I Brits e noi, l”amore” che non muore

Lorenzo Ferrara, ancora desaparecido, ci aveva assicurato che questo, insieme a molti altri articoli, sarebbe stato pubblicato in un libro edito da Solfanelli

Edda Ciano, la fille du Duce, à Rome, Italie. (Photo by KEYSTONE-FRANCE/Gamma-Rapho via Getty Images)

L’amore che i Brits nutrono per il nostro paese si manifesta in diverse occasioni, amore strano, tortuoso, di gente lontana anni luce dalla nostra essenza intima, esso conosce diverse tappe e gradi di interesse, si industria a sguinzagliare giornalisti nella nostra penisola come osservatori per sondare i meandri di certi fatti nostrani, certe anomalie, le magagne e i sotterfugi, i detective arrivano vicino al vero ma poi mancano l’obiettivo. Per capire gli Italiani è noto che occorre un trattato di Fisica Quantistica, non un manuale qualsiasi. Del resto di Indro Montanelli ce n’è stato uno solo, lui ci capiva qualcosa, insieme a Luigi Barzini e all’ex ambasciatore Sergio Romano. L’attenzione dei Brits verso l’anomala creatura politica che loro stessi hanno contribuito a creare, non perde occasione di manifestarsi, anche ai massimi livelli. Più che tracce, fatti, più che impressioni, affermazioni e giudizi, scagliati come sassi nella storia. Sir Winston Churchill insegna. 

Nel 1939 Time le aveva dedicato una copertina. Bella non era, e non solo in quel ritratto, essendo priva del visetto incantevole di Audrey Hepburn, con la mascella ereditata dal padre, eppure Edda Ciano Mussolini, contessa di Cortellazzo e Buccari piaceva. La sua verve, il suo essere donna oltre gli schemi, coraggiosa e ribelle affascinavano, anche al re dei Brits Giorgio V doveva piacere, al punto che la invitava ai tea parties a Buckingham Palace offrendole biscotti, pasticcini e sigarette, coinvolgendo Edda in piacevoli conversari. Ma lei non era a Londra solo per prendere il tè, bensì come inviata speciale dal babbo, di politica parlò con i ministri di allora chiedendo: “Ma se l’Italia sbarcherà in Africa voi cosa farete?” Evasivi gli Albionici, dicono le cronache e le sanzioni all’Italia da loro poi volute, ci fecero venire la gobba, tanto che per venirne fuori l’Italia ebbe bisogno dell’alleanza col “ridicolo Nibelungo truccato alla Charlot,” (per dirla con Gabriele D’Annunzio.)

Adolf Hitler was dictator of Germany from 1933 to 1945.

Solo leggende? Certo che le pesantissime sanzioni inglesi furono una concausa nella scelta dell’alleato dell’Italia. E poi venne il super blasonato Churchill, inglese doc e con cospicue tracce di antico sangue fiorentino. Bando al folklore biografico: Roma, 1927 a colloquio con Benito Mussolini. A Churchill il duce offrì di scrivere due articoli sul suo giornale, Il Popolo d’Italia. Durante una conferenza stampa: “Se fossi italiano, sono certo che mi sarei schierato con tutto il cuore con voi fin dal principio nella vostra lotta trionfale contro gli appetiti e le passioni bestiali del leninismo.” Spulciando sul web capisci com’è andata e perché.
Fabio D’alessandro, avvocato presso uno Studio Legale su it.Quora.com: “Churchill, da buon inglese DOC, nutriva un sovrano disprezzo per chiunque non fosse british; idem dicasi per qualunque nazione, forma di governo, associazionismo etc. che non fosse di matrice albionica. In tutto ciò, considerava l’Italia la somma dei difetti possibili, in quanto paese latino, mediterraneo, e cattolico. Per un paese così, l’unica forma di governo possibile, era una dittatura paterna e un poco severa; l’alternativa, era cadere sotto una dittatura comunista (l’esperienza ungherese con Bela Kuhn, il Biennio Rosso, oltre alla guerra civile spagnola, la rendono una ipotesi possibile). E Mussolini, per questo ruolo era perfetto. All’indomani della morte del Duce: “Così finirono i 21 anni della dittatura di Mussolini in Italia. Durante i quali egli aveva salvato il popolo italiano dal bolscevismo in cui avrebbe potuto sprofondare nel 1919, per portarlo in una posizione in Europa quale l’Italia non aveva mai avuto prima. L’alternativa al suo regime avrebbe potuto essere un’Italia comunista, che non sarebbe stata fonte di pericolo e sciagura di natura diverse per il popolo italiano e per l’ Europa. Le grandi strade che egli tracciò resteranno un monumento al suo prestigio personale e al suo lungo governo”. (Churchill ‘La seconda guerra mondiale’, Oscar Mondadori – volume nono pag. 63) e anche: “Il genio romano impersonato da Mussolini, il più grande legislatore vivente, ha mostrato a molte nazioni come si può resistere all’incalzare del socialismo e ha indicato la strada che una nazione può seguire quando sia coraggiosamente condotta. Col regime fascista Mussolini ha stabilito un centro di orientamento dal quale i paesi che sono impegnati nella lotta corpo a corpo col socialismo non devono esitare ad essere guidati”. Discorso di Churchill il 18 febbraio 1933, (R. De Felice, Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929-1936). Del resto – cosa che non si dice – Churchill, fino al 1937, e per motivi simili, ebbe parole di profondo elogio anche per Hitler.”
Carlo De’ Coppolati, laureato in materie economiche e in Relazioni Internazionali, esperto di contrattualistica internazionale, su it.Quora.com: “Perché Mussolini scelse di allearsi con Hitler e non con Churchill?” “Per un semplice motivo che tutti gli storici conoscono ma che nessuno dice: gli Inglesi non volevano nessuna alleanza. La perfida Albione, che perfida era davvero, ha sempre cercato e spesso è riuscita a defenestrare qualunque sovrano, presidente o leader mediterrano che abbia anche solo messo in dubbio che detto mare non fosse una piscina inglese. Da Ferdinando II fino a Mussolini. Le cose poi nel tempo sono cambiate, ora la piscina è diventata americana, come tutte o quasi le altre piscine del mondo, ma all’epoca gli inglesi pensavano di essere loro i padroni del mondo e del vapore.” Nell’addendum: “Aggiungo uno stralcio dell’ultima intervista a Mussolini sull’argomento: “Prima di stringere il Patto d’acciaio ho tentato tutte le vie per trovare un’intesa con l’altra parte. Alla Francia ho ceduto per sempre Tunisi come primo segno di concordia. Avevo chiesto la sicurezza del pane per il mio popolo ma anche questo mi è stato negato. L’Inghilterra non ci ha voluti. Voleva la nostra neutralità e i nostri porti a sua disposizione e tutto questo, cioè l’ipoteca dell’avvenire e la nostra dignità, per un misero piatto di lenticchie. Quando ho visto che non c’era nulla da fare, mi sono legato con la Germania. La politica inglese è diabolica.”

Tornando a Churchill: per l’opinione pubblica inglese ecco alcune sue frasi ulceranti; Nel 1937 disse alla Palestine Royal Commission: “Non ammetto che sia stato fatto un grande torto agli indiani d’America o ai neri d’Australia. Non ammetto torti nei confronti di queste popolazioni dal momento che una razza più forte, di grado superiore, una razza più saggia per dirla così, (cioè quella britannica) occupa le loro terre e ha preso il loro posto.” Per questo dire e per le nefandezze commesse e ammesse in Afghanistan hanno imbrattato anche la sua statua, definendo il soggetto ritratto “nemico dell’umanità.”

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raccolte in un volume:

Londra. “The 80s: Photographing Britain”, una mostra fotografica alla Tate Gallery (prima parte)

Fra gli articoli di Lorenzo Ferrara pubblicati su Barbadillo, eccone uno in via di pubblicazione sui volumi di Solfanelli, dedicati al vivere londinese.
Per pizza e birra a Londra, te la cavi con 20 sterline, ben spese se la pizza è verace e la birra italiana. Lo stesso importo lo spendi, meno bene però, per la mostra Tate The 80s: Photographing Britain alla Tate Gallery. Che da poco ha chiuso i battenti.
Luogo deputato a ospitare opere moderne, frequentato da visitatori convinti che il moderno sia sempre migliore della Tradizione e sinonimo di progresso. Nonché sede adatta per il pisciatoio di Marcel Duchamp. 

Ho le credenziali adatte per parlare di questa esibizione, perché sono un ex fotografo che vanta anche un volume fotografico su Torino, in “combutta” con Giovanni Arpino, che ne curò i testi. Ricordo di averlo presentato in una libreria vicino piazza Navona. Ma non farmi divagare.
Cosa c’era di così eclatante appeso alle pareti della mitica Tate? La storia della Gran Bretagna anni ‘80, che dilaga fino alle soglie del nuovo millennio. Ai problemi di allora se ne sono aggiunti altri. Ci sono immagini cult senza tuttavia raggiungere le vette delle foto di Cartier Bresson, o di Mario Ingrosso, interprete di alto livello del neorealismo. Dalle immagini della mostra emerge la rabbia della contestazione “black”, a tratti pare di essere nel Bronx o nei campus degli States. Tra edifici in fiamme il furibondo bacio di due fricchettoni gay con la cresta in capo, mentre poliziotti antisommossa vigilano. E anche il ghigno sarcastico di un negro che fa una smorfia. Davanti a una immagine sembra di udire l’urlo di migliaia di asiatici assiepati per reclamare i loro diritti. In altre sale, la fissità ottusa di soggetti borghesi, colti nel loro nido domestico. La mostra aveva obiettivi ambiziosi, volti a rappresentare gli scenari della società britannica in tumultuosa trasformazione. Ribellione, contestazione, c’è tutto e troppo nella mostra. Che pretende di rappresentare quegli anni tempestosi. Una mostra dieci e lode? Non proprio. Anche il The Guardian batte su questo tasto: Hettie Judah, 19 novembre 2024. Nel titolo: “Una mostra piena di gemme, ma bisognosa di una revisione rigorosa”. Nel testo: “La mostra si dipana lungo linee tematiche. La sala di apertura è dedicata alla protesta, dallo sciopero di Grunwick guidato dai lavoratori britannici dell’Asia meridionale a Brent, agli scontri tra picchetti e polizia presso la cokeria di Orgreave, e alle marce contro la legislazione omofobica della Sezione 28. In una galleria dedicata al denaro e al crescente divario tra chi ha e chi non ha, le immagini cupe di Paul Graham si confrontano con gli scatti sarcastici di Martin Parr di feste in giardino e inaugurazioni di gallerie. Nella sezione successiva, l’obiettivo è rivolto al paesaggio e alle trasformazioni operate sia dall’industria che dalla sua rimozione.

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raccolte in un volume:

Le Fiat non sono più cult negli UK (prima parte)

Ancora un altro articolo di Lorenzo Ferrara, che continua a rimanere irreperibile, questa volta polemico sull’ex dirigenza Fiat, pubblicato su Barbadillo.it il 14 Novembre 2024 in Esteri, in due post consecutivi.

L’Italia non c’è sulle strade albioniche. Se escludi la Fiat 500 e qualche anonima Alfa Romeo. Sulle strade di Londra ci sono tutte le auto che contano, eccetto le nostre

Nella foto Jean-Louis Trintignant con Vittorio Gassman ne “Il sorpasso”. Sulle strade inglesi l’auto italiana la vedi col lanternino. Lontani i tempi in cui Fiat, Lancia, Alfa Romeo e Maserati producevano auto cult. Trintignant e Gassmann viaggiavano su una strepitosa Lancia Aurelia B24. Io, più modesto, su una Giulietta spider Alfa Romeo prima serie, di seconda mano. Sulle strade di Londra ci sono tutte le auto che contano, eccetto le nostre. Fiat sembra sparita dalla circolazione. Di Lancia e Alfa nemmeno l’ombra. Il motivo alla base della vistosa debacle risiede nel passato. Nell’articolo del 2018 di Gianni Marocco su Barbadillo si legge: “Se il gruppo Fiat è ancora un player di discreto livello è solo grazie a Marchionne ed al geniale/fortunato rilevamento di Jeep-Chrysler. Fosse stato solo per Panda e 500 saremmo già diventati un marchio cinese. I gestori passati non sono stati capaci di aggiornare il sapore e rendere appetibili Alfa, Lancia e Maserati che potevano essere meglio di Audi e Bmw e Porsche. Poi la disastrosa gestione Romiti, che, appoggiato da Gianni Agnelli, ha preferito una dimensione finanziaria a quella automobilistica, spazzando via tutto in un decennio…Per recuperare ci vogliono montagne di soldi e tanta fatica”. Oggi sulle strade inglesi vedi il futuro dell’auto interpretato da una miriade di modelli, alcuni esteticamente accattivanti, dai colori sgargianti e dalle forme propositive che suggeriscono innovazione, design inediti; di Renault, Peugeot e Citroen una marea montante, senza parlare di BMV e delle Mercedes Benz che spopolano con lussuose berline mozzafiato. Giri l’angolo e vedi che sfreccia una Fiat 500, devi accontentarti di quella. Gianni Agnelli e Cesare Romiti sono scomparsi da un pezzo. Il primo regnava, il secondo comandava e la loro eredità eccola.

Povera Torino, in crisi di identità dacché il suo destino si identifica con quello dell’auto. Povera anche per altri versi. Devi esserci nato a Torino come me, per capire cosa è successo a questo salotto a cielo aperto dove trionfano Barocco, diffidenza verso lo “straniero”, zeppa di fattucchiere e antiche memorie. Quali memorie? Da presidio romano a città sabauda, per cui regia, non per niente ci andavo a giocare ai giardini reali nei pressi di una squisita reggia che fa eco a Versailles.
Il corposo articolo del Financial Times Week end, 20 ottobre 2024 di Amy Kazmin ritrae per la città una realtà problematica, legata alla sorte dell’auto. Gli stabilimenti di Mirafiori per quanto rimarranno aperti? Nel testo: “Quando vedi una fabbrica con quasi 100 anni di storia fermarsi, il cuore piange. Torino muore. Un tempo orgoglio della produzione italiana e conosciuta come “Mamma Fiat” per i suoi estesi programmi di welfare dalla culla alla tomba, Fiat è stata incorporata in Stellantis nel 2021, dopo anni di difficoltà. A settembre l’azienda ha temporaneamente interrotto la produzione di automobili nello storico stabilimento di Mirafiori”. Il sottotitolo: “La dolorosa transizione del marchio di proprietà di Stellantis ai veicoli elettrici ha scosso la sua città natale, Torino, e innescato una disputa con Roma”. L’operaio e deputato sindacale Giacomo Zulianello, ha accusato Stellantis di “dissanguarci” aggiungendo che l’uccisione totale di Mirafiori è troppo anche per Tavares. “Ma in realtà, Mirafiori è già chiusa”. Dice.

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