c’era l’esotismo? (2)

Sul contenuto del post di Paolo Novaresio del primo febbraio non ci sono dubbi. Svela e precisa alcune cose che io stessa ho provato nei miei numerosi viaggi di lavoro e piacere. La passione per l’esotismo è una malattia come un’altra che produce danni colaterali, quelli elencati da Paolo Novaresio. Tutto vero quello che lui dice, compresa l’amarezza e il ritorno al nostro quotidiano da cui pensavamo di uscire senza pagare il conto. Ma c’è un ma. Ovvero l’altra faccia della medaglia. L’esotismo vero e il fascino che sprigiona l’esotico è solo una conseguenza, la coda di un gigantesco caimano che si annida nel nostro iper protetto e presuntuoso presente e nel futuro high tech. Ovvero ci richiama a quello che siamo o dovremmo essere: uomini.

I postumi della malattia dell’esotico di chi viaggia veramente (non da turista) ma da curioso scopritore di realtà alternative o meglio, complementari alla nostra, sono dettagli trascurabili. Il mondo a due se non a tre velocità esiste davvero e noi apparteniamo al primo, quello più veloce, e rischioso, quello che ci fa camminare sull’orlo dell’abisso. Apocalittico? Nemmeno poi tanto. Lo dicono scienziati, ecologisti e molti altri. Il mondo pattumiera è la nostra attuale realtà, ma non divaghiamo. Il nostro mondo ha bisogno di antidoti, lascio perdere la parola spirituale, perché oggi farebbe ridere, non pretendo tanto. La svolta verde americana si tradurrà veramente in realtà? Ciò che io sostengo è che l’esotismo, compresi i suoi sopportabili danni collaterali ci serve, è indispensabile, comprese zanzare, caldo asfissiante e mercatini stantii etichettati come etici. Non voglio alzare un peana al Terzo Mondo, sarei sciocca, dico solo che I NUTRIMENTI TERRESTRI di André Gide fa più che mai testo, vai a rileggerlo. E con quell’opera quelle di Conrad, London, Faulkner e Chatwin. Loro avevano intuito il valore dell’esotico, in quanto opposto ai nostri alberi e alla nostra vita di plastica. In qualche luogo, quello che piace a te e che sicuramente dopo un po’ ti annoierà, esiste ancora la via di fuga, se l’Esotico sparisse, quello autentico, che ha sperimentato Novaresio, per capirci, avremmo perso ogni riferimento e allora saremmo davvero perduti.
Elisa Barbieri

scriveva il grande Conrad?

CUORE DI TENEBRA. Sostengo da sempre che alcuni libri andrebbero resi obbligatori nelle nostre scuole, come sussidiari, testi su cui far riflettere i nostri giovani , fra questi e alcuni altri, insieme a Memorie di un pazzo di Flaubert, di Nutrimenti terrestri di Gide e Verso Damasco di Strindberg c’è anche Cuore di tenebra di Conrad insieme a Orgoglio tricolore, del mio amico Lorenzo Fornaca.

Propaggini del tempo, residui fossili del nostro passato e della nostra mente. Sono le foreste del primordio, ultime aree momentaneamente risparmiate dagli obbrobri della devastante civilizzazione. Perché ne parliamo? Sono bastati un’ottantina di anni, forse meno, un niente se confrontato alla storia, e tutto è successo, irreversibilmente, irreparabilmente. La capacità di incidere e stravolgere il territorio, di deviare fiumi, cementificare, creare immense alienanti periferie metropolitane ha stravolto e inquinato ambienti e habitat che perduravano da millenni, e con essi la loro storia, cioè la nostra. Non diciamo nulla di nuovo, parole superflue perché inutili. Ne siamo coscienti. Agli spazi metropolitani, alle aree occupate dall’industrializzazione, sottratte alla selva, alla stessa montagna, con l’edificazione di villini a schiera e di condomini, ai paesaggi pesantemente modificati e sfigurati, per ottemperare alle esigenze, spesso fittizie, dello sviluppo, si oppongono ancora alcune (non molte) aree off limits dove la natura detta legge ristabilendo rapporti psichici, fisici e primordiali con abitanti e visitatori. È il caso della foresta fluviale del Congo, in CUORE DI TENEBRA, quella di Conrad, per intenderci o quella delle Isole Salomone di Jack London ne L’AVVENTURA e, ancorché devastata dai coloni inglesi, spagnoli, e francesi sul Mississipi, quella di Faulkner ne LA GRANDE FORESTA, in cui viveva l’orso primordiale, per far posto alla ferrovia e alla città. Sono le foreste tenebrose, territori impraticabili, ma indispensabili oggi, e che ci diamo briga di distruggere (guarda quello che sta succedendo in Amazzonia) insegne di una sovranità che è pericoloso guastare. La foresta (quella foresta) è lo spazio in cui l’uomo perde il senso del tempo, paesaggio onirico eppure reale, pericoloso e talvolta letale.

Un paesaggio che è prima di tutto dentro l’uomo. E perciò insopprimibile. Quindi stiamo uccidendo pezzi di noi. Basta leggere alcuni brani da CUORE DI TENEBRA per capire di cosa stiamo parlando: a pagina 55: dell’edizione FELTRINELLI economica con prefazione di Anna del Bo Boffino: …Le grandi mura della vegetazione (una massa esuberante ed intrecciata di tronchi, rami, fronde, festoni, immobile sotto la luce lunare) erano simili all’invasione riottosa della vita silente, ad un’ondata rotolante di piante ammucchiate, un’ondata che si gonfiava… a pagina 60: Risalire quel fiume era come viaggiare all’indietro nel corso del tempo, ritornare ai primordi, quando la vegetazione cresceva sfrenata sulla terra e i grandi alberi erano sovrani. Un fiume, un deserto, un silenzio solenne, una foresta impenetrabile… a pagina 63: Eravamo come i visitatori di una terra preistorica su una terra che aveva gli aspetti di un pianeta sconosciuto. Avremmo potuto immaginare di essere i primi uomini che prendevano possesso di un’eredità maledetta che bisognava sottomettere a costo di grandi dolori e di fatiche a pagina 116: a proposito del misterioso Kurtz: La sua era una tenebra impenetrabile. E io lo guardavo così come si potrebbe guardare, giù, un uomo che giace nel fondo di un precipizio dove non brilla mai il sole…(come una foresta?) Ricettacolo di paure, aggiungiamo noi, inquietudini, insondabili misteri, fascinosa e impenetrabile in cui l’uomo smarrisce valori e misura. Ma quella foresta è nell’uomo e dell’uomo. È in questo tipo di ambiente che si dissolvono le smanie civilizzatrici, ultimo brandello di natura che esige rispetto, incute timore, respingendo l’intruso. La foresta selvaggia sta alla metastasi urbana come l’antidoto sta al male incurabile, viva, terribile e potente, luogo d’elezione perché non coercibile e cieca. Non madre, anzi, creatrice di incubi, non culla, tuttavia capace di suscitare riflessioni sull’aberrante devastazione cui l’uomo ha dovuto ricorrere per realizzare i suoi ultimi sogni. Foreste africane, asiatiche, dell’Amazzonia, di sperdute isole, ultimi spazi sovrani dove la mente può soccombere, ma in cui può comunque riconoscersi accettando la superiorità della natura. London, Faulkner, Conrad ne avevano rilevato il potere, l’avevano capito, trascrivendone la forza simbolica e il mistero, riuscendo a farne percepire la vita oscura, insopprimibile, perché dentro l’esperienza umana (oggi addormentata) che in essa si celava. Se ti ricordi di cosa scriveva Conrad allora non tutto è definitivamente perduto. Se mi dici cosa ne pensi te ne sono grato.