Non c’è solo l’acqua putrida di Bath

“Scrive Cassio Dione Cocceiano, Storia romana,62, 2: «Era una donna molto alta e dall’aspetto terrificante. Aveva gli occhi feroci e la voce aspra. Le chiome fulve le ricadevano in gran massa sui fianchi. Indossava invariabilmente una collana d’oro e una tunica variopinta. Il tutto era ricoperto da uno spesso mantello fermato da una spilla. Mentre parlava, teneva stretta una lancia che contribuiva a suscitare terrore in chiunque la guardasse.» I Britanni non ci volevano a casa loro, occorre dire come sono andate le cose, altrimenti non possiamo condannare nessuna invasione. Ma la protagonista della più sanguinosa rivolta contro gli invasori Romani pagò a caro prezzo le prime illusorie vittorie. Gaio Svetonio Paolino nelle West Midland, sbaraglia infatti l’esausto esercito britannico, costretto a risalire un’altura per dare battaglia, convinto di poter sconfiggere le legioni romane e amen. I morti fra Romani e Iceni fecero rossa la terra della Britannia. Ai Brits non abbiamo lasciato come eredità “solo” l’onta della regina umiliata ma anche l’acqua putrida di Bath, con vasca e terme che la contengono, e anche il vallo di Adriano, argine contro i ringhiosi Scozzesi, oltre a mura ancora visibili e quelle smantellate qua e là, impiegate come materiali da costruzione, è successo anche a casa nostra, vano protestare.”

Ogni volta che i britannici trovano qualcosa nel sottosuolo, come monete, monili, esultano. Ma il loro è un atteggiamento ambivalente. Quasi come dicessero: “anche noi abbiamo il nostro passato”. Lascia stare che da noi si trovano staue di marmo e di bronzo intere mozzafiato e da loro “solo” monete, elmi e minutaglia archeologica. Ma è come se quei reperti non gli appartenessero, come se fossero di altri, che passavano da quelle parti. Difficile da spiegare, se non riandando alle loro vere radici che non sono romane ma celtiche; scrive nostra madama Wikipedia: “Le loro origini risalgono alla fusione di gruppi di popolazioni germaniche, migrate a partire dall’Alto Medioevo in Britannia: gli Anglosassoni (Angli, Juti e consistenti popolazioni di Sassoni) dalla Bassa Sassonia, dalla Frisia e dalla penisola jutlandica, e Norreni dalla Danimarca. Per finire l’argomento gli inglesi non vogliono sentirsi nemmeno un po’ romani, forse perché romanità fa rima con italianità? censurando ad esempio in toto la tradizione romana dei gladiatori al Colosseo, che hanno messo all’indice per troppa crudeltà, tutto qui.

Se vuoi saperne di più: memorie-esperienza-indagine
raccolte in un volume.

la regina Budicca voleva scacciare i Romani?

“Boudicca regina degli Iceni. I Brits ne hanno fatto un simbolo. Anche se li avesse da terra non li vedresti,” scrive Lorenzo Ferrara, “i baffi dico; la statua bronzea di Thomas Thornycroft eretta sul Tamigi, a due passi da Westminster, non può raffigurare in modo veritiero la regina celtica della tribù degli Iceni, magari con una folta peluria sul labbro. La statua interpreta vendetta e orgoglio nazionale. Per forza deve essere fascinosa. La sovrana svetta sul suo carro trainato da snelli destrieri, avvolta in una tunica che mette in luce la sua improbabile avvenenza. Il terribile carro a lame falcianti è diretto verso la gloria eterna della sua terra e arriva fino a noi. Vendicatrice e con le tette a punta, la sua figura, in compagnia delle due figlie violentate in pubblico duemila anni fa, colpisce.”

Ferrara mi aveva sconsigliato il film che la ritraevano, bella e intrepida affrontare i soldati romani. Boudica Queen of War, è un film drammatico d’azione britannico del 2023 diretto e scritto da Jesse V. Johnson. Il film segue l’omonima guerriera celtica del popolo Iceni, nella Britannia romana e come si ribellò contro i romani dopo la morte di suo marito, Prasutagus. Le critiche generalmente sono negative. “Colpite! uccidete! colpite!” questo deve aver gridato la gran regina celtica mentre arringava la torma inferocita dei suoi scalmanati guerrieri. Difendeva la sua terra e la liberta’ del suo popolo, contro lo strapotere dei Romani invasori, invano.

Se vuoi saperne di più: memorie-esperienza-indagine
raccolte in un volume.

eravano padroni del mondo?

Gaio Minucio, ne ebbe sdegno e vergogna…
A 85 anni riceve il Nobel e l’anno dopo, nel novembre del 1903 muore. Con lui scompariva il più grande interprete della grandezza di Roma. Un amore durato tutta la vita per Teodor Mommsen, tedesco dello Schleswig, la cui mole di lavori, fra articoli, memoriali, pubblicazioni (circa mille opere di varia ampiezza) è destinata a siglare una serie di primati inarrivabili, fatti di estenuanti analisi sul campo – aveva setacciato ogni paese del mezzogiorno italiano alla ricerca di indizi, documenti, prove. Ma oggi dove ne trovi un altro così? Con quel materiale aveva poi costruito la sua grandiosa opera storico poetica. Che a ben vedere è una dichiarazione d’amore e di rispetto verso Roma. Un lavoro metodico, diligente, scrupoloso, analitico che componeva con passione intatta decennio dopo decennio, superando difficoltà di ogni genere. La lettura dell’iscrizione di una lapide faceva emergere nuove verità, contribuendo a risolvere ardui problemi di interpretazione ispirando nuove entusiasmanti ricerche. Mommsen era un segugio dal’olfatto sviluppatissimo. Il suo capolavoro, come scrive Vittorio Scialoja nella nota biografica de LA STORIA DI ROMA a cura di Antonio G. Quattrini – Dall’Oglio Editore  è l’opera scientifica. 

Romisches Staatsrecht, insuperato trattato di diritto costituzionale e, in parte amministrativo. Una perfetta esposizione della costituzione di Roma. Insegnante, accademico, ricercatore sul campo insigne. Poeta, traduttore, storico appassionato, la sua prosa, come scrive Vittoria Scialoja è stimata fra le migliori della letteratura germanica. Umbri, Sabelli, Sanniti, Campani, Etruschi, Liguri e infine loro: i Romani. Scandagliati con rara sensibilità e con partecipazione.  Fra le quinte di uno degli imperi più poderosi della storia si muovevano plebei, patrizi, duci, centurioni, senatori e commercianti e infine il soggetto inimitabile, la creazione politica più originale di Roma, quella su cui la repubblica e l’impero, per secoli, avrebbero potuto contare: il cittadino romano, al quale il regno, la repubblica e l’impero dovevano tutto. Onesto, probo, parco e cosciente dei suoi diritti-doveri, nell’ambito di una serie di valori condivisi.

Il cittadino era al centro dello stesso potere, essendone parte integrante. Mi imbarazza dover scegliere, per la cronaca, alcuni esempi fra le migliaia di pagine scritte: A pagina 69 de LA STORIA DI ROMA leggo: Spurio Melio, dovizioso plebeo, in tempo di grande carestia vendette il frumento a un tale prezzo, che il patrizio prefetto dell’annona, un certo Gaio Minucio, ne ebbe sdegno e vergogna. La cosa venne tratta con tutta serietà, perché lo spettro della monarchia ha sempre prodotto sulla moltitudine di Roma l’effetto che produce sulle masse in Inghilterra lo spettro del papato. Beh, c’è davvero da imparare qualcosa di nuovo dal Mommsen, non ti sembra?