La libertà d’opinione a rischio (seconda parte)

Il secondo caso vede il generale Vannacci e il ministro della difesa Crosetto, alias Big Guido, per via della mole, a confronto. notizievirgilio.it, Mirko Vitali, 13 novembre 2024: “Roberto Vannacci sospeso dall’Esercito per 11 mesi con lo stipendio dimezzato. Misura attivata dopo l’istruttoria avviata su sollecitazione di Big Guido.
La patria di Crosetto è la Provincia Granda, conosciuta per i deliziosi dessert al cioccolato, i Cuneesi al rum, la bagna cauda, i giudizi al vetriolo di Palmiro Togliatti sui Cuneesi (non al rum) e Big Guido, nato a Cuneo. Ma non divaghiamo.
Al centro della vicenda l’arci noto volume del generale, espressione di un sentire diffuso, condivisibile o meno. Nemmeno col microscopio sono riuscito a ravvisare un’offesa nel volume. E se gli Inglesi sollevano giustamente un putiferio sull’indagine della loro polizia, noi che si fa? Puniamo il generale per aver espresso le sue idee, che mai sfiorano ingiurie od oltraggio.

Dove sta l’offesa? Perché l’autore porta la divisa? Perché è entrato in politica? Se avesse scritto “Pinocchio” sarebbe stato punito ugualmente? Certo che no. Quindi si tratta di contenuti all’indice. Il che rende la cosa grave, perché si negherebbe la libertà di espressione. Un cittadino militare che pubblica le sue opinioni. In Italia qualcuno si è accorto del sopruso inammissibile? I due episodi inducono a supporre l’esistenza di un fenomeno invasivo. Qualcosa che nel caso inglese produce una “ispezione cognitiva” e in quello italiano una pre condanna soggettiva. Parto di un fenomeno censorio, capace di ridurre l’individuo a entità controllabile. Il peggio se paragonato alle censure di regime. Come scrive Luigi Ippolito su Il Corriere della Sera: “è soprattutto la libertà di parola che è in gioco, quando l’unico suo limite dovrebbe essere la chiara violazione del codice penale”. Vorrei che il ministro rileggesse il libro incriminato, si è sempre in tempo ad ammettere di aver preso un granchio.

Bussano alla porta, devono essere le forze dell’ordine, venute a indagare. Voglio vedere se l’amico romano sarà di parola portandomi le arance in carcere.

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La libertà d’opinione a rischio (prima parte)

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Fra gli appunti di Lorenzo Ferrara per il secondo libro su Albione, ce ne sono anche alcuni che sono stati pubblicati da Barbadillo.it in anteprima.
Un amico romano mi segnala una notizia su una giornalista indagata.  10 Dicembre 2024. Una nota editorialista del Daily Telegraph si è vista comunicare a casa dalla polizia, di essere indagata per un tweet: ma, un po’ come per Joseph K. nel «Processo» di Kafka.
E se capitasse a me? Se Scotland Yard mi chiedesse conto dei miei libri e articoli, non proprio lusinghieri sui Brits? L’amico romano dice che mi spedirà le arance in cella, in caso di reclusione. Confortante! Bando ai lazzi, parliamo di due fatti, con un comune denominatore: la libertà di opinione a rischio.
Corriere della Sera, Luigi Ippolito, 16 novembre 2024: “La schedatura «per le parole» scuote Londra”. Nel testo: “Sono gli «incidenti d’odio non criminali», casi in cui, pur senza che si configuri un reato, si finisce schedati dalla polizia per aver detto o scritto cose ritenute offensive. In un anno sono stati registrati in Gran Bretagna 13.200 casi. Domenica scorsa, di prima mattina” prosegue l’articolo, “una nota editorialista del Daily Telegraph si è vista comunicare a casa dalla polizia, di essere indagata per un tweet: ma, un po’ come per Joseph K. nel «Processo» di Kafka, non le è stato detto di quale tweet si trattasse né chi avesse sporto denuncia. La giornalista non ha mai fatto mistero delle sue vedute di destra dura, dall’immigrazione al gender, ma grande è
stato il suo choc quando si è ritrovata nel mirino delle forze dell’ordine.
Il caso ha scatenato feroci polemiche, con i conservatori, da Boris Johnson a Kemi Badenoch, che gridano indignati alla «psicopolizia» di stampo orwelliano e all’attentato alla libertà di espressione. Fra gli schedati una bambina di 9 anni che ha dato della «ritardata» a una compagna di scuola e un sacerdote che ha detto che l’omosessualità è un peccato, per non parlare del tizio che ha dato dello «scopatore di pecore» a un gallese.
Possono sembrare cose surreali, ma queste segnalazioni restano sulla fedina penale e rischiano di pregiudicare in futuro un’assunzione o un’assegnazione di casa”.

The Guardian, Caroline Davies, 17 novembre 2024: “I critici sostengono che l’indagine della polizia sulla giornalista del Daily Telegraph è una minaccia alla libertà di parola e uno spreco di risorse per la polizia. Starmer afferma che la polizia dovrebbe concentrarsi su “ciò che conta di più”. Sull’editorialista pende l’accusa di aver fomentato l’odio razziale. Lei ha descritto l’incidente come “kafkiano”. The Guardian ha rivelato che il tweet forse era una ripubblicazione di un’immagine di due persone di colore con la bandiera del Pakistan Tehreek-e-Insaf, partito politico fondato da Imran Khan, insieme ad agenti di polizia della Greater Manchester. Allison Pearson avrebbe scritto un post contro la polizia metropolitana, che diceva: “Come osano? La polizia è stata invitata a posare per una foto con gli adorabili e pacifici amici britannici di Israele. Guardate questi ragazzi che sorridono insieme a coloro che odiano gli ebrei.” Pearson avrebbe confuso la bandiera con quella di Hamas e con l’identità delle forze di polizia”.

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Vedi Torino e poi…(seconda parte)

Torino (Turin, Italy): cityscape at sunrise with details of the Mole Antonelliana towering over the city. Scenic colorful light on the snowcapped Alps in the background.

Dall’articolo di Lorenzo Ferrara pubblicato su Barbadillo 14 Novembre 2024 in Esteri, (seconda parte):
“C’è altro? Sì. Torino è titolare di un’altra storia, di rilevanza internazionale, oggi in sordina. La scopri varcando le soglie del museo nazionale del Risorgimento. Scrive Wikipedia: “Nel marzo 1854, la regina Vittoria dichiarava ufficialmente guerra alla Russia a sostegno dell’Impero ottomano; pochi giorni dopo la seguì Napoleone III. E poi il Piemonte. La partecipazione dei bersaglieri piemontesi alla guerra fu il primo atto voluto da Cavour e dal re sabaudo per riunificare l’Italia”.
A Torino l’Italia intera dovrebbe gratitudine e un po’ più di considerazione, anche perché ha ceduto lo scettro di capitale del Regno prima a Firenze, poi a Roma. Occorre rammentare che difficilmente l’Italia si sarebbe riunificata senza il ruolo determinante di questa citta’.

Giornate di sangue a Torino. Settembre 1864: la città non è più capitale di Francesco Ambrosini lo spiega: “Nel settembre 1864, improvvisamente, Torino non è più capitale. Il governo ha concordato di nascosto con Napoleone III di spostarla a Firenze, non a Roma (contro il voto del parlamento italiano) per non compromettere il potere temporale del papa. Tutti sono stati tenuti all’oscuro fino all’ultimo momento e i torinesi, scesi nelle strade a protestare pacificamente, vengono attaccati e poi presi a fucilate dalle forze dell’ordine. È una strage, con più di 50 morti e tre volte tanti feriti”.Torino ha ceduto scettro e potere. E se il suo futuro non fosse più solo progettare auto ma quello di proiettarsi nell’industria aerospaziale? Le prime cospicue avvisaglie lo annunciano. A Torino ingegneri e tecnici di prim’ordine abbondano. E l’articolo del Financial Times lo accenna.
A me basta sapere che luoghi “cult” e memorie resistono ancora, Torino citta’ magica, Torino dagli interminabili portici, Torino degli storici caffe’ ritrovo come Ghigo, Mulassano, Baratti e Milano e Platti. Rimpianti? No, Torino esisteva anche prima della Fiat, occorre ricordarlo.

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Le Fiat non sono più cult negli UK (prima parte)

Ancora un altro articolo di Lorenzo Ferrara, che continua a rimanere irreperibile, questa volta polemico sull’ex dirigenza Fiat, pubblicato su Barbadillo.it il 14 Novembre 2024 in Esteri, in due post consecutivi.

L’Italia non c’è sulle strade albioniche. Se escludi la Fiat 500 e qualche anonima Alfa Romeo. Sulle strade di Londra ci sono tutte le auto che contano, eccetto le nostre

Nella foto Jean-Louis Trintignant con Vittorio Gassman ne “Il sorpasso”. Sulle strade inglesi l’auto italiana la vedi col lanternino. Lontani i tempi in cui Fiat, Lancia, Alfa Romeo e Maserati producevano auto cult. Trintignant e Gassmann viaggiavano su una strepitosa Lancia Aurelia B24. Io, più modesto, su una Giulietta spider Alfa Romeo prima serie, di seconda mano. Sulle strade di Londra ci sono tutte le auto che contano, eccetto le nostre. Fiat sembra sparita dalla circolazione. Di Lancia e Alfa nemmeno l’ombra. Il motivo alla base della vistosa debacle risiede nel passato. Nell’articolo del 2018 di Gianni Marocco su Barbadillo si legge: “Se il gruppo Fiat è ancora un player di discreto livello è solo grazie a Marchionne ed al geniale/fortunato rilevamento di Jeep-Chrysler. Fosse stato solo per Panda e 500 saremmo già diventati un marchio cinese. I gestori passati non sono stati capaci di aggiornare il sapore e rendere appetibili Alfa, Lancia e Maserati che potevano essere meglio di Audi e Bmw e Porsche. Poi la disastrosa gestione Romiti, che, appoggiato da Gianni Agnelli, ha preferito una dimensione finanziaria a quella automobilistica, spazzando via tutto in un decennio…Per recuperare ci vogliono montagne di soldi e tanta fatica”. Oggi sulle strade inglesi vedi il futuro dell’auto interpretato da una miriade di modelli, alcuni esteticamente accattivanti, dai colori sgargianti e dalle forme propositive che suggeriscono innovazione, design inediti; di Renault, Peugeot e Citroen una marea montante, senza parlare di BMV e delle Mercedes Benz che spopolano con lussuose berline mozzafiato. Giri l’angolo e vedi che sfreccia una Fiat 500, devi accontentarti di quella. Gianni Agnelli e Cesare Romiti sono scomparsi da un pezzo. Il primo regnava, il secondo comandava e la loro eredità eccola.

Povera Torino, in crisi di identità dacché il suo destino si identifica con quello dell’auto. Povera anche per altri versi. Devi esserci nato a Torino come me, per capire cosa è successo a questo salotto a cielo aperto dove trionfano Barocco, diffidenza verso lo “straniero”, zeppa di fattucchiere e antiche memorie. Quali memorie? Da presidio romano a città sabauda, per cui regia, non per niente ci andavo a giocare ai giardini reali nei pressi di una squisita reggia che fa eco a Versailles.
Il corposo articolo del Financial Times Week end, 20 ottobre 2024 di Amy Kazmin ritrae per la città una realtà problematica, legata alla sorte dell’auto. Gli stabilimenti di Mirafiori per quanto rimarranno aperti? Nel testo: “Quando vedi una fabbrica con quasi 100 anni di storia fermarsi, il cuore piange. Torino muore. Un tempo orgoglio della produzione italiana e conosciuta come “Mamma Fiat” per i suoi estesi programmi di welfare dalla culla alla tomba, Fiat è stata incorporata in Stellantis nel 2021, dopo anni di difficoltà. A settembre l’azienda ha temporaneamente interrotto la produzione di automobili nello storico stabilimento di Mirafiori”. Il sottotitolo: “La dolorosa transizione del marchio di proprietà di Stellantis ai veicoli elettrici ha scosso la sua città natale, Torino, e innescato una disputa con Roma”. L’operaio e deputato sindacale Giacomo Zulianello, ha accusato Stellantis di “dissanguarci” aggiungendo che l’uccisione totale di Mirafiori è troppo anche per Tavares. “Ma in realtà, Mirafiori è già chiusa”. Dice.

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Giorgia Meloni bis

Timothy Garton Ash non la pensa come i giornalisti che la criticavano e sul Financial Times del primo ottobre 2022 scriveva: “Per un revival fascista guardate a Mosca, non a Roma…” E poi:  “Alcuni italiani hanno una visione addolcita dell’era mussoliniana, ma oggi i veri fascisti si stanno rivelando altrove… È vero che, da giovane, Meloni fu appassionata aderente di un partito neofascista: una volta fu ripresa da una telecamera mentre descriveva Mussolini “il miglior politico degli ultimi 50 anni”. Ma etichettarla oggi come sua discendente diretta è un’esagerazione giornalistica. Meloni è senz’altro una populista di destra anti immigrazione, ultra conservatrice e nazionalista euroscettica. Tuttavia l’etichetta di “fascista” spetta ad altri paesi e personaggi: alla Russia di Putin, ad esempio. Qui si riscontrano molte delle caratteristiche storiche precipue del fascismo. Sia Berlusconi che Matteo Salvini hanno parlato con ammirazione di Putin. Fortunatamente Ms Meloni ha espresso un fermo sostegno a una posizione occidentale unita contro l’aggressione russa in Ucraina…”.

Kenan Malik Observer  del 2 ottobre: “Da Aristotele a Meloni, il ‘bene comune’ è stato utilizzato per dividere e governare (…). Giorgia Meloni ha denunciato la riduzione delle persone allo status di “schiavo consumatore”. Ha catturato l’immaginazione di molti sia a destra che a sinistra, inducendoli a considerarla come la persona che “dice quello che tutti pensiamo”… I temi di Meloni sono radicati nella storia della destra reazionaria e si connettono a un’ostilità pregressa verso migranti e Musulmani. Ma la sua condanna del capitalismo contemporaneo risuona ancora molto più ampia, riecheggiando anche molte critiche della sinistra”.

The Economist  dell’8 ottobre  si chiede: “Giorgia Meloni può permettersi le cose che vuole?… Una cospicua squadra di tecnocrati rassicurerebbe i mercati e i partner italiani dell’UE. Ma i suoi alleati vogliono posti a tavola. Più ne hanno, maggiore sarà la pressione sul prossimo primo ministro italiano…”. Non sono ancora trascorsi tre anni dai primi commenti e critiche della stampa e Giorgia Meloni ha bruciato le tappe, diventando secondo alcuni opinionisti la donna piu’ potente d’Europa.

Stralcio di un articolo pubblicato su Barbadillo a ottobre 2022.

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Dicevano di lei

A ottobre son passati tre anni. Ecco come la stampa di allora accolse il nostro premier:
LONDRA 16 Ottobre 2022 The Guardian, Lorenzo Ferrara scriveva su Barbadillo. Come gli inglesi vedono (strabicamente) Giorgia Meloni

Una vibrante vestale italiana sta turbando la politica europea. Sui media inglesi le sue immagini affiancano quelle di un fantasma vagante nella storia patria: Giorgia Meloni e Benito Mussolini. Si tratta di un grande abbaglio figlio di una ideologia anti-italiana e della mancata conoscenza delle radici politiche antiche della destra italiana.
Metro del 27 settembre annota: “L’alleanza del duce con Hitler finì in sconfitta” ed egli “venne catturato e giustiziato.” (!) L’articolo della giornalista tuttologa Frances d’Emilio precisa che Miss Meloni ha cercato di ammorbidire la sua appartenenza politica ma che ancora adotta uno slogan fascista: “Dio, Patria e Famiglia.” Come se questo fosse indizio di reato!
L’Evening Standard del 26 settembre suona la sirena: “Allarme dopo la vittoria dell’estrema destra in Italia. La prima donna primo ministro con legami con Mussolini pronta a guidare la coalizione… è allarme nelle capitali Ue e i mercati finanziari esamineranno le sue mosse dato il suo passato euroscettico e la posizione ambivalente dei suoi alleati sulla Russia… Il primo ministro francese Elisabeth Borne ha promesso: “In Europa abbiamo determinati valori e ovviamente rimarremo vigili””.
Tirandoci fuori dalla naftalina solo se diventiamo un “caso” qui i Brits esprimono giudizi misti sull’esito delle urne nostrane.

Amy Kazmin sul Financial Times del 24 settembre definisce Meloni “carismatica, tenace e formidabile politica…! Lei è l’ultima novità in un mercato politico affollato che ha prodotto instabilità, stagnazione economica e standard di vita in declino”. “Il vento soffia a favore di questa giovane donna, vista come diversa”, ha detto Roberto D’Alimonte (Università Luiss). “L’idea è che tutti ci hanno tentato, tranne lei, quindi lasciamola provare, come ultima risorsa. Ma senza troppo entusiasmo…” Secondo Marco Marsilio: “è persona molto seria e impegnata e soprattutto molto leale… mantiene la parola data e puoi sempre contare sulla sua presenza…”

Robert Fox sull’Evening Standard del 27 settembre va giù duro:
“Giorgia Meloni condivide la visione della storia di Putin … La sua vittoria è stata un enorme passo indietro per il Paese e la sua politica ha ascendenze mussoliniane… Meloni, che dice: “governerò per tutti gli italiani”, potrebbe avere qualcosa in comune con Putin. Entrambi abbracciano una falsa visione del destino e della grandezza della loro nazione… Putin è un dittatore dell’era digitale, con una desiderio e per i vecchi raggiri della gloria imperiale… Il fascino di Meloni è più sottile: la visione del bellissimo paese, basata sui buoni valori della famiglia cattolica e un’Italia per gli Italiani significa che gli immigrati dall’Africa devono essere fermati da un blocco navale attraverso il Golfo della Sirte e la costa della Libia… Meloni ha vinto perché ha offerto messaggi confortanti: valori familiari e sicurezza contro crisi, debiti e disperazione….” A prestissimo col prossimo post su Giorgia Meloni.

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Farage e noi

Era il 22 Ottobre 2022 quando Lorenzo Ferrara su Barbadillo scriveva un articolo su Nigel Farage e il suo eventuale ritorno in politica. Ecco uno stralcio:

Sette anni trascorsi ad ammirare città e amenità italiche, ma soprattutto per concludere affari come intermediatore in una società di brokeraggio. Milano, Trieste, Genova; qui, passeggiando per i carrugi Nigel Paul deve aver incontrato e solidarizzato con Beppe Grillo, noto comico nostrano, a proposito del quale disse: “Io e Grillo faremo saltare il banco dell’Unione europea, l’Europa dominata dai Tedeschi svanirà, sarà una formidabile sconfitta per la classe dominante, le grandi banche e le multinazionali subiranno pesanti sconfitte. Grillo è straordinario: totale disinteresse personale, amore autentico per la sua gente, un patriota che dalla politica non ha preso un penny, ha solo dato tutto, anche se stesso. Insieme stiamo combattendo la guerra d’indipendenza dei nostri Paesi. (dall’intervista di Aldo Cazzullo apparsa sul Corriere della Sera del 10 giugno 2016). Tutto doveva ancora succedere. “Mi dicevo: l’Italia è un grande Paese, non può farsi trattare come una colonia tedesca. La Gran Bretagna uscirà dall’Unione e cambierà le regole del gioco in Europa. Ci sarà un effetto domino. Dopo di noi usciranno Danimarca, Olanda, Svezia, Austria. L’Ue sta per disintegrarsi”.

Quattro figli e due mogli, la seconda, tedesca, Kirsten Mehr, in un’intervista al Daily Telegraph lo difende dalle accuse di xenofobia e razzismo. “Mio marito è una brava persona e non ha neanche un po’ di malizia in corpo. Il suo problema è che non ha tempo per la famiglia, è sempre molto occupato, si dimentica di mangiare e si alimenta di adrenalina. Nigel è duro e ostinato, ma non cattivo”. Bevitore e fumatore incallito, il leader dai calzini rossi sconfigge un tumore ed esce malconcio da due incidenti, uno d’auto, l’altro aereo; lo striscione pro Ukip, del suo partito, si impiglia al decollo nella deriva del velivolo, facendolo precipitare. Farage diceva di non aver niente contro camerieri e giovani italiani della City, giudicandoli meravigliosi. “Gli Italiani in gamba potranno ancora venire, ma con le nostre regole, non secondo quelle di Bruxelles” Nigel Paul Farage forse esigeva immigrati col pedigree, non digerendo lo sbarco di disperati sulle coste bretoni.
I suoi interventi erano impressionanti sceneggiate che travolgevano per la virulenza oratoria. Sollecitava istinti sottopelle dei Brits, situati nella loro memoria storica e nel quotidiano, fomentando il desiderio di sbattere la porta in faccia agli altri Paesi e di andarsene da “casa Europa”.
 Essere antieuropei si nasce per istinto o si diventa per constatazione della pochezza dell’Unione.

A Farage è riuscita la cosa senza sforzo, essendo erede di un impero che piantava la sua bandiera ovunque decidesse, come poteva uniformarsi alle regole? Un attore, Nigel, che tuonava: “Il popolo britannico non sarà mai schiavo di nessuno”.
Sono certo che sei al corrente contro chi devono vedersela Tories e Labour, oggi. Già, proprio lui, il Nigel d’acciaio, tornato alla grande nell’arena politica. L’Europa si sta sfasciando, diceva Farage profetico, ma non per le cause che prevedeva lui, ci ha pensato un uomo, lo zar rosso a farlo e in modo tre anni fa impensabile. Sul secondo volume, dopo Albione la perfida, questo e altro.

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Gli Inglesi ci amano…o no?

L’articolo di Lorenzo Ferrara e’ tratto dal nuovo volume di prossima edizione, ed è gia’ stato ospitato su Barbadillo nel 2022. Molte cose e persone sono cambiate da allora, ma qualcosa rimane intatto, come la considerazione che hanno di noi italioti i Brits.

I Brits temono il caos come la peste e hanno necessità vitale di punti di riferimento, solo così riescono a capire il loro odierno “camminare sul filo del baratro” sbeffeggiati da mezzo mondo per il non saper che fare economico. (Ti ricordo che allora c’era ancora madama Liz Truss al timone). Ma ancora una volta, e non ti stupisca il dettaglio non casuale, il loro unico riferimento siamo noi, gli Italiani. Non Francesi, non Tedeschi o Spagnoli, ma ancora noi, da sempre. Tu dirai che esagero, ma non lo affermerei se non avessi prove provate. Tu penserai “sarà un caso, una coincidenza”. Né l’uno né l’altra, c’è ben altro, di più profondo, di più sottile e anche macroscopico che ci lega e ci divide. La copertina dell’ultimo The Economist è significativa del modo in cui i Brits vedono se stessi (momentaneamente) e noi. La copertina sotto accusa ha infastidito anche il nostro ambasciatore a Londra Inigo Lambertini.  Niccolò Di Francesco riporta su TPI the Post internazionale del 20 ottobre: L’ambasciatore italiano contro l’Economist: “Solo vecchi stereotipi”.

La copertina dell’Economist in cui l’ormai ex, ex, ex premier britannica Liz Truss era raffigurata con alcuni stereotipi italiani, tra cui pizza e spaghetti, ha provocato la reazione di numerose persone, tra cui quella dell’ambasciatore italiano a Londra Inigo Lambertini, che ha scritto una lettera allo storico settimanale britannico di proprietà della famiglia Elkann-Agnelli. (davvero piccolo il mondo).

“Sebbene spaghetti e pizza siano i cibi più ricercati nel mondo, in qualità di secondo maggiore produttore in Europa, per la prossima copertina suggerirei di scegliere tra i settori dell’aerospazio, della biotecnologia, dell’automotive e della farmaceutica. Qualsiasi sia la scelta fornirebbe un più accurato quadro dell’Italia, tenuto conto anche della vostra, non così segreta, ammirazione per il nostro modello economico” ha scritto l’ambasciatore.
Il titolo di The Economist è senza equivoco: Welcome to Britaly. Ovvero: Ma guarda in che pasticcio ci siamo cacciati, sembriamo l’Italia, che pasticciona e precaria lo è da sempre. Così, prendendoci a pietra di paragone per la loro situazione politico economica in bilico offendono noi (abbiamo le spalle larghe) e in modo masochistico, loro. L’ambasciatore, proprio perché tale, nel suo way to be è tenuto a rispettare un certo tono esprimendosi con garbata critica e felpata ironia. Noi che siamo un poco più liberi ci permettiamo di esprimere le idee in modo diretto e senza remore, a proposito dei pregressi rapporti Gran Bretagna Italia. E poi c’entra anche il foot ball. Scrive True news giornale on line: “L’Italia non ha mai perso contro l’Inghilterra in una fase finale tra Mondiali ed Europei.” Notizia confermata dalla Bbc. “Tra questi risultati in favore degli Azzurri spiccano la vittoria nella finale del terzo posto della Coppa del Mondo FIFA del 1990 e quella nella fase a gironi degli Europei 2014 con gol degli azzurri di Marchisio e Balotelli.” Ma non divaghiamo. Nel prossimo articolo esporrò evidenze inconfutabili che annebbiano l’inconscio collettivo inglese, che comunque vede l’Italia come una strana e incomprensibile entità metamorfica, dalla quale non si può comunque prescindere e alla quale occorre, volenti o nolenti riferirsi. AmenQuesto lo sa perfettamente anche il loro sovrano, King Charles III, che è appena venuto a trovarci in visita ufficiale, perdendo l’occasione di scusarsi dei crimini commessi dal Bomber command della RAF nei cieli italici a guerra praticamente finita.

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Scurdammoce o’passato

Lorenzo Ferrara scriveva anche su Barbadillo. Questo e’ un articolo del 1 Novembre 2024 in Esteri 

Nell’incontro del Commonwealth a Samoa il premier Starmer ha escluso donazioni ai paesi coinvolti nella tratta schiavista. “Chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto” , seconda classificata: “Scurdammoce o’passato” e, ex equo “Nun vale cchiù a niente ‘O ppassato a penzà.”
A Samoa, nome mitico che vagheggia l’accoglienza di indigeni miti come quelli che accolsero gli ammutinati del Bounty vai col costume da bagno. Oppure, a denti e glutei stretti, come ha fatto il capo labour per partecipare al meeting of Commonwealth countries. I testi delle canzoni vincitrici recitavano: “per l’infausto periodo di oppressione e schiavismo subito da milioni di negri che ha visto la Gran Bretagna protagonista NON si prevede alcuna forma di compensazione.” Comprensione e sorrow assicurati, ma denaro nisba. Non vorrete mica costringerci alla bancarotta, dove li troviamo tutti quei soldi?”, era il pensiero affannato dei Brits. Il conto, in effetti, recitava una cifra da capogiro.
Prima dell’incontro a Samoa. Lo Standard e altri media inglesi, 4 ottobre: “I nostri problemi attuali non sono causati da noi stessi, ma dalla colpa delle successive generazioni britanniche e noi vogliamo compenso”. Mugugnavano gli indigeni a Samoa.

Il conto? Secondo un accademico di Cambridge, l’opzione più economica è di 205 miliardi di sterline. All’estremità superiore c’è un conto di 19 mila miliardi di sterline (l’intero Pil del Regno Unito o la produzione nazionale per otto anni). Questa cifra non è stata immaginata da un marxista pazzo, ma è la conclusione di un rapporto del Brattle Group, società di consulenza Usa.

I suoi calcoli altamente discutibili – compresi i “danneggiamenti emotivi” nel corso dei secoli – sono stati presi alla lettera da un giudice della Corte internazionale di giustizia e dai leader dei Caraibi. La principale tra queste è la primo ministro delle Barbados, Mia Mottley, che guida la campagna di risarcimenti. Secondo lei il debito degli Uk nei confronti del suo paese ammonta a 3,7 trilioni di sterline”. Hai capito bene.

Così The mail on line, 13 ottobre 2024: “La tratta transatlantica degli schiavi è stata un episodio mostruoso nella storia della civiltà. Nel corso di due secoli, milioni di neri africani furono comprati e venduti come bestiame. Trasportati oltreoceano in catene e impiegati in lavori massacranti nelle piantagioni nei Caraibi e in America.

La Gran Bretagna ha certamente giocato un ruolo importante in questa impresa perniciosa. Il cotone filato nei mulini, il caffè e lo zucchero scambiati nei mercati vivaci, erano il risultato del lavoro forzato. E, sebbene sia un mito che la tratta degli schiavi abbia costruito l’Impero britannico, questo paese ne ha tratto grandi benefici.
Ma quanto dovremmo essere ritenuti responsabili oggi per i peccati dei nostri antenati? E questi gravi torti potranno essere riparati secoli dopo con il pagamento in contanti?
Domande che saranno al centro dell’attenzione a Samoa.
Il conto, anche se parzialmente pagato, manderebbe in bancarotta la Gran Bretagna. Il pagamento porterebbe inevitabilmente a ulteriori richieste di risarcimento, che non potrebbero mai essere abbastanza grandi da soddisfare gli attivisti.

La Gran Bretagna non ha inventato la schiavitù. Era comune tra le popolazioni indigene dell’Africa, del Sud America e di alcune parti dell’Asia molto prima della colonizzazione europea. I capi dell’Africa occidentale e gli intermediari arabi collaborarono entusiasticamente alla riduzione in schiavitù di milioni di persone. Dovrebbero  pagare anche loro?”

E che dire della progenie degli oltre un milione di europei bianchi catturati dai pirati barbareschi del Nord Africa? Non meritano un assegno anche loro? Ciò che troppo spesso viene dimenticato o volontariamente ignorato è che anche la Gran Bretagna è stata fondamentale per porre fine alla schiavitù. Non solo all’interno del nostro impero. La nostra missione è stata quella di abolire questo spaventoso commercio della miseria umana ovunque alzasse la sua brutta testa. E ci siamo riusciti. Dovremmo ottenere una sorta di sconto sui pagamenti di risarcimento presumibilmente dovuti? La verità è che è inutile giudicare la storia secondo gli standard odierni. Fingere di poter espiare pagando i soldi per la colpa è semplicemente fasullo. Sulla stessa lunghezza d’onda il commento di  Enrico Nistri su Barbadillo, a un articolo del 23 giugno 2023: “Le richieste di rimborsi da parte dei lontani discendenti degli schiavi mi sembrano infondate. Si può chiedere un risarcimento per i danni subiti da un parente stretto, non certo da un ipotetico antenato. Se si dovesse applicare il principio, chi dovrebbe risarcire i discendenti dei martiri di Otranto?” Durante il meeting a Samoa, BBC, 26 ottobre Chris Mason, Political editor-: “Sir Keir ha affermato che non ci sono state discussioni sui soldi durante l’incontro e che il Regno Unito è “molto chiaro” nella sua posizione e che non pagherà le riparazioni.” Appunto, dico, Scurdammoce o passato.

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Tutti al posh bar!

Lorenzo Ferrara a Londra ha dato corso a un suo vecchio sogno: fare il barman. Ma e’ durato poco perche’ gli tremava la mano e poi il bar ha chiuso anzitempo. Ecco uno stralcio da ALBIONE LA PERFIDA:

Le sue toilet, in base a una mia classifica sono seconde solo a quelle di Sotheby’s, dalle cui “stanze latrina” color malva viola e nero sembra che alcune ninfe si siano appena involate. Nel tempio degli acquisti numero uno le toilet sono invitanti e funzionali. Siamo nella città in cui se dici la parola “nero” ti guardano male e se dici: “Negro”, per loro la G è altamente dispregiativa, rischi il carcere. Così dirò: Una conturbante creatura di colore dalla rara avvenenza è al suo terzo calice di Sauvignon Blanc, ce la fa a reggersi in piedi? avviso la proprietaria del bar dove lavoro come aiuto barman che la creatura anela al quarto bicchiere, indicando il nero d’Avola sullo scaffale (dei vini si può dire: nero). «Don’t worry, ha detto che va a casa in taxi.» dice la gestrice del bar. Io indosso gilet, farfallino, camicia e grembiule d’ordinanza in un posh bar (da noi si direbbe “figacciuto”) un portento di sfavillii e fantasia, attorniato da bottiglie di ogni genere. Il luogo che ci ospita è sacro per gli acquisti per genti di ogni fede, razza, colore e portafogli. Ad assumermi come aiuto barman, confidando invano nelle mie doti, una coppia di romani dal raro fiuto imprenditoriale. Accudiscono il loro bar come fosse una creatura. L’open bar è affiancato da stores lussuosi e mega negozi. A sinistra il prosciutto spagnolo che si scioglie in bocca, a destra la succulenta pasta a mano italiana di un tipo che si sbraccia, mangia, beve e sbraita al cellulare in contemporanea, davanti a noi un super food market, il Waitrose. Ce la metto tutta per meritare la fiducia e bado a non far tracimare cappuccini e double black, ma il rischio c’è. Romeo, la vera anima del bar, è uno spagnolo tutto pepe che mi insegna a fare caffè con la capsula e a servire ai tavoli, invano. «Te fai troppe smorfie, il cliente capisce cosa pensi di lui, devi fare come me, sorridi a tutti.» L’orgoglio monta, ho rifilato alla coppia di businessmen sikh, con barba all’ombelico, birra siciliana e sarda che costa un botto e fa schioccare loro la lingua. Il gaudio non dura, infatti all’ultimo tavolo la donna in peplo dice che il tavolo is sticky, cioè appiccicoso. «Ma non hai passato la spugnetta?» «Io sì,» dico. «Quale?» «Quella lì.» «Ma quella è per le tazzine!»

La coppia di osti romani si limita a rimproverami per l’infame bombardamento dei Savoia sul forte di Gaeta. Si sentono italiani a metà e ce l’hanno con i nordici usurpatori come me. Tutti i torti non li hanno ma se non ci fossero stati i Savoia avrebbero ancora Franceschiello Ciccillo o’ lasagna, a loro forse stava meglio.”

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raccolte in un volume: