Garibaldi, gran biscotto -terza parte-

Portrait of Giueseppe Garibaldi engraved by W Holl (around 1880).Now in the public domain

Una figura al cui valore indiscusso andrebbero tuttavia aggiunte alcune note, non per sminuirne la valenza storico politica, ma per onorare l’obiettività dei fatti, al di fuori delle consacrazioni di rito. La necessità di creare figure di specchiato e immacolato valore è una pratica ricorrente della storiografia ufficiale. Ma l’obiettività storica è una virtù ardua da raggiungere. C’è chi lo denigra apertamente e chi consacra la figura. Del resto, a stringere la mano al Re Vittorio Emanuele II a Teano, c’era lui, il grande Giuseppe, come a sancire a futura memoria una consacrazione di inequivocabile rilievo politico, un gesto che non può essere ignorato. Ma anche in questo caso bisognerebbe leggere il contesto in cui avviene l’incontro. Il contributo di Maurizio Degl’Innocenti, autore di un libro dedicato proprio a Garibaldi è notevole: “Al di là del mistero che certamente avvolge il percorso che porta alla santità o all’oblio, c’è la presenza di un uomo dalle doti rare, protagonista di fatti ed eventi eccezionali, dal coraggio inossidabile, e dal grande fascino che ha affrontato con slancio, privazioni e dolore. In questo complesso percorso della nascita dei miti, realtà, cronaca e deformazione dei fatti si intrecciano, e attori e spettatori, come nel teatro, sono reciprocamente attivi”.

E torniamo ai Brits e alle loro mene: chi pensi che abbia finanziato la spedizione dei Mille, affittando una nave, comprando fucili, cibo, vestiario e munizioni? Proprio i Brits. Secondo i documenti in mano a Aldo Mola, apprezzato studioso e storico della Massoneria. Gian Maria De Francesco su Il Giornale, 4 Luglio 2009  titola: “Un finanziamento della massoneria britannica dietro l’avventura dei Mille”.

Nel testo dell’articolo: “Nel corso della commemorazione del «fratello» Garibaldi lo storico Aldo Mola rivela il dettaglio inedito. Tre milioni di franchi donati dalla massoneria inglese consentirono l’acquisto dei fucili di precisione a Quarto. L’appoggio non fu solo economico: il mito dell’«eroe dei due mondi», già in essere, fu alimentato per screditare il Papato. Tutta la spedizione garibaldina, ha aggiunto il professor Mola, «fu monitorata dalla massoneria britannica che aveva l’obiettivo storico di eliminare il potere temporale dei Papi ed anche gli Stati Uniti, che non avevano rapporti diplomatici con il Vaticano, diedero il loro sostegno». Torniamo alla sua visita in Gran Bretagna. Mirtide Gavelli, storica e curatrice del Museo civico del Risorgimento di Bologna: “Nell’aprile del 1864 Garibaldi visitò l’Inghilterra accolto trionfalmente da milioni di inglesi, di tutte le classi sociali, desiderosi di vedere con i propri occhi l’eroe della Spedizione dei Mille. Un viaggio trionfale rimasto nell’immaginario popolare, anche grazie ai biscotti a lui dedicati!”.

Nell’occasione della visita fu infatti creato da un fornaio pasticcere il “biscotto Garibaldi”,  in onore dell’eroe dei due mondi, oltre a una valanga impressionante di gadget comprendente pipe, ricami, gioielli e bigiotteria, insomma un vero Garibaldi business. Pare che intraprendenti housekeepers vendessero bottiglie d’acqua in cui si era lavato la faccia il nostro eroe, fandonie? Può darsi. Anche se ogni città italiana di una certa rilevanza gli ha intitolato una strada, il genuino entusiasmo riservato dagli Inglesi al nostro rimane insuperato e onora il popolo britannico. Un mito tutto italiano glorificato dal business dei Garibaldi biscuits. 

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Garibaldi, gran biscotto -seconda parte-

Giuseppe Garibaldi enters Messina, 1860.
Popular print, Italy, approx. 1860.
(Photo by Fototeca Gilardi/Getty Images)

E poi qualcuno dice: anche negriero. Eroe per molti, negriero senza scrupoli per altri. Guerrigliero al servizio di una nobile causa (quella italiana era soltanto l’ultima di un lungo elenco in ordine di tempo) e profittatore pagato dalla Massoneria inglese. Se dai un’occhiata al web non ti raccapezzi, chi lo odia e chi lo ama in maggioranza). E gli Inglesi lo amarono senza freno. Detto per inciso ai Brits interessavano le miniere siciliane e auspicavano un’Italia un po’ più unita di quello che era, non perché ci amassero, ma per contenere le mire francesi. (l’Inghilterra, maestra di intrighi e fomentatrice di contrasti da secoli per assecondare i suoi business planetari, in queste faccende la sa lunga, ma infatuazione e amore per il gran Giuseppe erano genuini, anche se qualche maligno suggerisce fossero interessati). 
Perché portava i capelli lunghi? Perché dicono che una ragazza gli avesse rovinato un orecchio durante un tentativo di violenza. Vero? Falso? E il massacro di
Bronte? Cos’era successo? Mentre i colpevoli se la davano a gambe vennero uccisi contadini innocenti e il matto del paese dopo un frettoloso processo, voluto dal luogotenente braccio destro di Garibaldi, Nino Bixio. È tutt’ora avvolta nel mito e nella leggenda la figura di Giuseppe Garibaldi, uno degli artefici indiscussi della riunificazione dell’Italia. Eroe dei due mondi, osannato corsaro in Sudamerica, difensore degli oppressi, guerrigliero, rivoluzionario a tutto tondo e massone di rango. Una figura complessa, generosa, mitizzata dai libri di storia che necessitano di figure a tutto tondo.

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Garibaldi, gran biscotto -prima parte-

Il tifo degli inglesi per il gran Giuseppe, il quale definiva papa Pio IX un metro cubo di le..me e’ arcinoto. Sarà per questo che gli Inglesi lo amavano. Dalle duchesse alle sguattere, dai politici di rango agli operai: tutti impazzirono per lui. Era il  1864 e Garibaldi arrivò in Inghilterra ricevendo una delirante accoglienza. Gli onori che gli furono resi rasentarono l’inimmaginabile. Dall’archivio de The Guardian: “Il generale Garibaldi a Londra, 16 aprile 1864. Un gran numero di poliziotti respinse la folla come meglio poté; ma di nuovo si levò il grido: “Garibaldi for ever!! Giovedì sera, il generale cenò con il duca e la duchessa di Sutherland e un gruppo selezionato di familiari, tra cui il conte di Carlisle (che era appena arrivato da Dublino), e alle otto, accompagnato dal duca di Sutherland, si recò alla Royal Italian Opera House, per assistere alla rappresentazione delle opere di Norma e Masaniello”. Le numerose donne presenti erano ancor più desiderose dei compagni maschi di raggiungere Garibaldi e, se non potevano stringergli la mano, almeno volevano toccare il mantello grigio che indossava.”

Gli Inglesi salutavano il mito, l’uomo semplice e rustico, l’eroico vincitore di infinite battaglie, (e l’intrepido che aveva tentato di abbattere il papato, su loro suggerimento.) Per il suo arrivo a Londra, fu deviato un piroscafo per condurlo da Caprera a Southampton. Venne poi allestito un treno speciale, ricoperto dal tricolore che lo condusse in città in 6 ore. A Londra lo attendevano 500 mila persone (dati ufficiali per difetto forniti dalla polizia) e il Primo Ministro Lord Palmerston col quale cenò. Poi partecipò alle riunioni di associazioni di proletari e massoni. Una vera star, protagonista di eventi quasi sempre vittoriosi. 

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ti ricordi di Matt?-seconda parte-

«Volevo solo mostrare chi sono come persona -ha detto Hancock-e pare che ci sia riuscito-…ha infatti trovato schiere di fan tra i giovanissimi, che seguivano le sue gesta rilanciate via Instagram e TikTok. Lucrerà sulla sua nuova fama grazie a libri e tv, dimostrando che la politica è come un reality show.” E viceversa. Ovvero l’osceno cosmico espresso all’ennesima potenza.
Tom Ambrose su The Guardian 27-01-2023: Matt Hancock dona solo il 3% di I’m a Celebrity fee. L’ex ministro ha ricevuto £320.000 per il suo periodo nel reality show, di cui £10.000 finora sono andati in beneficenza. Ha anche ricevuto £ 48.000 per il suo libro Pandemic Diaries. Un portavoce di Hancock ha dichiarato a BBC News: “Oltre ad aumentare il profilo della sua campagna sulla dislessia di fronte a 11 milioni di telespettatori, Matt ha donato 10.000 sterline all’ospizio di St Nicholas nel Suffolk e alla British Dyslexia Association”. The Guardian 14-12-2022 Matt Hancock’s Pandemic Diaries, riassunto da John Crace: “Tutti chiamano per dire quanto sono meraviglioso. Rispondo che lo so. Ora siamo in isolamento. Non c’è nessuno in giro per strada tranne me. Non che io voglia alcun riconoscimento. Sia io che Boris abbiamo il virus, anche se il capo è molto più malato di me. Mi guardo allo specchio e indosso la mia cravatta rosa fortunata per la conferenza quotidiana a Downing Street.

Ad un certo punto sembra che io abbia infranto le regole sbaciucchiando Gina. Mi sono innamorato. Profondamente. “Mi completi” le dico. “Sei la mia roccia, ragazzone”, dice lei. Il mio cuore salta. Mangerei il pene di un cammello per lei. Siamo d’accordo che devo dimettermi. Ma vado a testa alta. Avendo fatto la scelta giusta. Se ho un punto debole? è il mio pudore.”
La strepitosa notizia è del 3-03-2023. Su tutti i media si legge: “Un caso eccezionale coinvolge l’ex ministro della Salute, Matt Hancock. Isabel Oakeshott, la giornalista che ha scritto la sua biografia, ha consegnato 100mila Whatsapp del ministro al Telegraph: così negli UK stanno leggendo le conversazioni private dell’intero governo, incluso Boris Johnson, durante l’emergenza Covid e i lockdown.” Le rivelazioni sono un terremoto. Hancock sta pensando di tornare in politica. Ma non adesso, visto che infieriscono i Labours.

E nemmeno dopo, visto che i Tories hanno perso la bussola, su una zattera nel mare in tempesta. governata da tale Badenoch. Come si evince dalle pagine di Spectator.

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Ti ricordi di Matt?-prima parte-

Quello del frullato di vermi sull’isola dei famosi. Il giuggiolone incastrato da una telecamera mentre indugiava in dolci effusioni con la sua fidanzata. Ex ministro della sanità inglese durante Covid- Matt Hancock, proprio lui, protagonista di un reality, per dimostrare al mondo di che tempra fosse fatto. Regno Unito, l’incredibile caduta di Matt Hancock: da ministro-star a mangiatore di genitali di canguro

L’Osceno Cosmico possiede diverse declinazioni. Esse definiscono una fenomenologia diffusa, che gode del favore crescente del pubblico, il quale ama sensazioni forti, procurate da prodi alla gogna volontaria. Bisce, ragni, insetti, rane e lombrichi bricconi se la godono sulla testa di eroi malcapitati. Il tutto all’insegna della schifezza per il sollazzo di milioni di palati facili. A chi tocca? A un personaggio singolare e pervicace.
La storia dall’inizio: Reuters 24-03-2020: “Lockdown measures set out by the British government are rules, not advice, and will be enforced, health minister Matt Hancock said.” Reporting by Alistair Smout, Writing by Kylie MacLellan. Reuters 20-12-2020, Elizabeth Piper: “Il governo è stato criticato per aver imposto un blocco effettivo a più di 16 milioni di persone pochi giorni prima delle feste, ma Matt Hancock ha affermato che era indispensabile.”

L’idea di lockdown totale spaventava per paura di danneggiare il business. In un ex parcheggio di Ruislip si scavano 1600 fosse per i nuovi defunti, vietato partecipare a funerali. Bojo diceva: “Dovremo aspettarci nuove ondate di decessi, ma teniamo duro, rispettiamo le regole,” anche la buonanima della regina era intervenuta: “Stateve bb’uon, o prima o poi passerà.” Da High street Kensington a Piccadilly a Regent street il deserto.
Luigi Ippolito, Corriere della Sera 28-11-2022:
“L’ex ministro della salute Matt Hancock, molto impopolare per aver violato il lockdown da lui stesso imposto, è la nuova star dell’«Isola dei famosi» britannica, «I’m a Celebrity» dice trionfante. L’ex ministro della Salute, dalla polvere della gestione del Covid agli altari de «L’Isola dei famosi» (che a Londra si chiama «Sono una celebrità, tiratemi fuori di qua.»)

Ma la vera tegola era stata uno scandalo pruriginoso: telecamere a circuito chiuso lo sorprendono ricevere l’amante nel suo ufficio, in violazione delle regole sul lockdown (iconico il fermo immagine di lui che strizza, voglioso, il deretano della signora). Ma lui ha trovato una strada per riabilitarsi: un reality televisivo. L’associazione dei parenti delle vittime del Covid aveva protestato anche perché Hancock andava a intascare 400 mila sterline. Sul set in Australia ha trangugiato (previa bollitura e si ignora se conditi) un pene di cammello, un ano di vacca e una vagina di pecora, ha immerso la testa in una vasca con anguille e ragni d’acqua, ha bevuto frullati di vermi. Questo significa essere uomini veri.

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Ti ricordi di Peaky? -seconda parte-

Della colonna sonora scrive Federica Carlino su Coming soon:  “Take a little walk to the edge of town…”: tutti i fans della serie provano un brivido di piacere ogni volta che sentono queste parole. Per chi non lo sapesse, la sigla si intitola “Red Right Hand” e non è stata scritta appositamente per la serie. È traccia dell’album “Let Love In” di Nick Cave & The Bad Seeds, uscito nel 1994, più di 25 anni fa. Mentre Alessandro Lella su Mad for series.it: (…) Difficilmente riusciremmo a trovare dei difetti in Peaky Blinders che…riesce a proporci anche degli interessanti risvolti politici, quando vengono analizzati più da vicino i rapporti tra la politica e le famiglie mafiose. Insomma, i motivi per vedere questa serie tv sono veramente tanti: dai dettagli curati con estrema attenzione, alle situazioni emotive che non mancano mai di stupirci in positivo, dalla crescita individuale e l’umanità dei personaggi alla perfetta ricostruzione dei luoghi del tempo.

Federica De Masi su Cinematographe.it: Quando una serie tv riuscita e amatissima dal pubblico volge al termine è inevitabile essere assaliti dal magone e anche dalla paura che la chiusura di un ciclo possa rovinare il capolavoro realizzato fino a quel momento, con forzature e decisioni che snaturino i personaggi. In Peaky Blinders 6 il dramma personale ha maggior spazio, al pari di quello familiare e storico, ma anche la linea thriller si accende adagio, con l’organizzazione di un ultimo grandissimo colpo che prevede il trasporto di un ingente quantitativo di oppio dal Canada. Tutto questo ci terrà col fiato sospeso! Peaky Blinders 6 è visivamente spettacolare…

Lungo le circa 7 ore di show si sente ticchettare la carica della suspense fino ad un grande epilogo. I livelli di questa serie infatti sono molteplici e la maestria degli autori nell’averli sviluppati tutti in modo limpido è il punto forza…Una regia di pregio rimane il marchio di fabbrica dello show: movimenti di macchina a tutto spiano, giochi di luce che caratterizzano momenti onirici e la contrapposizione tra bene e male, un tocco di stile moderno tra rallenty e accelerazioni e il gioco è fatto! Lo stile di Peaky Blinders è poi arricchito dalle eccellenti ricostruzioni d’epoca e dalla colonna sonora perfetta: da Disorder dei Joy Divison, a Nessun dorma della Turandot, fino a 5:17 di Tom Yorke.Di fronte a questo peana di consensi devo arrendermi; però, Il Mulino del Po (‘63), miniserie tv Rai di Sandro Bolchi con Raf Vallone, Gastone Moschin, Tino Carraro e Ave Ninchi, fu un clamoroso successo!
Ti chiederai ma è così bravo Cillian Murphy nei panni di Thomas Shelby? Fotogenico ed espressivo di sicuro, basta vederlo nella pellicola Oppenheimer, anche se Marlon Brando, nel Giulio Cesare di Mankiewicz e Orson Welles in Otello sono tutt’altra cosa.

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Ti ricordi di Peaky? -prima parte-

In un vecchio articolo di Lorenzo Ferrara pubblicato su Barbadillo, vecchio si fa per dire, perche’ data novembre 2022, ci trovi: I giovani gangsters protagonisti dell’omonima serie tv della BBC iniziata nel 2013 e distribuita da Netflix.
Come prefazione alle vicende dei gangsters l’indigesto polpettone anglo italiano de I Medici targato Netflix che non rende onore alla nostra autentica storia patria, a parte le inquadrature urbane e gli splendidi abiti. Ci sarebbero voluti registi meno abborracciati. Gli attori de I Medici non sapevano cosa e chi stavano interpretando, salvo un Dustin Hoffman, che quello va sempre bene.   
Ricordo la vera commozione di Philippe Leroy per essere riuscito a interpretare Leonardo Da Vinci in uno sceneggiato Rai tv (‘71) di Renato Castellani, diventato poi una pietra miliare. Salvatore Nocita e i suoi Promessi Sposi ti dicono qualcosa? Nella sua prima messa in onda (‘89) tocca i 14 milioni di spettatori. Per non parlare dello sceneggiato tv Ulisse di

Franco Rossi, con Irene Papas e Bekim Fehmiu. “Several critics consider the series to be a masterful representation of the ancient world.” Ma davvero? Ci sarebbero anche le serie di Maigret con Gino Cervi e Nero Wolfe con Tino Buazzelli, ma bando alla nostalgia, questo era solo per farti notare che i trionfi non sono appannaggio esclusivo delle produzioni straniere. BBC ha riscattato la penosa serie de I Medici di Netflix, punto a capo. Lo ha fatto con Peaky Blinders, ora successo planetario. Per la cronaca reale: Dicesi Peaky Blinders la banda di delinquenti di Birmingham di fine ’800 e primo ‘900, giovani di estrazione medio-bassa dediti a rapine, racket, scommesse illegale e controllo del gioco d’azzardo. Eliminarono i rivali Cheapside Sloggers, per controllare Birmingham e dintorni. Nel 1910, i Birmingham Boys capeggiati da Billy Kimber, iniziarono la conquista della città, surclassando i Blinders e dopo dieci anni li sloggiarono; il termine Peaky Blinders divenne sinonimo di generica banda di strada a Birmingham.

I giovani gangsters sono i protagonisti dell’omonima serie tv della BBC iniziata nel 2013 e distribuita da Netflix. 

La vicenda è ambientata nel quartiere di Small Heath e ruota attorno alla famiglia Shelby, il cui secondogenito Thomas, reduce decorato della prima guerra mondiale, è anche il boss della gang detta Peaky Blinders, dall’usanza di nascondere lamette nel risvolto dei cappelli, in modo da usarli anche come arma. In senso stretto il termine riguarda la forma affusolata e a punta della visiera. BBC definisce la storia come “An epic gangster drama set in the lawless streets of 1920’s Birmingham.” 
Scrive SerialFreaks.it: “…Se i cattivi vi affascinano più dei buoni, se per voi il rispetto vale più di tutto, e la vendetta è un piatto da servire caldo, non potete perdere Peaky Blinders…”
Margherita Fratantonio su Taxidrivers.it: “…Amori devoti e infedeli, sanguinosi regolamenti di conti, antagonismi feroci, a volte sospesi se prima si devono concludere affari convenienti. Non certo quello con gli italiani, capeggiati dallo spietato Luca Changretta (Adrien Brody), deciso a sterminare tutti gli Shelby…Una fotografia per lo più cupa sottolinea l’ambientazione: l’interno del pub che è il loro quartier generale, il porto dei traffici illeciti, le fonderie Small Heath di loro proprietà, utili a far scomparire i cadaveri. Lì The fuckin’ Shelby si muovono sicuri, insieme…una squadra temuta, con i loro berretti e i costosi cappotti aperti a rendere le andature più spavalde…-prima parte-.

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Dovremmo chiedere scusa -seconda parte-

Found responsible for killing of from 380-1000 unarmed Indian Sikh adults and children during the Jallianwalla Bagh Massacre, April 13, 1919 in Amristar, India.

Il giorno successivo al massacro Dyer emanò un comunicato ufficiale; ecco uno stralcio che permette di capire la mentalità di un soldato di professione: “…Per me fra il campo di battaglia di Francia o di Amritsar non c’è differenza, è lo stesso. Sono un militare e andrò dritto…”  L’atto di Dyer venne considerato disumano e sleale per il non avvenuto preavviso. Durante il processo l’uomo non mostrò pentimento. Alle domande: “Generale, è vero che ha ordinato di sparare dove la folla era più fitta? Lei era consapevole che fossero presenti donne e bambini?” Dyer risponde “sì” entrambe le volte, aggiungendo che intendeva dare una lezione all’India intera. C’è chi lo ritrasse come un eroe. Giudicato colpevole all’unanimità gli fu vietato di ricoprire da quel giorno qualsiasi incarico ufficiale. L’evento divise l’opinione pubblica britannica. Secondo http://www.drishtikone.com, 29-01-2019: “(…) Two armored cars with machine guns and hundreds of troops with machine guns – 50 of whom were armed with 303 Lee–Enfield bolt-action rifles.
The entrances, including the main one, were blocked.  The main entrance were blocked by troops and the armored cars behind them.

Poi per i successivi 10 minuti il caos più orribile della storia umana, in cui le truppe hanno deliberatamente sparato contro le aree dove più densa appariva la folla, si voleva il massimo danno. Alcune stime dicono che quel giorno morirono oltre 1.500 o addirittura 2.000 persone, incluso un bambino di sei settimane! (…) Mentre molti, si dice, hanno criticato Dyer per i suoi atti demoniaci, altri lo hanno elogiato definendolo eroe. La camera dei Lords, così lo considerava: un eroe. L’8 luglio 1920, il quotidiano locale Morning Post aprì un fondo a beneficio di Dyer. Ad esso hanno contribuito molte persone dell’esercito da Calcutta a Colombo al duca di Westminster. Diversi i giornali che hanno contribuito al fondo pro Dyer. Fra i sostenitori più accesi di Dyer lo scrittore del famoso Il libro della giungla. Rudyard Kipling giunse a definire il generale Dyer “l’uomo che ha salvato l’India”!Mentre Winston Churchill, dichiarò il massacro “un episodio senza precedenti o paralleli nella storia moderna dell’impero britannico…evento straordinario, mostruoso…la folla non era né armata né attaccante”. Ancora Clementina Udine su Lo Spiegone: “Ogni anno, le celebrazioni in memoria delle vittime di Amritsar riportano alla luce frizioni tra i due Paesi, che nonostante si cerchi di nascondere o attutire ricordano inevitabilmente come questo evento abbia lasciato una cicatrice indelebile nelle relazioni anglo-indiane. È vero dunque che il massacro di Amritsar ha portato all’ottenimento dell’indipendenza indiana in tempi più rapidi, ma il prezzo che il Paese ha dovuto pagare è stato alto e rimarrà sempre uno degli episodi più sanguinosi della storia recente indiana, ricordato ogni anno con orrore e dolore.” Un’altra pagina nera nel puzzle coloniale britannico, dunque, e un altro macellaio doc oltre al baronetto Sir Arthur Travers Harris, detto the bomber o the butcher. Del resto anche l’italica stirpe vanta personaggi di simile o superiore caratura: Il macellaio italiano del Fezzan inserito nella lista dei criminali di guerra, stilata dall’Onu per l’uso di gas tossici e bombardamenti degli ospedali della Croce Rossa, ad esempio.

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Dovremmo chiedere scusa, o forse no? -prima parte-

I fori delle pallottole sul muro ci sono ancora. 1165 proiettili sparati ad altezza d’uomo. Dieci minuti di fuoco continuo fino ad esaurimento colpi. Quattrocento i morti ufficiali, fra cui numerose donne, vecchi e bambini, milleduecento i feriti; è convinzione diffusa che gli uccisi fossero centinaia di più. “Dovremmo chiedere scusa.” Un poco avvilente che uno solo, lo dica, anche se si tratta del sindaco di Londra, Khan, pachistano di origine, che, armato di buona volontà, si reca sul luogo dell’eccidio dicendo “Sorry.”  Quel giorno di aprile del 1919 la volontà era obbedienza cieca all’ordine e alla volontà di massacrare per far rispettare la legge marziale. Sky News, 6-12-2017: “London Mayor Sadiq Khan urges British Government to apologise for the 1919 Amritsar massacre. Sadiq Khan says it is time the UK apologised as the centenary for the shooting by British troops on unarmed protesters nears.” Ma UK non fa nessun apologise. Era il 13 aprile 1919 quando avvenne il misfatto. “David Cameron è stato il primo primo ministro britannico a visitare un memoriale per il massacro di Amritsar nel Punjab, nel febbraio 2013. Ha descritto il delitto come “profondamente vergognoso”, ma si è fermato prima di chiedere scusa. Theresa May ha definito una “cicatrice vergognosa nella storia delle relazioni anglo-indiane”, nulla più. 
Il 05-08-2019 Clementina Udine su Lo Spiegone: “A cento anni dal tragico evento l’India è ancora in attesa di scuse formali da parte dell’Inghilterra. Come fatto notare da molti in occasione dell’enorme fiaccolata che ha ricordato il 13 aprile di quest’anno le vittime della strage, il centesimo anniversario avrebbe potuto rappresentare il momento ideale per presentare le dovute scuse. Ma la premier inglese Theresa May ha solamente espresso dispiacere per l’accaduto, definendo l’evento un “esempio doloroso del passato inglese in India”.
il massacro di Amritsar: chi, cosa, come e perché. Era   Il 13 aprile 1919 quando il generale di brigata pro tempore dell’esercito inglese Reginald Dyer, in attesa della smobilitazione e veterano della prima guerra mondiale, ordinò ai suoi 90 uomini, parte inglesi parte gurka, di far fuoco su civili inermi. La folla si era riunita nel piccolo parco di Jallianwala Bagh per celebrare l’inizio della primavera; contemporaneo un comizio di protesta pacifica contro l’arresto immotivato di due leader nazionalisti. Una provocazione secondo i Brits, in quanto violava la legge marziale instaurata un mese prima; la legge vietava qualsiasi assembramento con più di quattro persone. A marzo era stato varato il Rowlatt Act, che consentiva di incarcerare in modo arbitrario i dissidenti, senza bisogno di processo. Il Partito del Congresso aveva organizzato numerose manifestazioni pacifiche di dissenso. Comunque scontri violenti ci furono e ripetuti attentati contro funzionari britannici e le sedi amministrative; per questo motivo in alcune regioni entrò in vigore la legge marziale, riducendo le già scarse concessioni fatte agli indiani che avevano acceso le speranze di maggiore autonomia dalla fine della prima guerra mondiale. il generale non ritenne necessario esplodere colpi di avvertimento per disperdere la folla, ma ordinò di sparare ad altezza uomo fino a esaurimento delle munizioni. Che fossero presenti donne e bambini, al generale non interessava e nemmeno portare soccorso ai feriti alla fine dell’esecuzione. Potevano esserci molti più uccisi ma le autoblindo con le mitragliatrici non riuscirono ad entrare nell’area perché troppo larghe per le strette vie d’accesso al giardino.

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Gran Bretagna, i marmi reclamati e le restituzioni come beni in affitto -seconda parte-

L’articolo di Lorenzo Ferrara continua: “Il gioco è finito”, lo dice anche Dan Hicks, professore di archeologia contemporanea all’Università di Oxford, che riporta a sostegno delle sue tesi anche i commenti di Tristram Hunt, direttore del Victoria & Albert museum, secondo il quale occorrerebbe mettere mano in toto alle leggi che vietano ai musei di restituire le opere d’arte. Secondo Mike Pitts, archeologo: “il British Museum sostiene di non avere nulla in contrario al trasferimento di materiale verso il paese di origine delle opere e non sembra porre limiti alla durata del prestito. Quindi è ipotizzabile che una parte davvero significativa della collezione del Partenone possa finire effettivamente in esposizione permanente ad Atene… Ma come prestito, non in veste di manufatto che ha mutato proprietà…” Hai capito la furbata? Artribune: “Nel 2014, Mark Walker, un consulente medico britannico pensionato, ha restituito due sculture rubate da suo nonno durante l’assedio del 1897 nel Benin. Poi è stato il turno dell’Università di Aberdeen, in Scozia, che aveva acquistato una testa di Oba, il sovrano del Benin, e del Jesus College dell’Università di Cambridge, che aveva ricevuto un gallo di bronzo in dono dal padre di uno studente nel lontano 1905. Anche la Germania, una delle principali destinazioni delle opere, ha chiesto ai musei un elenco dettagliato per restituire tutti i bronzi arrivati attraverso il commercio d’arte. Lode alla sensibilità etica di persone e istituzioni. Quasi il 60% dei Britannici ora pensa che i marmi del Partenone debbano ritornare alla Grecia, mentre il 18% pensa il contrario. Fra questi ultimi c’è qualcuno che avanza ipotesi alternative, ad esempio: perché non sostenere il principio di reciprocità? Proponendo un prestito incrociato: affidare opere in esposizione di Blake, Turner, Constable, Leighton, Millais ai musei del Gabon, del Benin, della Grecia o del Cairo. Non sarebbe più intelligente pensare a nuove forme di interazione culturale con ricadute economiche per il paese d’origine al quale appartengono? Le opere trafugate esposte nei musei londinesi sono fonte di attrazione e ricchezza per i Brits, perché non coinvolgere con compensi economici adeguati i paesi interessati? Non si scandalizzino i direttori dei musei del Sudan o della Nigeria, che a gran voce esclamano: “a ridatece a robba! è ‘nostra!!” A Londra arrivano a vagonate gli estimatori dei loro reperti. Sarebbe a dire: Hai visto quali meraviglie puoi trovare in Grecia, Messico, India, Cina, Benin, Italia, a Londra in vetrina, al British museum c’è solo un assaggio.

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