Prima di darsi alla scrittura Mario Paluan è stato stalliere, falegname, attore, barman, fotografo, giornalista non professionista, redattore, addetto al marketing dei quotidiani La Stampa e Stampa Sera, e alle relazioni esterne del gruppo Fiat. La passione per l’altrove lo porta in Jugoslavia, Grecia, Turchia, Iran, Afghanistan – un viaggio on the road raccontato in Verso Kabul, – e poi ancora Bali, India, Nepal, Sri Lanka, Cuba, Nord Africa, Sudan e Uganda - Spedizione alle sorgenti del Nilo con l'esploratore e storico Paolo Novaresio e l'inviato speciale de Il Messaggero Fabrizio Ricci. Coniugato, con un figlio, attualmente vive a Londra in una casa serra "assediata" dalle volpi.
Ha pubblicato: Il Sogno difficile, liriche, presentato dal conte Aldo di Ricaldone (Grafica Monferrina, 1968), Malacca, racconto (Edizioni Mongreno, 1980), Codfer Bas, romanzo (Shakespeare & Company, 1989), Nella camera oscura, racconto (L’Eternauta 103, 1991), L’età del cartone, racconti fantastici, presentato da Gianfranco de Turris, (Marino Solfanelli Editore1992), Amen Amore, romanzo breve in francese (Maelström Edition, Bruxelles, 1993), Cyborg girl, racconto in inglese (Digital Press U.S.A., 2002), Verso Kabul, da Torino a Kabul in auto, viaggio del 1976, romanzo del 1980, promosso da https://hippietrailblog.wordpress.com, Monferrato splendido patrimonio-omaggio all’arte di Matilde Izzia (Lorenzo Fornaca Editore, 2010), I tesori della valle di tufo, romanzo (Lorenzo Fornaca Editore, 2013), Ultimo dialogo, racconto, (Idrovolante edizioni, 2021), A che punto è la notte?, racconto (Dimensione Cosmica 13, 2021), Dialogo Evola Feynman, racconto in forma di dialogo (Fondazione Julius Evola, 2021), Morte dal cielo, racconto (Homo Scrivens, 2022).
Conduce un blog aperto ai lettori, i suoi lavori sono su Amazon.
“Sei tu che hai preso il miele?” “Si, però…” “Ma non ti sgrido, sai, però devi dirmelo quando prendi il miele…” “Ma devo chiederlo ogni volta, anche quando lei suona il piano o dipinge? o è ancora a letto?” “Non è che devi chiederlo ogni volta, è che poi credo di averne ancora e invece non ne ho più quando ne ho davvero bisogno.” Ha quasi ottant’anni l’anziana signora, e figlia dell’impero britannico, avendo avuto padre british che lavorava nelle ambasciate in giro per il mondo, e madre bangladeshi, per cui ha vissuto tempi migliori di questo, tra feste, party e bel mondo. Non è una eccezione in questi luoghi. L’impero fa ancora scuola di vita e produce nostalgia. La vecchia, datrice di lavoro della moglie di Lorenzo Ferrara, osserva che anche qualche nocciolina manca all’appello. L’anziana pretende di impartire lezioni su come si fa a vivere. E trascina ogni volta che la spunta le due riottose gemelle, sue nipoti, in giro per gallerie e musei, con buona pace delle due smorfiose. Il genero, svizzero, traffica con miniere di rame, litio e oro e imprese di costruzioni ed è affetto da sindrome compulsiva del perfetto pulito, malattia che, si sa, può portare alla demenza per chi non ne e giàaffetto in forma strisciante. La moglie di Ferrara diceva di avere le prove che qualcuno nascondeva una foglia sotto il tappeto per controllare se lei andasse a pulire anche là. Malizie passeggere, indubbiamente. Lei, la figlia e il genero sono a favore di un mondo bio e il risparmio energetico e cercano di inquinare il meno possibile, infatti sbattono nella pattumiera quintali di cibo nemmeno scaduto e tengono il riscaldamento acceso anche a luglio. Con lei la moglie di Ferrara saprà di appartenere a una casta inferiore a quella dei componenti della famigliola ecologica.
Oggi vai a sette metri sotto terra a ispezionare uno dei cento più suggestivi templi mitraici al mondo. Se soffri di claustrofobia lascia perdere. Non sei a Vulci o a Caracalla, o a Paestum, ma vicino a Piccadilly. La società di comunicazione Bloomberg, sobbarcati i costi di acquisto terreno, scavo, catalogazione e collocazione del materiale te lo faceva visitare gratis, al pian terreno si tengono mostre di sedicente arte contemporanea, ovvio che devi prenotare, gliInglesi detestano il disordine. L’ambientazione èmozzafiato, la suggestione ti inchioda al nostronebuloso passato, fra giochi di luci, suoni, litanie,recitativi e fumo introduce nel misterioso mondo diMitra che uccide la bestia sacra, secondo l’anticoculto persiano diffuso anche nell’impero romano.Ma allora gli Inglesi amano le loro radici romane, te dirai. Per niente! Le loro sono di altro genere,affondano in culture che ospitano anche la nostrama da cui prendono le distanze appena possono.
“La profondità degli scavi ha provveduto a lasciare resti in eccellenti condizioni, con anche materiali come il legno o la pelle, che raramente si mantengono. Questi scavi hanno portato alla luce più resti che in ogni altro sito archeologico della città, rendendo possibile un’ulteriore comprensione della fondazione della città. Sono stati trovati più di 14.000 artefatti, 63.000 pezzi d’artigianato e tonnellate di ossa animali, lasciando tracce di scambi, cibo e industrie che racchiudono storie di vita quotidiana. La profondità di questo primo insediamento (9m) ha permesso la costruzione di un percorso in discesa tra le diverse epoche romane e non solo, fino a una Britannia non ancora colonizzata dai Romani.” scrive Londraculturale.it blog.
Quasi tutto ciò che oggi sappiamo su Mitra è il risultato di un’interpretazione, non essendoci testimoni del tempo. Mitra è principalmente simboleggiato dalla sua immagine mentre uccide un toro, interpretato come un mito della creazione, una rappresentazione e una visione dell’Universo. I londoners raccontano delle origini romane di Londinium senza vanto, arrivando a farci un predicozzo, dicendo che gli spettacoli circensi dei gladiatori non erano eticamente corretti, con tutta quella violenza e il sangue versato nel Colosseo per sollazzare la plebe. Era forse etico il loro traffico di schiavi durato più di un fine settimana?” Quando Lorenzo Ferrara parlava di argomenti che gli stavano a cuore, si infervorava, dicendo che gli inglesi capivano poco la storia di altri popoli e meno che mai quella degli italiani.
Delle radici greco latine non hannonemmeno un’unghia e non ne sentono affatto la mancanza. Ulisse e la tragedia greca, insomma, non appartengono a loro, ma a noi.
Il collo della signora mostra un vasto tatuaggio multicolor. Seduti allo stesso tavolo del tiepido pasto di nostra Signora della misericordia, a Londra, scambiamo qualche parola. La signora è russa, conosce l’Italia per aver, in tempi meno ostici, esercitato l’export di calzature italiane, nelle Marche era di casa. Si fa presto in certi casi a fare conoscenza ed è sbalorditivo che in meno di cinque minuti con facilità, e dopo averle chiesto il permesso, riesca a chiederle cosa pensi dell’aggressione del suo paese all’Ucraina. La sua risposta: “Putin ha fatto la sola cosa giusta da fare”. La mia perplessità non la turba. “Per te Putin è un dittatore?” “No, è uno che ama il suo paese e si è sacrificato ed è amato dalla gente”. “Ma non ha avvelenato un po’ di gente? “No, e poi non ci sono prove, si sono montati dei casi”. “Navalny morto in carcere. Cosa ne pensi?” “L’ha voluto lui. E poi nessun media occidentale ha detto che insultava Putin ogni volta che poteva, non si fa così, non è educazione”. “Quindi Navalny non è stato “suicidato?” “No, per niente, è morto perché era malato”. “C’era molta gente al funerale”. “Erano perlopiù giovani. E poi i vostri giornali fanno vedere quello che vogliono”. “Secondo te Putin non è un criminale? Uccide bambini, vecchi, donne con le sue armi”. “E in Vietnam cosa è successo? Dispiace certo, ma è la guerra.” “Come andrà a finire?” “Speriamo che non sia costretto a usare l’atomica. In questo caso Londra sarebbe la prima a fare Puff!”.
Sulle pagine del Daily mail, 12 febbraio 2023, il famoso giornalista Peter Hitchens: “«Questa non è una semplice battaglia tra il bene e il male: più a lungo evitiamo i colloqui di pace in Ucraina, più ci avviciniamo all’Armageddon.» È il titolo del suo articolo a caratteri cubitali, che continua: “Aiutare l’Ucraina a difendersi da un attacco illegale era una questione semplice. E l’offensiva russa, condotta in modo incompetente e mal pianificata, è stata mutilata e in granparte fermata molto rapidamente. Ma fornire armi altamente offensive, carri armati, missili a lungo raggio, forse bombardieri, è diverso. Se il tuo vicino viene attaccato,lo aiuti. Ma se poi desidera attaccare a sua volta, potresti non essere così entusiasta di unirti a lui. E l’aiuto che l’Occidente sta ora dando all’Ucraina può, e probabilmente sarà, essereutilizzato per attaccare, forse in Crimea, dove ci sono molti russi che non desiderano essere governati dall’Ucraina. La Russia sotto attacco, in particolare difendendo quello che considera il suo legittimo territorio in Crimea, sarà un nemico molto diverso dalla Russia impegnata in un’invasione illegale… credo che questa guerra sia più complessa di quanto molti pensino. I trent’anni di espansione verso est della NATO sono stati un errore avventato, che ha minato i democratici e iliberali russi e ha rafforzato Putin e i suoi sostenitori nazionalisti… La George Washington University possiede documenti che dimostrano la violazione delle promesse fatte aMosca dai principali leader occidentali. Lungi dal “negare” le atrocità russe, sottolineo il fatto che (come è terribilmente normale in guerra) entrambe le parti hanno fatto cosemalvagie. L’Ucraina è, in ogni caso, uno stato corrotto, fortemente dominato da miliardari, dove i media non sono così liberi. Non è troppo diverso dalla Russia… Più combattimenti ci saranno, più sangue, urla e tragedie ci saranno… Più a lungo attendiamo, maggiore è il rischio di guerre devastanti e totali e più difficile sarà l’accordo. È tempo di parlare.” E invece son passati più di due anni.
Un’altra voce fuori dal coro, il libro di Orlando Figes, La Storia della Russia.“La Russia voleva essere trattata con considerazione. Così non è stato. Sai benissimo come sta andando in Ucraina, iltamarro russo non molla l’osso. Certi miei “sospetti” trovano conferma leggendo la recensione di Karl Schlögel del 1 ottobre 2022 sul Financial Times del libro di Orlando Figes, The Story of Russia: «(…) Isolata dall’Occidente, la Russia sarà costretta a ruotare verso est, una svolta accelerata dalla guerra e accolta con favore da alcuni ideologi del Cremlino, che credono che il futuro della Russia risieda in un blocco eurasiatico, contrario ai valori liberali occidentali e al potere globale degli Stati Uniti, con la Cina come principale alleato.» A suo avviso, il crescente isolamento è principalmente il risultato della mancanza di comprensione e buona volontà in Occidente: «La Russia voleva far parte dell’Europa, essere trattata con rispetto – scrive Figes –, invece, è stata respinta dai leader occidentali che hanno approfittato della sua debolezza per sminuirla. Si perse un’opportunità per porre fine a un ciclo storicodi incomprensioni e antagonismo, creando le basi sucui Putin ha costruito la sua ideologia antioccidentale.La storia della Russia è fatta anche da sforzi secolari per mettersi al passo con l’occidente, spessosfociati in frustrazioni, sentimenti anti-occidentalie complessi di inferiorità…» E se Figes avesse ragione?
E da ultimo, ma non certo per minore importanza di contenuto, il volume di Sacha Cepparulo, prefatto da Gianfranco de Turris La Russia allo specchio, Idrovolante edizioni. Non si sorprendano autore e lettori se per descrivere la sua fatica uso termini “medici” come endoscopia, gastroscopia, colonscopia, essi infatti si attagliano perfettamente al tipo di indagine che egli effettua nel suo saggio. Non la Russia vista dall’esterno, ma dall’interno -anche perché l’autore ci vive da anni- partendo dal suo cervello, dai suoi organi tutti e dalle sue viscere e infine della sua complessa spiritualità che talvolta riecheggia un fatalismo di origine asiatica. La Russia che molti conoscono solo per le altissime vette raggiunte dai suoi scrittori-filosofi e poeti e per le vicende dell’ultimo secolo, qui, nelle duecento pagine del saggio, presenta il suo vero volto o meglio le sue cento facce, spesso tra loro conflittuali e sorprendentemente complesse. Fa bene l’autore a non sposare alcuna tesi, giudizio o teorema precostituiti. La sua scelta non facile di reggersi in equilibrio è apprezzabile. C’eravamo illusi che dopo la caduta dell’impero rosso tutto fosse cambiato, che ci fosse stata una presa di coscienza nazionale, simile a quella tedesca sotto un diverso versante. Così non è stato. E non poteva essere diversamente, infatti il volume illustra una complessità che non sospettavamo e una contraddittorietà di tesi che stupisce.
Oggi dalle parti di Albione, suo acerrimo rivale storico, il suo attuale czar, viene definito dai media: Macho man, mariuolo col mitra, nano con la sindrome dell’altezza. E delinquente. Condannabile a giudizio della corte di giustizia occidentale, sempre se riesci ad acciuffare il marrano. Ma non tutto il mondo la pensa così. I media inglesi vanno giù duro a scimmiottare il lestofante russo, ultimo nemico del loro ex Impero, pubblicando le sue immagini con scarpe di tre centimetri più alte per aumentare la statura, rimarcando il suo complesso di inferiorità. Dai numerosi brani del saggio che avrei voluto riportare evidenzio alcuni “passaggi” illuminanti, Pag. 43: passi tratti dall’articolo “L’URSS non è la Russia” (1947):
(…) Cosa teneva unita la Russia? Essa si fondava sull’istinto di autoconservazione nazionale e assumeva le forme dell’autocoscienza russa, del nazionalismo e del patriottismo. Essa si fondava sulla fede ortodossa in Dio e in Cristo, Figlio di Dio: una fede che predicava l’amore, l’umiltà, la pazienza e il sacrificio, rafforzando nei cuori un sano senso della gerarchia e la disponibilità a obbedire a un potere giusto e devoto legato al popolo da un’unica fede e da un giuramento. La fedeltà nazionale russa si basava sull’amore per i sovrani e sulla fiducia nella loro buona e giusta volontà. Essa si fondava sulla coscienza personale, rafforzata dal cristianesimo e purificata dal pentimento. Essa si fondava su un sano senso dell’onore nazionale, di classe e personale. Sul fondamento famigliare, con le sue radici spirituali e istintuali. Sulla proprietà privata, tramandata “di generazione in generazione”, e sulla libera iniziativa economica legata al desiderio di dare con il lavoro onesto una vita migliore ai propri discendenti. Di tutto ciò, cosa ha riconosciuto e rispettato la rivoluzione? N-u-l-l-a. Per 24 anni i comunisti hanno imposto l’internazionalismo e cercato di estinguere nel popolo russo il sentimento nazionale e il patriottismo, accorgendosene solo nel 1941, quando era ormai tardi e videro che i soldati russi non volevano combattere per l’internazionale sovietica. (…) Sostituirono l’amore con l’odio di classe, e poi con l’odio universale. Rimpiazzarono l’umiltà con l’arroganza e la superbia rivoluzionaria. Calpestarono il prezioso senso della gerarchia, ridicolizzando i migliori e promuovendo i peggiori: ignoranti, feroci, opportunisti, corrotti, ciarlatori, adulatori privi di coscienza e di capacità di giudizio autonomo. Sostituirono il potere giusto e devoto con una tirannia atea, facendo di tutto per convincere il popolo che il nuovo governo non ha né buona volontà né giustizia. Per 30 anni hanno calpestato il senso della dignità e dell’onore personale con il terrore, la fame, le delazioni e le esecuzioni. Fecero tutto il possibile per corrompere la famiglia, indebolirne le radici e aumentare il numero di bambini abbandonati, che successivamente venivano arruolati come agenti del regime. Abolirono la proprietà privata e soffocarono l’iniziativa economica…”
Un altro significativo stralcio, pag. 52: “Gli studi di tutti gli autori e gli studiosi citati rilevano il carattere violento della forma mentis sovietica. Il significato di tale aggettivo non deve essere inteso in senso politico-umanitario (vale a dire a fenomeni quali il terrore rosso, le repressioni, le migrazioni forzate, il controllo sull’individuo), ma ontologico. La violenza sull’essere in quanto tale si basa, come già mostrato, sulla fede semplicistica nell’onnipotenza dell’Uomo che si accontentadella convinzione della giustizia dei propositi formulati e dell’analisi razionale del rapporto tra modalità d’attuazione e risorse disponibili.L’assolutizzazione dell’agire e il tentativo di sostituirsi a Dio in nome di “nobili” ideali implicano la legittimità di ogni sconvolgimento: l’essere, persa la “rigidità” che seguiva dal suo fondamento trascendente, diventa flessibile, modellabile, plasmabile. Ogni ambito può e deve essere “riformato”; per questo motivo l’azione rivoluzionaria sovietica non ha risparmiato nessun aspetto della vita individuale, sociale, culturale e politica (…) Nel contesto italiano, una voce autorevole e, da questo punto di vista, eterodossa è quella del diplomatico, storico e giornalista Sergio Romano, il quale parla di “suicidio dell’URSS”.
Pag 75: “ In linea di massima gli eurasiatisti russi sostengono che la Russia sia uno Stato-Civiltà (Gosudarstvo-Civilizacija) eurasiatico. Questo aggettivo esprime la specificità geografica, geopolitica, storica, culturale, religiosa, linguistica ed etnica della Russia che di conseguenza viene distinta sia dai paesi “occidentali” sia da quelli “orientali”. Spesso tale “unicità” è intesa come combinazione originale di elementi sia occidentali sia orientali. Aleksandr Gel’evič Dugin è un filosofo tradizionalista e sociologo russo. Egli è principalmente noto per aver tradotto in lingua russa autori come Julius Evola e René Guénon e aver elaborato la “quarta teoria politica”.
Pag 95: “(…) Nonostante in un post sia addirittura precisato che la vittoria di Trump non comporta direttamente il trionfo russo nella guerra ucraina (dato che egli rimane comunque il presidente di un’altra nazione con interessi assai differenti, se non opposti), la sua elezione segna sicuramente la fine della “globalizzazione monopolare” e di tutti i liberali e i globalisti. A dimostrazione di queste tesi sono addotti i seguenti argomenti: Trump è un “nazionalista americano”, e non un “atlantista”, e un “tradizionalista”.
La Russia è un universo a sé stante, chiuso per secoli, e non desideroso di contaminazioni esterne, tuttavia curioso delle culture dei “vicini” Oriente Occidente. L’enciclopedico e tuttavia scorrevole lavoro di Cepparulo traccia una mappa politico sociale e psico-morale comportamentale di rara intensità. La Russia non è dunque come appariva e allora com’è? Le duecento pagine dell’itinerario all’interno del suo “organismo” ce lo spiegano. La complessità dei suoi dettati è sbalorditiva. C’è poi un aggettivo fra i tanti possibili che si adatta perfettamente a descrivere la funzione del saggio di Cepparulo: indispensabile. Per comprendere attraverso indagini scrupolose e a largo spettro moltissimi risvolti e aspetti, sovente poco noti della Rossijskaja Federacija. divenuta (ma non all’improvviso) e, lasciami dire, anche per nostra insipienza, assai problematica. La Russia è ora nemica dichiarata e convinta dell’Occidente e non si sa se in via definitiva. Avremmo potuto evitarlo? Forse sì, a leggere quello che hanno scritto Orlando Figes e, su un altro versante, ma fra le righe, Sacha Cepparulo.
Nella foto di destra: Aleksandr Gelyevich Dugin is a Russian far-right political philosopher
Dovrei abituarmi al modo di fare di Faika, la mia vicina musulmana che abita nella casa d’angolo. imprevedibile, onesta, sincera e generosa. Faika ci ha adottato, musulmana londinese di famiglia indo packistana proveniente dal Kenia, ci ha preso a ben volere, e ogni volta che puo’ ci rifila pane e budini e altro cibo; le mando messaggi del tipo: Faika you are the BEST, you are the number one! God bless you (any God!).E poi le invio una sfilza di faccine sorridenti.
“Are you ok?” mi chiede alle dieci e mezzo in una gelida nottata di febbraio. Cos’è che vuole la buon’anima di Faika a quest’ora? “Sorry” dice “but can you help me?!” Bloccata per strada perche’ la ruota del suo trolley è uscita dalla sua sede. Sta trasportando dallo store Iceland nove confezioni da un litro e mezzo di latte e cosi è bloccata. Si capisce: troppo peso. Vuoi non aiutarla? “I come” le dico e dopo un po’ la vedo per strada che sta attaccata al cellulare e mi fa cenno di raggiungerla per aggiustare la ruota. Un colpo ben assestato e va a posto, non è stato difficile. Faika è iscritta ai Socialist workers, mi invita a tutte le manifestazioni che sciamano per Londra a favore dello stop bombing su Gaza. Ma tanto Bibi mica ti ascolta, anzi gongola perché il nuovo inquilino della Casa Bianca vuole fare di Gaza una riviera e non sa dove sbattere i Palestinesi, cosi chiede in giro a tutti se ne vogliono un po’. Il mondo va così, di traverso. Bibi non demorde, e continua la sua pulizia etnica nonostante il mondo gli dica di smetterla. E Faika continua a essere la generosa vicina di casa e a fare il suo lavoro di socialist worker. Ma non possiamo vederci per fare due chiacchiere? le chiedo. “Too busy!” risponde. Questa sera ci sono formaggio e squisiti budini con la frutta. Basta andare a casa sua a prendere il sacchetto col cibo, davanti alla porta.
“La bestia sbuffa e mugghia mentre il ragazzo col cappello frigio la sgozza con la sua lama. Accadeancora oggi nel sottosuolo della frenetica metropoli necropoli londinese. Il dio Mitra taglia la gola al toro astralementre uno scorpione cerca di pungere i testicoli della bestia sacra. Non sto farneticando. Succede inun mitreo da poco restaurato a Walbrook street. Al cui riguardo noi Italiani dovremmo imparare inquanto a recupero e cura di reperti del mondoandato, ma soprattutto al modo in cui far fruttarequei capolavori di enorme valore storico culturale.” Lorenzo Ferrara c’era già stato e descriveva la suggestione e l’unicità del luogo, davvero unico e ricco di suggestione, incrementato dal sapiente allestimento. “I londoners avevano scoperto il sito già nel 1954.Ci han messo un po’ per capire cosa farne. Ma ne e valsa la pena. Un vasoqua, una moneta là, e poi un anello e una fibbiaseminterrati, e anche una testa strepitosa dallacapigliatura a boccoli e molto altro.
Ma quanto altro? Quindicimila reperti catalogati, rimossi e messi in bell’ordine e poi ricollocati, fra questi monili, calzature, monete, vasi. Un vero tesoro, che non sfigura affatto con quelli ritrovati a getto continuo in Italia.
“Scrive Cassio Dione Cocceiano, Storia romana,62, 2: «Era una donna molto alta e dall’aspetto terrificante. Aveva gli occhi feroci e la voce aspra. Lechiome fulve le ricadevano in gran massa sui fianchi. Indossava invariabilmente una collana d’oro euna tunica variopinta. Il tutto era ricoperto da unospesso mantello fermato da una spilla. Mentreparlava, teneva stretta una lancia che contribuiva asuscitare terrore in chiunque la guardasse.»I Britanni non ci volevano a casa loro, occorredire come sono andate le cose, altrimenti non possiamo condannare nessuna invasione. Ma la protagonista della più sanguinosa rivolta contro gli invasori Romani pagò a caro prezzo le prime illusorievittorie. Gaio Svetonio Paolino nelle West Midland,sbaraglia infatti l’esausto esercito britannico, costretto a risalire un’altura per dare battaglia, convinto di poter sconfiggere le legioni romane e amen.I morti fra Romani e Iceni fecero rossa la terra dellaBritannia. Ai Brits non abbiamo lasciato come eredità“solo” l’onta della regina umiliata ma anche l’acquaputrida di Bath, con vasca e terme che la contengono, e anche il vallo di Adriano, argine contro i ringhiosi Scozzesi, oltre a mura ancora visibili e quelle smantellate qua e là, impiegate come materiali da costruzione, è successo anche a casa nostra, vano protestare.”
Ogni volta che i britannici trovano qualcosa nel sottosuolo, come monete, monili, esultano. Ma il loro è un atteggiamento ambivalente. Quasi come dicessero: “anche noi abbiamo il nostro passato”. Lascia stare che da noi si trovano staue di marmo e di bronzo intere mozzafiato e da loro “solo” monete, elmi e minutaglia archeologica. Ma è come se quei reperti non gli appartenessero, come se fossero di altri, che passavano da quelle parti. Difficile da spiegare, se non riandando alle loro vere radici che non sono romane ma celtiche; scrive nostra madama Wikipedia: “Le loro origini risalgono alla fusione di gruppi di popolazioni germaniche, migrate a partire dall’Alto Medioevo in Britannia: gli Anglosassoni (Angli, Juti e consistenti popolazioni di Sassoni) dalla Bassa Sassonia, dalla Frisia e dalla penisola jutlandica, e Norreni dalla Danimarca. Per finire l’argomento gli inglesi non vogliono sentirsi nemmeno un po’ romani, forse perché romanità fa rima con italianità? censurando ad esempio in toto la tradizione romana dei gladiatori al Colosseo, che hanno messo all’indice per troppa crudeltà, tutto qui.
“Boudicca regina degli Iceni. I Brits ne hanno fatto un simbolo. Anche se li avesse da terra non li vedresti,” scrive Lorenzo Ferrara, “i baffi dico; la statua bronzea di Thomas Thornycroft eretta sul Tamigi, a due passi da Westminster, non può raffigurare in modo veritiero la regina celtica della tribù degli Iceni, magari con una folta peluria sul labbro. La statua interpreta vendetta e orgoglio nazionale. Per forza deve essere fascinosa. La sovrana svetta sul suo carro trainato da snelli destrieri, avvolta in una tunica che mette in luce la sua improbabile avvenenza. Il terribile carro a lamefalcianti è diretto verso la gloria eterna della suaterra e arriva fino a noi. Vendicatrice e con le tettea punta, la sua figura, in compagnia delle due figlieviolentate in pubblico duemila anni fa, colpisce.”
Ferrara mi aveva sconsigliato il film che la ritraevano, bella e intrepida affrontare i soldati romani.Boudica Queen of War, è un film drammatico d’azione britannico del 2023 diretto e scritto da Jesse V. Johnson. Il film segue l’omonima guerriera celtica del popolo Iceni, nella Britannia romana e come si ribellò contro i romani dopo la morte di suo marito, Prasutagus. Le critiche generalmente sono negative. “Colpite! uccidete! colpite!” questo deve aver gridato la gran regina celtica mentre arringava la torma inferocita dei suoi scalmanati guerrieri. Difendeva la sua terra e la liberta’ del suo popolo, contro lo strapotere dei Romani invasori, invano.
“Com’era nel primo Ottocento la metropoli che ha fagocitato il mondo?!” Dovresti scorrere le pagine di un libriccino introvabile per saperlo: “Viaggio a Londra di anonimo.” pubblicato da Il Polifilo. Annotava Lorenzo Ferrara.“Alzi la mano chi non conosce l’“officina delmondo”. Scrive. “E chi non è stato colpito dalla mescolanza di razze, tradizioni, stili e costumi provenienti da ogni dove. Vivendoci da tanti anni Londinium non finisce di stupire. Secondario l’abbigliamento bizzarro, esibizionista o provocante, dark o heavy metal, c’è chi si acconcia come per impersonare Mohicani, Marziani, pagliacci o il Nulla.”
Per amore o per convenienza: “Da Londra è partita una colonizzazione “culturale” globale senza precedenti. La sua cifra identificativa nel mondo: l’accoglienza e la promozione delle diversità, che assomigliano piuttosto a un diktat auto imposto, ovvero va bene qualsiasi stile di vita, per necessità, convenienza o manifesto opportunismo, perché gli affari lo impongono. Londra è la vera Babele dei tempi moderni.” Era il 1834, e c’è da crederlo.
Svanito nel nulla. Non una traccia. Lo conoscevo quel tanto che basta per rimpiangere la sua compagnia. Lorenzo Ferrara da mesi si è come dissolto. Conservo diversi suoi scritti che mi affidava chiedendo di dargli un parere, fra una esternazione e l’altra, ai quali, tuttavia, non badava troppo. Diversi inediti, altri brani pubblicati. Li rileggo nella speranza di trovarvi il bandolo della sua sparizione-enigma e di rivederlo presto, ma temo sia vano auspicio. Qui la prima delle sue annotazioni sui libri gia’ pubblicati e altri in via di pubblicazione trasformate in post.
Lorenzo Ferrara mi parlava spesso del suo decennale soggiorno in Gran Bretagna che lui, come molti, chiamava Perfida Albione. “Sprovvisto della maestria poetica di Ugo Foscolo, al quale i Brits tutto perdonavano, dovrei tacere.” scriveva. “Riconoscente per la presunta ospitalità goduta tempo addietro in terra inglese. E invece…Tra invasioni e cacciate di intrusi la vera storiadei Brits comincia con Hastings e prosegue con leimprese del femminicida Enrico VIII, il quale dovette pensare: Tutti questi matrimoni e divorzi micostano un patrimonio, a me servono denaro e unerede, se divento io la Chiesa mi becco un sacco diquattrini divertendomi anche con un po’ di femmine.Gli Inglesi sono meritevoli per come trattano lastoria loro e altrui, basta visitare il British Museum, custode insuperato di reperti di popoli stanziati ovunque nel mondo, (anche se il suo direttore ha dovuto dare le dimissioni per certi trafugamenti imperdonabili). Se vuoi ammirare la succursale di Atene vai al piano terra, ci sono, per adesso, i marmi strappati da lord Elgin al Partenone e che nemmeno Melina Mercouri è riuscita a farsi restituire con l’aiuto del Boris Johnson formato studente. Se un popolo non ha “quella Storia”oppure è troppo recente, come la loro, la prende inprestito da altri.” Questo l’esordio delle sue memorie-esperienza raccolte in un volume. Indicazioni, ironia, indagini e confronti in presa diretta in casa degli ex padroni del mondo. Aveva intenzione di dare alle stampe un secondo volume. Dovrei frugare fra appunti e inediti che mi ha affidato per trovarlo.
Per comprendere cosa c’è alla base dell’Italia post bellica e cos’è accaduto all’italica stirpe in questi ultimi 80 anni ci vorrebbe un trattato di Fisica Quantistica, e di Psicopatologia sociale, forse non basterebbero, ma stando coi piedi per terra, e desideroso di saperne di più, riporto un capitolo tratto da Albione la perfida, Solfanelli edizioni, che ospita in prima battuta l’analisi schietta e limpida di Sergio Romano, ex ambasciatore, scrittore, giornalista, analista politico, con un palmares di onorificenze da urlo).
“Questioni in sospeso Spinosa e irrisolta, la questione del come abbiamo digerito o rimosso la sconfitta della seconda guerra mondiale rimane sottopelle. L’argomento parrebbe obsoleto ma non è così. Ce lo dice lo stesso dopoguerra e ce lo ricordano gli Inglesi. I nostri ultimi ottanta anni riguardano anche loro, essi si interrogano su questioni nostrane senza capirci molto. Sergio Romano su Finis Italiae, All’insegna del pesce d’oro, mette a nudo alcune “peculiarità” italiche scrivendo: “(…) In Italia dopo la seconda guerra mondiale, non vi sono stati né desiderio di rivalsa né processi alla nazione. Dopo la caduta del fascismo e l’armistizio la grande maggioranza del paese si è ritirata nell’attendismo e si è limitata a guardare dalla finestra il resto del dramma misurando diplomaticamente e prudentemente il proprio consenso alle forze in campo. Dopo la sconfitta della Germania e del suo satellite fascista ha stretto un patto tacito con l’antifascismo trionfante…I politici antifascisti potevano proclamare diessere stati ingiustamente e violentemente espropriati del potere, gli italiani potevano sostenere d’essere stati oppressi e asserviti da una dittatura aliena. Era una menzogna, naturalmente, ma presentava molti vantaggi, fra cui quello di permettere all’Italia di finire nel campo dei vincitori.” (in linea teorica perché poi non è stato così, come qui vedremo). “Se il fascismo era davvero, come essi avevano sostenuto per meglio vincere la guerra, una sorta di incarnazione satanica… nessuna potenza vincitrice era tenuta a interrogarsi sulle cause della seconda guerra mondiale e sulle proprie responsabilità dopo la fine della prima. Promuovendo il fascismo al rango di “male assoluto” gli alleati permisero agli italiani di sbarazzarsi del loro passato con una menzogna e di mettere la guerra sulle spalle di un uomo, Mussolini. Se gli italiani non avevano perduta la guerra non era necessario intentare un processo alla nazione per individuare gli errori materiali e morali che avevano portato il paese alla disfatta. In realtà tutti sapevano che le cose erano andate diversamente, che il consenso aveva accompagnato Mussolini sino alla fine degli anni Trenta e che si era gradualmente dissolto soltanto dopo i bombardamenti e le prime sconfitte. Una menzogna – “non abbiamo perso la guerra” divenne così l’ideologia fondante della Repubblica democratica”. Amen.
Se lasci “fermentare” le cocenti parole di Sergio Romano ti accorgi che ci sarebbe moltissimo da commentare e analizzare, ma occorrerebbe spogliarsi di ogni faziosità o appartenenza. Temo al proposito che sarebbe più facile eliminare concrezioni calcaree centenarie che manco il Viakal riuscirebbe a rimuovere. Venendo agli Albionici, essi versano sale sulle nostre ferite. Tony Barber, European comment editor su Financial Times del 27 ottobre 2022: (…) l’Italia si è scagionata dai crimini commessi sotto il Duce. Descrivere Giorgia Meloni… e Fratelli d’Italia come diretti discendenti di Mussolini e dei fascisti è fuorviante. Hanno conquistato il potere in elezioni libere e competitive; non uccidono né usano la violenza di massa contro i loro oppositori; non intendono creare una dittatura a partito unico; e non hanno intenzione di invadere paesi stranieri e costruire un impero italiano nel Mediterraneo e nell’Africa orientale. I libri, Mussolini in Myth and Memory di Paul Corner e Blood and Power di John Foot, raccontano perché l’estrema destra sta cavalcando l’onda oggi. Una spiegazione: sebbene Mussolini non sia stato ufficialmente riabilitato, molti italiani guardano al suo governo con tolleranza e ammirazione. Tendenza non limitata ai politici di destra, perché? Corner, professore emerito all’Università di Siena e autore di libri sul fascismo si chiede: “Come mai un uomo giustiziato da italiani, il cui corpo è stato appeso al cavalletto di una pompa di benzina per pubblica esecrazione, è diventato una figura a cui si guarda con un certo riguardo, persino nostalgia?” Corner sostiene che, nella memoria collettiva italiana, alcuni aspetti apparentemente benigni del fascismo sono stati “salvati” e altri – come la violenza di stato, la repressione delle libertà, la polizia segreta, le atrocità coloniali e la costante marcia verso la guerra – opportunamente dimenticati, vile la complicità dell’establishment politico e della monarchia. Di qui l’esonero di colpa o responsabilità.
Vittime, non carnefici, dunque. Corner considera la polemica sorta per l’affermazione dello storico Renzo De Felice secondo cui il fascismo aveva beneficiato del “consenso di Massa” almeno dal 1929 al 1934. Per gli italiani moderni, questo non ha indotto “costernazione e ricerca interiore sul modello tedesco ma una sorta di autoassoluzione nazionale”. Come mai? Perché gli italiani si considerano brava gente – buoni e rispettabili. Incapaci di sostenere un regime malvagio, e quindi la dittatura di Mussolini non avrebbe potuto essere così grave. Come Corner, Foot, professore di storia italiana moderna all’Università di Bristol, sottolinea che la violenza è stata il tema dell’ascesa della dittatura fascista. “essa è stata costruita su un cumulo di cadaveri, teste spaccate, vittime traumatizzate della violenza, libri bruciati, cooperative e sedi sindacali distrutte”. Il problema, descritto da Corner e Foot, è che molti italiani hanno un’immagine gravemente distorta della storia del loro paese nel XX Secolo, è difficile trovare paesi che abbiano una corretta comprensione del loro passato, delle loro “verruche” (cosi la traduzione) e di tutto il resto. La piena conoscenza di sé è dolorosa e forse impossibile da raggiungere. Ma c’è un prezzo da pagare per questo in termini di qualità della democrazia e della vita pubblica”. Ecco ciò che pensano i Brits di noi.
Agli amici inglesi dico: se democrazia fa rima con trasparenza, e se noi dobbiamo pagare un prezzo per migliorare la qualità della democrazia cosa aspettano a farlo anche loro? Di scheletri nel loro armadio ne hanno diversi. Quando i Brits prenderanno atto dei loro crimini distribuiti equamente nel mondo? Sai quante verruche abbiamo da curare tra noi e loro?! Ma ora conviene smorzare i toni. Dov’eravamo rimasti?
Nel cataclisma succeduto alla fine della seconda guerra mondiale si annidano i semi di una pianta velenosa e antica: l’inconciliabilità di fatti, opinioni, uomini e inclinazioni, tipiche del nostro modo di essere, fenomeno prettamente italico; è questo il periodo che Gianfranco de Turris indaga nella sua ultima fatica, recensita da Giovanni Sessa su Barbadillo: Dialoghi sgradevoli , Idrovolante edizioni. I lemmi correlati al termine sgradevole, nel titolo, secondo l’Enciclopedia Treccani riportano: spiacevole, disgustoso, nauseabondo, nauseante, repellente, ributtante, ripugnante, rivoltante, schifoso, stomachevole, vomitevole. Mi fermo qui. Per chi ha avuto amici o parenti torturati o accoppati dalla polizia segreta fascista o dal terrorista rosso di Prima Linea i sinonimi valgono un niente. Sono state vendette, delitto e crimine e il crimine non ha sinonimi se non quello di tragedia incancellabile a futura memoria. In tutte le vicende succedute dal 1945 in poi non emerge alcuna volontà di ricordare per capire e per non ripetere la tragedia nazionale, non c’è stato, come dice Sergio Romano, alcun ravvedimento, alcuna necessità o volontà di dialogo o confronto chiarificatore, si è preferito emulare gli struzzi. il Male assoluto, cioè il Fascismo, aveva scelto noi, non il contrario, come alibi traballa non poco. Tutti assolti dunque, ma così si sconfessa la storia.
Come fai a rinnegare le immagini d’epoca di piazze strabocchevoli inneggianti al Duce? I fotomontaggi sono venuti dopo. Il libro di de Turris, appena uscito, parla di questi conflitti irrisolti, rovistando in armadi che custodiscono nomi, fatti, sconvenienze, interessi e voltafaccia. Dialoghi sgradevoli è assimilabile a una serrata partita di tennis condotta in forma di dialogo tra Simplicio e il ben informato e polemico Filarete, un volo d’uccello radente che rispolvera antichi e nuovi dilemmi politici, dissidi, faziosità incendiarie e contrasti irrisolti fino alle tragedie ricorrenti.
Consentimi una digressione personale. Avevo un amico, spirito bizzarro, provocatorio ma verace e sincero. Non nascondeva affatto le sue frequentazioni in ambiente nobiliare e monarchico e contestava, sarcastico, i compagni di classe, contestatori del ‘68. Viveva in una casa in collina nel torinese, in cui infissa al muro c’era una lapide, alla memoria di una partigiana, Eleonora Gazzignato che lui spolverava. Dall’animo socialista era convinto che capitalisti e imprenditori britannici dell ‘800-’900, se non avessero imposto turni inumani a giovani e donne, che per questo si ammalavano gravemente, Marx non avrebbe avuto quel successo che ha avuto. Il mio amico incarnava, senza saperlo, l’inconciliabilità dei fenomeni della storia, infatti teneva sul comodino Rivolta contro il mondo moderno di Julius. Evola, che consultava assiduamente e alcuni brani sottolineati di Gabriele D’annunzio, uno dei quali recitava: “Liberiamoci dell’Occidente che non ci ama e non ci vuole. Separiamoci dall’Occidente degenerato, divenuto una immensa banca giudea in servizio della spietata plutocrazia transatlantica”. Ma non divaghiamo. L’autore non risparmia nessuno e l’ultimo libro è una carrellata impietosa sul chi come dove e perché del dopoguerra, che pare non finisca mai. La sua narrazione non fa sconti e mette in luce anche il ruolo non secondario di una stampa a dir poco faziosa che si sente investita di Verità assoluta.
Alcuni stralci aiutano a capire il contenuto del volume: Pag 107: “Filarete – Della guerra… Perduta, e non certo vinta come da decenni ci si vorrebbe far credere. Nonostante il cambiamento di campo dell’8 settembre – una resa incondizionata e non un vero armistizio – nonostante il Regno del Sud alleato degli angloamericani, nonostante il sacrificio di sangue dei militari del Sud aggregati alle armate alleate, non ci venne fatto alcuno sconto: sconfitti eravamo e sconfitti siamo rimasti, il Trattato di Pace di Parigi ci ha considerato tali privandoci delle colonie, di ampi lembi di territorio nazionale, condannandoci alle riparazioni di guerra, alla perdita della flotta. Ti sembra che siamo stati trattati da alleati-vincitori?”
Pag 122: “Filarete – Dunque, il 4 settembre 1993, in vista dei 50 anni del cosiddetto “armistizio” il generale Luigi Poli, presidente dell’Associazione nazionale combattenti della guerra di liberazione, e Giulio Cesco Baghino, presidente dell’Unione combattenti della RSI, inviarono un messaggio al capo dello Stato, il cattolicissimo Oscar Luigi Scalfaro, chiedendo di essere ricevuti “per simbolicamente dare il via alla pacificazione e parificazione fra tutti gli italiani che in quei tragici giorni impugnarono le armi per la Patria, a prescindere dalla parte in cui si schierarono”. Non se ne fece nulla di pubblico per gli strilli degli antifascisti in s.p.e. Ma i militari con le stellette e con il gladio, come li definì Poli, un atto di riconciliazione lo fecero lo stesso. Qualche coraggioso disse: “Un’Italia pacificata e parificata per la ricostruzione: a 50 anni dalla guerra civile, cessino le discriminazioni fra italiani, si ricrei la concordia nazionale, si mettano al bando i fomentatori di odio tra i figli di una stessa patria. La data dell’8 settembre può rappresentare l’occasione del riscatto della nazione se il presidente della Repubblica saprà dar seguito all’appello rivoltogli dal generale Poli e dall’on. Baghino a nome dei caduti e dei combattenti di 50 anni fa dell’una o dell’altra parte”. Simplicio – Nobili e alate parole, ma senza seguito. Chi le pronunciò? Filarete – Effettivamente senza seguito… È una dichiarazione all’Ansa di Gianfranco Fini, segretario del MSI.”
Se delitti e infamie politiche dell’Italia del Duecento e Trecento. così ben tratteggiate da Dante Alighieri, fra Guelfi e Ghibellini, fra bianchi e neri, fra papato e impero, e tra lega e impero, si fossero trasferiti paro paro, radicandosi nei nostri giorni, per scandire nuovi tragici contrasti, nuove contrapposizioni? Ovvero impedendoci di realizzare la parte migliore di noi, vietando di stimare e promuovere la nostra unicità, il valore e le virtù italiche? Se insomma quegli antichi dissidi si fossero trasformati in una cifra ontologica, in connotato ineliminabile, perdurante, descrivendo un’inclinazione tutta e solo italiana alla rissa, all’isteria, al sopruso, alla vendetta, all’incapacità di farsi vera nazione. -Sei di destra?- -NO,- -sei di sinistra?- -NO…sono “solo” italiano.- Scritti come quelli di Sergio Romano e di Gianfranco de Turris e, in fin dei conti anche quelli degli studiosi inglesi, sono sale sulle piaghe ma anche stimolo per tentare una vera, definitiva riconciliazione patria e cercare una via d’uscita. Spetta alla nostra generazione farlo, prima che il velo d’ignavia e indifferenza scenda, irreparabile, ad annebbiare ancora di più quegli eventi.