si legge in poche ore. L’edizione scelta è un prodigioso volumetto stampato su carta ecologica dalla mitica Newton Compton che sfogliavo in metro, a Milano, costava la metà di un caffè.